Il fotoromanzo delle #BP2021 Oltre la città | Cultura Territori Comunità

Il verbale della giornata del 21 marzo 2021 a cura del gruppo di lavoro Under28

Pubblicato il 25/03/2021 / di / ateatro n. #BP2021 , 175 , Le Buone Pratiche della Ripartenza

e

presentano

La durata degli interventi sarà scandita dal leggendario Peperone di Ateatro

Il link: Il documento di convocazione

Il link: Il dossier con le Buone Pratiche 2021.

Il link: Il video integrale delle #BP2021 (5 ore e 7 minuti).

Mettiamo a punto gli ultimi dettagli al bar del TBQ

La diciassettesima edizione delle Buone Pratiche del Teatro, un progetto a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, è stata realizzata dalla Associazione Culturale Ateatro e dal Teatro Biblioteca Quarticciolo con il sostegno di Fondazione Cariplo nell’ambito delle Buone Pratiche della Ripartenza.

Coordinamento: Stefania Minciullo.
Segreteria organizzativa: Michela Lucia Buscema.
Si ringrazia per la collaborazione Giulia Alonzo.

E grazie allo Staff del Teatro Biblioteca Quarticciolo (Raffaella Vitiello, Antonio Belardi, Dario Alberti, Dalila D’Amico) e al Service Viktory Media (Valerio Polverari e Marco Carbone).

Il fotoromanzo delle Buone Pratiche del Teatro 2021

Questo verbale è stato redatto dal gruppo di lavoro Under28, impegnato nel progetto Le Buone Pratiche della Ripartenza.
In particolare, hanno partecipato all’elaborazione del testo Selene Ambrogi, Chiara Barozzi, Martina Bruno, Giorgia Cacciabue, Ludovica Campione, Elena Deambrogio, Maria Rita Di Nuzzo, Marta Lavit, Maddalena Martino, Roberta Maestri, Marta Marinelli, Federico Minghetti, Luca Napoli, Clara Papagno, Claudia Tura.

Il benvenuto arriva con il corto della serie TBQgopro Teatro Nostra Vita di e con Eleonora Danco, che ci porta fino al Teatro Biblioteca Quarticciolo dopo aver attraversato (a modo suo) Roma.
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Dopo il saluto iniziale di Giorgio Andriani (che dirige il TBQ con Antonino Pirillo e Valentina Marini), Antonino Pirillo illustra le attività del TBQ nel quartiere, come TBQresidenze e TBQ Letteratura e periferia.

Antonino Pirillo e Giorgio Andriani

Giorgio Barberio Corsetti porta il saluto del Teatro di Roma e segnala l’attenzione dell’istituzione perr la prospettiva esplorata da questa edizione delle Buone Pratiche, che si intreccia con alcuni progetti in corso di sviluppo.

Nella sua relazione iniziale, Oliviero Ponte di Pino riparte dalla lezione di Paolo Grassi e del Piccolo Teatro, ovvero dalla visione di “un teatro d’arte per tutti”, concentrandosi sul “tutti”. Nella prima fase si trattava di aprire le porte dei teatri non solo a chi ha soldi, ma anche a operai, contadini, studenti… Con il passaare del tempo, Grassi si accorge che questo non basta: è necessario portare il teatro dove non c’è (e il teatro in pratica erano solo nel centro delle grandi città) e così inventa il “Teatro Quartiere”, con il tendone a prima a Quarto Oggiaro e poi in piazzale Cuoco, dove porta anche L’Age d’Or del Théâtre du Soleil. Risalgono a questo periodo le pionieristiche esperienze di animazione nei quartieri operai di Torino, con Giuliano Scabia, Remo Rostagno e Franco Passatore. E’ anche la stagione del Teatro Camion di Carlo Quartucci, che inizia la sua avventura nel 1972, e poi delle cooperative, che riaprono molti teatri nei piccoli centri della provincia e costituiscono il terreno da cui nasceranno i circuiti regionali. A mettere in discussione questo modello sono Leo De Berardinis e Perla Peragallo, che nel 1972-73 si insediano a Marigliano, nella cintura vesuviana. Non si tratta, dicono, di portare la “nostra” cultura – e in genere la cultura “alta” – nelle aree disagiate, ma di costruire un confronto con la cultura di chi vi abita: allora Leo e Perla contaminano genialmente, per esempio, Shakespeare con la sceneggiata in King Lacreme Lear Napulitane.
Nel frattempo in alcune grandi città si sedimentano sistemi teatrali più o meno complessi ed efficaci. A Milano sono assai attivi diversi teatri in zone lontane dal centro (Teatro Officina, Teatro della Cooperativa, Teatro Fontana, ATIR-Teatro Ringhiera, Tertulliano, Pim Off, Pacta eccetera). A Roma si lancia il progetto dei teatri di cintura, di cui fa parte anche il TBQ. Anche a Parigi sono attivi, e assai finanziati, diversi centri di cultura e spettacolo nelle zone periferiche.
A cambiare lo scenario sono anche attività come il teatro sociale e di comunità (che utilizzano il teatro come strumento di conoscenza personale, di gruppo, del territorio, e dunque di consapevolezza ed emancipazione), le esperienze di partecipazione che si sviluppano nella rtoi visive e coinvolgono il teatro, i progetti di rigenerazione urbana, che utilizzano come leva la cultura, lo spettacolo e i luoghi della cultura. Sono le strategie (e a volte la retorica) delle professioni e delle città creative, dello sviluppo del capitale cognitivo, della reputazione del territorio, del capacity building, dell’indice BES (Benessere Equo e Sostenibile, dove però la cultura ha ancora un ruolo marginale).
Se torniamo alla visione di Grassi, questa volta il teatro d’arte non è solo per tutti, ma anche con tutti. La cultura (e il teatro) non si fanno solo per, ma anche con i cittadini. Non si tratta solo di proporre prodotti più o meno belli e raffinati, ma di innescare processi che possano coinvolgere i cittadini, o perlomeno alcuni cittadini, soprattutto delle fasce più svantaggiate.
Alcune di queste esperienze verranno esplorate in questa diciassettesima edizione delle Buone Pratiche del Teatro, cercando di dare spazio al nuovo senza dimenticare il percorso e la lezione di alcune esperienze che possono offrire un modello. Vedi il lavoro del Teatro delle Albe, sia a Ravenna sia a Scampia con Arrevuoto(e poi in giro per il mondo con la non-scuola). Oppure le esperienze partecipate del Teatro dell’Argine tra San Lazzaro e Bologna. O ancora il progetto dei Visionari di Kilowatt Festival, con la sua disseminazione europea e i “cloni” dedicati ai giovani con Dominio Pubblico a Roma, Trasparenze a Modena, 20 30 a Bologna, Under 30 a Gualtieri eccetera. O ancora il grande affresco che Mario Perrotta, sempre a Gualtieri, ha dedicato a Ligabue, ridisegnando un intero territorio.
Sono sempre più numerosi e diffusi nel territorio i progetti che hanno fatto proprio e rilanciano questo patrimonio di esperienze e di saperi. Numerose residenze teatrali si muovono in questa direzione, coniugando il progetto poetico con quello organizzativo, a partire dal dialogo con il territorio. Lo fanno anche molti dei nuovi centri culturali, spesso insediati in zone periferiche e aperti al dialogo con la realtà circostante. Anche per molti festival, soprattutto per i “micro”, il dialogo con il territorio è al cuore del progetto.
Un’altra annotazione riguarda la situazione che stiamo attraversando. I processi partecipativi presuppongono l’incontro e si basano su una comunicazione bidirezionale tra gli operatori e i cittadini. E’ interessante verificare come questi processi abbiamo saputo affrontare e superare questa difficoltà, anche utilizzando le opportunità del digitale.
Sarà infine interessante verificare lo sviluppo di questi processi nello scenario post-pandemico. Già ora si parla di rilancio e di ripopolamento delle aree interne, e della “città dei 15 muinuti”, dove i servizi essenziali devono essere raggiungibili dagli utenti (a piedi o in bicicletta) in meno di un quarto d’ora. Inutile ricordare che la cultura fa parte dei servizi essenziali e che l’offerta culturale rende attrattivi e vivibili borghi e quartieri.

Al termine, Mimma Gallina illustra le regole d’ingaggio delle Buone Pratiche e l’articolazione dei tavoli.

COMUNICAZIONI

Dario Scaravelli | stARTT
stARTT (acronimo di studio di architettura e trasformazioni territoriali) si occupa di architettura e trasformazioni territoriali, riqualificazione urbana e territoriale e interventi su teatri e spazi pubblici. “L’architettura è da noi intesa come supporto per la vita associata: l’architettura serve sempre, è strumento e pratica quotidiana, le persone vivono e agiscono in essa e per questo motivo questa disciplina muta di continuo, rispondendo a esigenze diverse e rinnovate e nutrendosi di suggestioni che arrivano da altri campi del sapere.”
L’architettura influenza ed è influenzata dalla società e dai costumi. Il cambio di paradigma dovuto alla crisi sanitaria ha dato l’occasione di rimettere al centro della ricerca il ripensamento degli spazi culturali, principalmente negli spazi aperti. Lo spazio aperto è spesso inteso come luogo della messinscena della vita pubblica e associata, in particolare a Roma con la sua tradizione barocca, la naumachia, le processioni papali, la struttura delle piazze.
Le misure di distanziamento sociale e l’assenza di possibilità di fare massa riporta a galla la necessità di riscoprire la stretta relazione tra spazio pubblico e teatro. Come? Tramite le pratiche di resistenza e innovazione che riprendono e si ispirano alle esperienze di grande successo riguardo l’avvicinamento delle persone alla cultura, come per esempio l’Estate Romana, nella quale l’arte permeava la città. Quello che succede oggi ci invita a ripensare lo spazio pubblico come luogo che può favorire la vita sociale e la messinscena della società e la sua rappresentazione. Un altro esempio lo si può trovare nell’amministrazione comunale di Pesaro, con cui collaboriamo per quanto riguarda il Teatro Rossini: dopo che la stagione estiva dell’anno scorso è stata programmata all’aperto, l’amministrazione è ora orientata a riconsiderare gli spazi aperti, anche quelli lasciati un po’ da parte negli ultimi tempi. Si avvia quindi una riflessione su quali possono essere i supporti necessari dell’architettura per lo spazio pubblico.

Giulio Stumpo | Ateatro
Il discorso della città in questo momento si è ulteriormente trasformato: “Prima della pandemia pensavamo di essere molto interconnessi e invece ci sono moltissime diversità da un punto di vista delle capacità digitali di ciascuno di noi. La diversità diventa anche non avere gli stessi mezzi tecnologici. Non siamo così interconnessi come immaginavamo, non lo siamo mai stati.”
Questo cabiamento ci impone di rivedere il rapporto tra la città e le periferie, non per forza intesa come “margine”, perché spesso nelle nostre città le periferie sono centrali. “Dobbiamo rivedere il rapporto tra città e le aree più fragili – fragili per l’ambito geografico ma per le fragilità sociali, politiche, di partecipazione democratica e culturali.” In Europa si parlava di non rural areas, realtà che non erano cittadine, né rurali, non urbane, considerate difficili perché abbandonate. Queste fragilità adesso si sono sovrapposte e il tema diventa ancora più complicato perché oggi ci troviamo di fronte alla sfida della sostenibilità anche democratica del rapporto tra città e aree non urbane, tra i luoghi dei privilegiati e i luoghi della povertà, intesa in diverse prospettive: è un tema su cui noi dello spettacolo e della cultura non siamo preparati. In moltissimi quartieri di Roma fuori dal centro non esiste un museo.
Oggi dobbiamo ripensare la mobilità, non solo la mobilità delle compagnie, ma la mobilità urbana: “Come possono le persone dalle periferie andare a teatro con i mezzi pubblici? Dobbiamo confrontarci con queste debolezze, che hanno a che fare con il nostro rapporto con il resto del mondo, con le attività formative, con una strutturale assenza di pianificazione territoriale. Non possiamo costruire spazi di socialità senza programmarli da un punto di vista di pianificazione territoriale.”
La sfida, conclude Giulio Stumpo, è andare oltre la città.

Elina Pellegrini | Project manager culturale e delle performing arts
“Parto da un Racconterò dell’esperienza che ho vissuto ci ha visto partecipi entrambe l’anno scorso, il simposio Rinnovare modelli per creare comunità, organizzato in seno alla quattordicesima edizione del Festival A veglia! Teatro del baratto, nell’agosto 2020 a Marciano, direttrice artistica Elena Guerrini.” Il simposio ha visto un confronto tra l’antropologo Roberto Lazzaroni, Mimma Gallina, Massimo Paganelli e Renzia D’Incà e la sottoscritta. E’ stata un’occasione per confrontarsi su comunità teatrali ai tempi del Covid, su come le istituzioni, i teatri e le compagnie hanno reagito alla perdita del lavoro, su come reinventarsi i pubblici e gli spazi, su come avviare il ritorno a una diversa normalità. Dalla ristrutturazione degli spazi interni alle proposte open air per gli spazi estivi, dal trasferimento online di iniziative alle promozioni con nuove riviste online e nuovi parametri di retribuzione per i lavori in smart working.
Sono emerse tutte le criticità della società occidentale e della cultura in particolare: i rapporti sociali interrotti e spostati su device, cui molti non erano abituati. La comunità teatrale è stata privata della possibilità di esprimersi ed è stata costretta a spostarsi in streaming, perdendo la sua vocazione: il rapporto con il pubblico, che rende unica e mai uguale a se stessa una rappresentazione.
Dalla resilienza del mondo artistico, sulla spinta di nuove necessità, sono nate però nuove esperienze e sono state riscoperte buone pratiche di solidarietà e di incontro: “Il contesto che ci ospitava ha rappresentato lo stimolo per il nostro incontro.” Il Festival A veglia! Teatro del Baratto sostituisce ormai da quattordici anni il pagamento del biglietto con un baratto, un dono: olio, formaggio, vino, beni necessari e primari, secondo il concetto che l’arte nutre il territorio e il territorio nutre l’arte. Una pratica di responsabilizzazione sociale, dove anche la sedia si porta da casa, come nelle antiche veglie contadine: una pratica peraltro utile in questo momento: la sedia diventa così un oggetto sanificato e personale.”
“Partendo dall’analisi del dono in alcune società considerate primitive (i Maori, i nativi d’America, gli abitanti delle Isole Trobriand) abbiamo parlato dell’”economia del dono”, che non nasce dall’incapacità di concepire il valore economico, ma dalla comprensione dei meccanismi di debito.” Chi riceve ha un debito nei confronti di chi dona e deve bilanciare ricambiare il dono ricevuto con un altro dono. Si crea una relazione basata sulla fiducia e non sul guadagno personale. Il debito contratto dal dono attrae le due parti e le tiene insieme, creando una rete di relazioni basata sulla fiducia.
Il dono è quindi una pratica che crea comunità, non la manifestazione dell’incapacità di comprendere il valore delle cose. La fiducia è l’opposto dello stare da soli. Il teatro è il luogo del dono, il luogo dove ci si emoziona. Il teatro è guardare con stupore. Il teatro è poesia, non è economia.
“Dalla pratica del teatro può rinascere una nuova società? Può il teatro contribuire a creare nuove comunità basate sulla fiducia reciproca?”, si chiede Elina Pellegrini. “Questi processi dovranno partire dal basso, sulla spinta di rinnovate esigenze. Proveremo a dare le risposte a queste domande nel prossimo appuntamento che il Festival Teatro a Veglia e Ateatro organizzeranno, nell’estate del 2021.”

Roberta Paltrinieri | Università di Bologna-DAMSLab
“Ho la fortuna di dirigere il DAMSLab a Bologna, un progetto che nasce nell’ambito delle attività del Dipartimento delle Arti. Il DAMSLab è uno spazio e al contempo un laboratorio, aperto alla progettazione con la città e l’ambiente urbano, attorno al quale si creano pratiche e percorsi di co-partecipazione. Sono d’accordo con chi mi ha preceduto che è necessario pensare a un nuovo modello di società basato sulla fiducia, sulla solidarietà e la collaborazione.”
Da questo parte il progetto del DAMSLab, che nell’ottica della coprogettazione può fungere da hub, capace di mettere e mettersi in rete con i soggetti del territorio.
“Il DAMSLAb promuove partecipazione culturale, che a ben pensarci è ciò che più è mancato questo anno, venendo meno la dimensione della esperienzialità che non può essere riprodotta con il virtuale nello stesso modo.” La partecipazione culturale crea comunità ed è fondamentale per la creazione del benessere: il benessere delle persone non può nascere solo dal benessere individuale, esiste una dimensione sociale del benessere, il benessere è una sorta di bene collettivo che è il frutto di sinergie virtuose che si creano nelle comunità.
La produzione culturale incide sulle comunità al di là della dimensione dell’intrattenimento e di quella economica: “Di recente sono nati due centri studi universitari, uno a Leeds e l’altro all’Università dell’Indiana, che hanno la nostra stessa visione della cultura, e che studiano l’impatto sociale delle pratiche artistiche, per capire quale è il valore sociale della produzione culturale”. E’ necessario pensare alla cultura come a un bene comune, un dispositivo che promuove obiettivi di natura sociale oltre che creativi: “Da questo punto di vista sta nascendo un diverso paradigma per l’audience engagement and development che considera la cittadinanza culturale al centro dell’azione delle organizzazioni culturali e nei percorsi di rigenerazione urbana”

Valentina Marini | Teatro Biblioteca Quarticciolo
“Il corpo, la danza e le performing arts. Questi temi sono stati fortemente messi in discussione, perché al centro c’è il corpo e il contatto, nelle sue tre accezioni: il contatto con il proprio corpo, con gli altri e la relazione corporea con il pubblico.”
Ci sono state due interruzioni violente in questo periodo: la chiusura dei luoghi di cultura e l’interruzione della mobilità. Il sistema dello spettacolo dal vivo e la filiera dello spettacolo sono quindi stati ripensati in un’ottica di prossimità. Tuttavia la danza non abita i luoghi della cultura in maniera diretta, se non per i quattro centri di produzione italiani.
Emerge quindi ancora di più il bisogno di tornare in una relazione diretta con gli ambienti e gli spazi da cui far scaturire nuove pratiche e relazioni con il pubblico. Si sono così avviate nuove esperienze, partendo dalla pratica della residenza, che possono essere considerate buone pratiche da emulare nel futuro.
Nel progetto (H)EARTH a Napoli, i teatri associati hanno messo a disposizione, con una pratica dal basso, i loro spazi per offrire 12 residenze di dieci giorni a realtà di danza e teatro, grazie anche al contributo del Comune di Napoli, creando prodotti culturali che andranno in scena non appena riapriranno i teatri. Si riporta il dibattito pubblico sul ribilanciamento tra la visione spettacolarizzante del fatto artistico e una visione di esso come pratica, ricerca e percorso, cioè la pratica artistica in quanto necessità e non pratica di consumo.
In altre esperienze gli artisti hanno cercato in modo creativo di ritrovare il contatto tra artisti e pubblico grazie alla medialità della tecnologia. Nel progetto di match gaming Genoma Scenico di Nicola Galli, gli spettatori sono parte attiva nel processo creazione e manovrano l’andamento della performance. Call My Name della Compagnia Le Supplici era centrato su una videochiamata one to one con lo spettatore. Eden, a cura di Emanuele Masi, direttore artistico del Festival Bolzano Danza, porta al centro il tema della relazione tra artista e pubblico: il festival ha organizzato circa 450 rappresentazioni per un unico spettatore in un teatro da più di mille posti. In tempi pre-Covid sarebbe stato un fallimento, perché più erano piene le sale più il prodotto era di successo. Tuttavia ora le pratiche adottate hanno portato tutto il progetto ad avvicinarsi a una scelta autentica e a una diversa forma di fidelizzazione.
“Vorrei spostare l’attenzione sulla relazione dei formati artistici con le comunità negli spazi aperti: l’anno scorso i festival si sono reinventati superando i confini infrastrutturali dei luoghi di cultura e sono usciti negli ambienti esterni, dai cortili alle piazze, ribaltando la relazione tra contenuto e contenitore e riportando al centro il contenuto culturale.”
L’assenza della quarta parete ha reso il pubblico più attivo nella partecipazione e più consapevole, come nel progetto Tempi Moderni di Aldes, che ha portato nei cortili e negli spazi del Comune di Capannori una progettualità diffusa dove il pubblico partecipava con un’offerta libera in una forma di economia circolare: “La solidarietà entra a fare parte del decalogo dei fondamentali della pratica.”

Giuliana Ciancio | Living.net
Voglio soffermarmi su tre livelli fondamentali: il primo riguarda uno dei dati emersi dallo studio dell’OECD, che già nel giugno 2020 lanciava un allarme: uno dei maggiori problemi che dobbiamo affrontare è la crisi che stanno attraversando i piccoli spazi, ossia un universo molto ricco di esperiezne, piccoli teatri e piccole organizzazioni no profit, spazi indipendenti, centri culturali indipendenti. Molti di questi spazi si sono trovati in crisi perché le loro entrate sono legate alla presenza del pubblico, ma soprattutto il problema è che sono luoghi cruciali nel rapporto con le comunità, per fare comunità, per mantenere comunità: sono i luoghi in cui molto spesso per la scarsità di fondi vengono sperimentate idee che poi entrano nel sistema mainstream.
Si sta creando una grande differenza tra i paesi che stanno investendo su questo ecosistema, che rischia di sparire, e quelli che non lo stanno facendo. Questa assenza di idee può diventare drammatica.
L’investimento fondamentale sarà sul capacity building, ossia investire sulle risorse umane aiutandole a maneggiare il cambiamento e lavorare sulla partecipazione culturale. Tutti questi elementi oggi più che mai si ritrovano all’interno dei ruoli che i network stanno ricoprendo all’interno della politica culturale europea. I network sono i luoghi che facilitano la relazione tra spazi piccoli e spazi mainstream, che vivono una relazione di interdipendenza. Il tema dello spazio della co-progettazione in questo momento è determinante: i network si pongono tra chi fa le politiche europee e tutto questo ecosistema.

FOCUS ROMA E IL LAZIO

Christian Raimo | Scrittore, Ass. alla Cultura del III Municipio a Roma
Christian Raimo illustra un sondaggio sui bisogni dei ragazzi (13-17 anni, studenti), da cui emerge che il teatro è tra i luoghi che è mancato meno, per la precisione solo 3,8% dei ragazzi lo ha indicato, rispetto al 40% circa del cinema, per esempio. Da questo dato si evince che il teatro è stato una reale mancanza solo per pochi: la comunità teatrale è piccola.
A partire da questa osservazione, si cocentra sulle le sudditanze con cui il teatro si trova a dover fare i conti.
1) Sudditanza rispetto alla televisione. Porta l’esempio della “Netflix della cultura”, basata sull’idea errata che si possa traslare lo spettacolo dal vivo su canali che non gli appartengono: una piattaforma come Netflix si basa sulla costante offerta di contenuti narrativi che causano addiction, mentre il teatro offre un’esperienza irripetibile.
2) Sudditanza rispetto ai social.
3) Sudditanza rispetto al finanziamento pubblico: nulla di ciò che è stato fatto durante la pandemia abbia creato economia.
Raimo prosegue illustrando le prospettive su cui lavorare.
4) Quale teatro per la scuola? Se tra i ragazzi sono pochi quelli che hanno avvertito la mancanza del teatro, sono quattro volte più numerosi (il 12,4%) i ragazzi che hanno dichiarato dui avvertire la mancanza dei laboratori teatrali. Secondo Raimo, al momento gli studenti devono essere il pubblico privilegiato del teatro: è necessario ragionare sulle modalità dell’educazione al teatro per i ragazzi.
5) Il setting del pubblico. Per Raimo il pubblico è fondamentale nel format teatrale, anche in programmi televisivi che prevedono un pubblico interno al format (vedi il festival di Sanremo): il pubblico garantisce la possibilità della relazione e dell’imprevedibilità.
6) Le comunità politiche. “Non è possibile andare nelle province e nelle periferie senza tenere conto delle organizzazione politiche e comunitarie già presenti sul territorio”: senza entrare in dialogo con realtà che si sono già organizzate, il lavoro non riesce a radicarsi. E’ necessario per prima cosa mettere in rete scuole e associazioni attive nei territori.

Dario Minghetti | Fusolab Roma (BP)
Fusolab è un’associazione che opera nel territorio di Centocelle-Alessandrino, offrendo un’esperienza composita: Accademia popolare di musica e teatro, laboratori di arti digitali e interattive, palestra popolare, radio libera su internet… Alla base c’è l’idea che cultura e legame con i territori vadano trattati in spazi multidisciplinari, senza un pensiero che delimiti le azioni in compartimenti stagni. Questa modalità ha permesso l’osmosi naturale di pubblici e utenti/soci che fluiscono tra le varie attività. “L’ingresso delle attività legate allo sport ha inizialmente creato una frattura all’interno della struttura organizzativa, ma ha permesso di integrare un’attività di prossimità favorendo questa osmosi.” L’innovazione tecnologica è al centro del progetto, con finalità che vadano sempre di pari passo con la dimensione territoriale, favorendo non solo piattaforme globali, ma anche servizi collaborativi locali. Elementi essenziali di queste pratiche sono la sostenibilità, la capacità di innovazione e soprattutto mettere insieme i feedback riguardanti gli impatti con dati precisi, di modo da favorire l’equilibrio con le relazioni umane e reali che attraversano gli spazi: questo è ciò che realmente permette ad un’esperienza di radicarsi nel tempo.

Filippo Lange | Teatro del Lido di Ostia (BP)
Operatore culturale di rete, Filippo Lange lavora da tempo a Ostia, una città nella città, con più di 100.000 abitanti. Ricorda la nascita del Teatro del Lido durante gli anni Novanta, quando si respirava un clima di primavera culturale. Porta l’attenzione su due elementi fondanti dello statuto del Teatro del Lido: il tavolo della programmazione partecipata e la volontà di trasformare le idee che emergono dalla discussione in programmazione culturale. “Il lavoro che abbiamo portato avanti è principalmente ‘costruire’ partecipazione, per raggiungere insieme una dimensione utopica: un potenziale che non è riscontrabile in altri settori.” Il suo impegno è dedicato da un lato alla costruzione di reti di relazioni e dall’altro a mettere in comunicazione le istituzioni pubbliche con il territorio.
Su queste basi può svilupparsi una cultura di prossimità, legata al territorio.

Dina Giuseppetti | MaTeMù/CIES (BP)
Matemù nasce all’Esquilino su iniziatva dell’Onlus CIES sulla base della legge 285 con la creazione di un Centro di aggregazione giovanile. La legge che ha come finalità non solo la creazione di spazi in situazioni di difficoltà, ma vuole anche prevenire lo sviluppo di queste condizioni di disagio. Nei suoi dieci anni di vita, oltre al centro giovanile, sono nate molte attività che hanno più a che fare con la sfera artistica, diventando una Scuola d’arti popolare con undici laboratori (soprattutto di musica, teatro e hip-hop) gratuiti e destinati a ragazzi e ragazze dai 10 ai 25 anni.
La mission nativa si è dunque evoluta, proponendosi di combattere i limiti dell’accesso alla cultura. Inizialmente i partecipanti si dividevano tra ragazzi provenienti dalla periferia o migranti, e altri provenienti da scuole del quartiere, creando un luogo di incontro tra ragazzi con estrazioni sociali completamente diverse. Tuttavia questa diversità restava visibile anche all’interno dello spazio. La gratuità non è sufficiente a superare questo gap: molti ragazzi preferivano non approcciarsi a determinate attività, non riuscivano a immaginarsi come musicisti o teatranti, professioni di cui magari non conoscevano neanche l’esistenza. “A quel punto abbiamo deciso di organizzare i corsi in orari vicini o in contemporanea, organizzando il più possibile lezioni e laboratori a porte aperte, mettendole in diretta comunicazione con le scuole di italiano, le ripetizioni e il supporto scolastico, l’orientamento al lavoro e lo sportello di ascolto psicologico.”
Un’altra priorità è mantenere alta la qualità dei linguaggi artistici, assumendo gli insegnanti migliori insegnanti, dato che semplificare non avrebbe reso possibile la creazione di nuovi immaginari.
Vengono inoltre proposti diversi progetti nelle scuole per ampliare la platea dei ragazzi e delle ragazze “cascati” in Matemù passando per i servizi sociali.

Gloria Sapio | Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio (BP)
Periferie Artistiche-Centro di Residenza della Regione Lazio fa parte del progetto delle Residenze Artistiche riconosciute da MiBAC e regioni (Art. 43). Il centro è composto da quattro organismi: CIE Twain, Settimo Cielo, Ondadurto Teatro e Vera Stasi. Ha quattro sedi collocate nell’area metropolitana di Roma e della provincia di Rieti: Ladispoli, Arsoli, Tuscania e Antrodoco. Le Residenze Artistiche Nazionali sono ubicate per lo più fuori dai centri urbani e questo aiuta il riequilibrio territoriale e contribuisce a creare una mappatura socio-culturale dei territori.
Le nostre realtà hanno condiviso le rispettive esperienze maturate nel corso degli anni e collegato il progetto ai network nazionali e internazionali. Il progetto si avvale di partner promotori, come Romaeuropa Festival e il Circuito del Lazio, che ne sostengono il percorso. Se l’azione ha un focus sugli artisti e sulla valorizzazione delle realtà giovani, il territorio ne rimane il nutrimento: percorsi laboratoriali, coadiuvati da esperti, mettono in contatto cittadini di età diverse con ciascun artista ospite e la sua ricerca.

Ferdinando Vaselli | Associazione culturale 20chiavi | Distretto/Creativo (BP)
Il progetto, finanziato dalla Regione Lazio, interessa quaranta 40 comuni, dove propone spettacoli e laboratori teatrali in centri anziani e nelle scuole, soprattutto superiori. L’obiettivo è la diffusione del contemporaneo in provincia, dove i pochi teatri attivi hanno in genere una programmazione molto commerciale. I ragazzi hanno seguito percorsi di residenza interfacciandosi con numerosi artisti della scena contemporanea, in un dialogo che permettesse loro una maggiore comprensione di nuovi linguaggi.
Il progetto si articola soprattutto attraverso un teatro diffuso, in sette comuni, rivolto soprattutto a un pubblico di famiglie, e un festival (Storie di Lavoro) che si svolge in diversi ambienti aziendali e commerciali, a partire dai fiorai fino alle fabbriche di sanitari, molto diffuse nella zona.
La mission è creare un rapporto di fiducia tra compagnie, territorio, associazioni, scuole e cittadini, offrendo una programmazione di qualità.

Il video: Quarticciolo. La vita attorno a un tavolo. L’ultima serata secondo Alberto Caviglia from TBQvoices on Vimeo.

Il link: Quarticciolo. La vita attorno a un tavolo: il progetto

Paola Berselli e Stefano Pasquini | Teatro delle Ariette | Il Teatro delle Ariette al Quarticciolo (e non solo)
Dopo il trailer di Quarticciolo. La vita attorno a un tavolo (2020), sull’intervento del Teatro delle Ariette nel quartiere con il Teatro Biblioteca Quarticciolo, Paola Berselli e Stefano Pasquini riflettono sull’iniziativa. Il progetto ripende quelli realizzati in Francia e testato sul territorio dove ha sede il Teatro delle Ariette, la Valsamoggia. E’ un teatro che va incontro alla gente, che va a cercare le persone. L’esperienza ha prodotto il documentario con la regia di Alberto Caviglia.
In queste settimane il teatro non eiste: “Lo consideriamo tale solo quando è in presenza”, dice Stefano. “Lo sforzo che deve fare il settore è ritrovare la fiducia in un percorso che è stato solo interrotto”.
Riguardo al progetto ricordano come la loro intenzione sia stata quella di partire “disarmati”: l’ascolto e l’apertura sono alla base del lavoro in territori difficili.

FOCUS RAGAZZI

Mario Bianchi (Critico teatrale, Eolo Ragazzi) è da decenni un attento osservatore del teatro ragazzi: “Conoscevo tutti e quattro i proponenti delle Buone Pratiche, ma no n a vevo a pprofondito questi progetti, che mi sono piaciuti molto perché mettono l’infanzia al centro della comunità. Mi avete offerto una visione diversa: non lo spettacolo teatrale, ma il teatro per l’infanzia che comunica con la comunità.”

Giuseppe Antelmo | Casa dello Spettatore (BP)
Attualmente l’associazione è referente per Roma di Affido Culturale, un progetto nazionale presente anche a Napoli, Bari e Modena che sostiene e promuove la fruizione culturale, teatrale e non solo, dei bambini e delle famiglie. Il progetto è stato selezionato sulla base di un bando indetto dall’Impresa Sociale ‘Con i Bambini’ ed è finanziato attraverso il Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile. È un progetto triennale che deve ancora deve prendere il via.
“Il progetto ha l’obiettivo di creare una comunità educante che coinvolga le famiglie, le scuole e tutti quei soggetti che nei territori sono impegnati nella produzione artistica e culturale nella promozione sociale”. Ci saranno squadre formate da due famiglie ognuna che condivideranno fruizioni culturali destinate a bambine e bambini tra i 5 e 11 anni. In totale circa 100 famiglie che incontreranno e frequenteranno fino all’anno prossimo circa una cinquantina di spazi della cultura, tra cui teatri (e anche il Teatro Biblioteca Quarticciolo, che simbolicamente è stato il primo ad essere convenzionato con il progetto), ma anche i cinema, musei e associazioni che organizzano escursioni e laboratori ludo pedagogici, espressivi e artistici. Da un lato si punta sulla cultura come fattore di aggregazione sociale, di incontro e confronto tra adulti e bambini, dall’altro si sostengono le imprese e i soggetti che fanno e promuovono cultura in città.
Le periferie fisiche e quelle sociali hanno un elemento comune: la scarsa mobilità sia all’interno sia all’esterno. Quindi sicuramente abbiamo bisogno di infrastrutture, servizi e trasporti, ma soprattutto di una maggiore mobilità del pensiero e dell’azione educativa, soprattutto nei confronti dei più piccoli. Questa mobilità a valle deve consentire di superare tutte le barriere all’accesso alla cultura, ma soprattutto a monte serve ad abbattere le barriere tra cultura alta e cultura bassa: la cultura non deve diventare un’abitudine di consumo, ma deve essere la risposta a un bisogno realmente percepito.
“Il tempo di chiusura in cui siamo stati davanti agli schermi ha prodotto cambiamenti profondissimi nel nostro rapporto con il mondo. La visione è stata il canale principale del nostro rapporto con il mondo e con la conoscenza. Non possiamo sperare che finisca o sparisca quando potremo tornare a teatro o a visitare un museo. Questa mutazione investe sicuramente gli artisti, ma deve assolutamente chiamare in causa quegli adulti, genitori o insegnanti, che si fanno mediatori tra i bambini e la cultura. Altrimenti questo circolo virtuoso si perde sempre in un cortocircuito che non produce nulla.”

Valerio Apice | Teatro Laboratorio Isola di Confine (BP)
Fino allo stop di marzo abbiamo coinvolto fino a 1000 alunni l’anno delle scuole del territorio, che comprende quattro comuni in collaborazione. “Per me è una Buona Pratica perché ci ha permesso di reagire e di mantenerci vivi in questo periodo: noi non abbiamo mai smesso di incontrare i ragazzi in presenza. L’infanzia ci ha salvato.”
Prosegue Valerio Apice: “Avevamo progetti con le scuole, con la chiusura ci siamo dovuti fermare, ma ci siamo reinventati per stare a contatto con le famiglie e con i ragazzi che frequentavano i laboratori pomeridiani. Abbiamo registrato da casa nostra alcune puntate raccontando come un papà che parla a suo figlio, che è un burattino. Già lì c’era una grande relazione con il nostro pubblico, con la nostra comunità.”
Grazie al DPCM sulle attività educative, a giugno il TLIdC ha ripreso i laboratori grazie a un accordo tra il comune di Marsciano e la protezione civile: “Grazie a questo accordo noi non abbiamo mai smesso di incontrare i ragazzi. Tutti utilizziamo le mascherine e ogni operatore può incontrare un numero preciso di ragazzi. Abbiamo quattro gruppi di ragazzi dai 5 ai 17 anni. Siamo quasi gli unici in Italia. Questo ci è stato possibile proprio perché avevamo quel target di ragazzi che ci seguivano.”
Attualmente il progetto rischia di perdere la disponibilità della sala Eduardoi De Filippo, che si trova all’interno di un plesso scolastico: “Noi non lo chiamiamo sfratto, ma che ci hanno invitato a lasciare quella sala, perché ci sono esigenze legate al Covid. Noi siamo comunque pronti a fare teatro dappertutto.”

Marta Galli | Teatro del Buratto | Parola agli abitanti (BP)
Il Teatro del Buratto ha trovato nel 2017 una sede al Teatro Munari, a Milano Nord. Il progetto Parola agli Abitanti punta al coinvolgimento del quartiere in cui si trova il teatro. Questo tempo di sospensione delle attività al pubblico non è stato un fermo: il teatro ha deciso di rivolgersi alla cittadinanza per aprire un dialogo diretto con i quartieri di Bovisa, Affori, Dergano, Niguarda e Prato Centenaro, attraverso un questionario online, per capire, spiega Marta Galli, “come arrivare a chi non ci conosce e né ci frequenta e che invece abbiamo come vicino di casa.” E’ un questionario di poche domande, la cui progettazione è stata condivisa con altre 5 realtà importanti del territorio: Arci La Scighera, Rob De Matt, Cinema Nuovo Armenia, Mamusca e Associazione Meraki – Bisogni Culturali. Parola agli Abitanti coinvolge anche una rete di commercianti: attraverso il coinvolgimento diretto delle Associazioni Commercianti dei 5 quartieri interessati è stato chiesto ai negozi di diffondere e sostenere il questionario presso i loro clienti: hanno aderito più di 80 negozi – “Abbiamo contattato uno ad uno i referenti delle realtà commerciali, naturalmente concentrandoci su quelli che anche in zona rossa sarebbero rimasti aperti: farmacie, negozi di alimentari…”
Per sostenere l’iniziativa, i commercianti hanno la possibilità di regalare 100 buoni da 10 euro alle prime persone che rispondevano al questionario, questo è stato possibile grazie al coinvolgimento del Comune di Milano – Municipio 9 che ha sposato subito l’iniziativa e che anche vuole replicarla anche in altri quartieri del municipio, facendola diventare una buona pratica scalabile per raccogliere più dati possibili. “Abbiamo già raccolto quasi 900 risposte, confidiamo di raccoglierne più di 1000.”
Strategico per un teatro che si rivolge prima di tutto ai giovani è il rapporto con le realtà che si occupano dell’infanzia.
L’obiettivo è progettare un’offerta sul territorio che risponda meglio alle esigenze e ai bisogni degli abitanti, chiedendo suggerimenti e sollecitando la partecipazione. E’ un primo passo verso la co-progettazione: “Sugli 873 questionari raccolti ad oggi (la raccolta prosegue fino al 31 marzo 2021) all’ultima domanda: ‘Ti piacerebbe partecipare ad un gruppo aperto al quartiere di coprogettazione delle attività culturali specificatamente rivolte all’infanzia e all’adolescenza?’, ben 330 persone (più del 40% degli intervistati) hanno risposto di sì lasciando un loro contatto mail e/o telefonico.”

Matteo Negrin | Fondazione Piemonte dal Vivo | Media Dance (BP)
Media Dance ha l’obiettivo di avvicinare un pubblico giovane alla danza, rivolgendosi agli studenti delle superiori. È uno spazio di residenze e di ricerche, “in cui ci siamo chiesti come queste esperienze potessero essere rilevanti per il territorio e per la comunità. Abbiamo coinvolto 40 insegnanti delle scuole superiori, con cui co-progettaiamo e individuiamo temi rilevanti per giovani di quella età: il rapporto con il proprio corpo, i disturbi alimentari, l’omosessualità.”
In questo laboratorio permanente si sono dotati di competenze forti, grazie a collaborazioni come quella con il Dipartimento di scienza della formazione dell’Università Bicocca, il Dipartimento di studi teatrali dell’Università di Torino e la ASL. Grazie al progetto, 3400 studenti e studentesse che hanno abitato la Lavanderia a Vapore. Questa attività si è scontrata con la didattica a distanza, è finita su due piedi, è stato un problema per il mondo della scuola, così come lo è stato per lo spettacolo dal vivo: “L’ultima residenza d’artista a scuola si è conclusa in una scuola di periferia con Daniele Ninarello”.

LE DOMANDE IN CHAT
Il progetto include l’uso di un’applicazione che contiene l’offerta dei servizi educativi, ludici e culturali e una sorta di moneta virtuale. Come funziona l’e-ducato nella copertura dei costi relativi alle fruizioni culturali?
Giuseppe Antelmo: L’e-ducato è una moneta virtuale, perché il progetto sostiene i consumi delle famiglie. C’è un budget dedicato alla fruizione culturale che può essere utilizzato e speso sotto forma di e-ducati che verranno caricati sull’app che le famiglie avranno in dotazione. Su quest’app le famiglie potranno consultare tutta la rete delle strutture convenzionate e scegliere in autonomia a quale tipo di spettacolo assistere e a quale attività partecipare, prenotando e pagando l’ingresso attraverso l’app.

CULTURA PER I TERRITORI

Mimma Gallina lancia la nuova sessione: “Abbiamo sentito il racconto di pratiche molto concrete, che hanno recuperato la vecchia e funzionale forma del laboratorio. Le prossime Buone Pratiche hanno in comune il fatto di nascere in restituzione diretta da un ascolto del territorio. Inoltre abbiamo chiesto a un ricercatore come Tantillo di commentare le Buone Pratiche dopo aver letto i materiali e ascoltato i curatori con noi.” Sono pratiche che prevedono il coinvolgimento attivo delle comunità o di una parte della comunità di riferimento. Il punto centrale è creare legami nel territorio. Molte di queste pratiche sono spesso nate prima del 2020, ma hanno cercato di evolversi durante il periodo di pandemia.

Stefano Tè | Teatro dei Venti a Modena e Gombola | Abitare Utopie (BP)
“Da qualche anno ci facciamo suggestionare, inseguiamo l’immagine della balena bianca. Questo simbolo che ci spinge verso l’ignoto, tutto ciò che riguarda il mistero, un ignoto che cerchiamo di sfidare. Anche un questo periodo”: esordisce così Stefano Tè. “Questa nostra necessità di spingerci al di dà, è incarnata dal manifesto di Moby Dick, che comprende un lavoro con gli anziani, i bambini, i detenuti, gli immigrati e gli altri abitanti del luogo.”
La pratica entra al servizio di un’opera, di uno spettacolo è stato portato in tutto il mondo, cercando di stimolare la partecipazione dei cittadini dei luoghi che lo ospitavano.
Attualmente il Teatro dei Venti lavora a un nuovo spettacolo, che si annuncia ancora più complesso e più grande del precedente: “Stiamo affidando alla comunità un compito ancora più importante, affidando ai cittadini ciò che si genererà dallo spettacolo, ciò che nasce dall’imprevisto, il dopo spettacolo. Vogliamo creare un’enorme macchina che verrà distrutta, e da essa nascerà una nuova città che verrà abitata dal pubblico e che resterà in vita grazie alla cura di tutti.”
Abitare Utopie è il cantiere in vista del prossimo spettacolo. La pratica si concentra in tre luoghi:
1. Il quartiere di Modena dove ha sede il teatro dei Venti, dove cresce la presenza con laboratori nelle scuole, nella casa di riposo, nella strada di fronte al teatro, con gli stranieri immigrati presenti nel territorio: “Abbiamo trasformato i nostri spettacoli in doni da portare al citofono, arrampicandoci ai balconi e alle finestre delle scuole.”
2. il secondo luogo è il carcere (Modena e Finale Emilia), dove la compagnia è presente cinque giorni alla settimana: “Odissea per ora è un progetto sul web, che diventerà un programma radiofonico e che speriamo si trasformi un uno spettacolo che vedrà il pubblicò a bordo di un pullman che attraverserà l’intera città.”
3. Gombola è il terzo luogo: “Intendiamo rafforzare la nostra presenza con il progetto Spettatori residenti, in cui il pubblico verrà ospitato direttamente dagli abitanti di questo borgo degli Appennini. La creazione collettiva che aprirà il nostro festival sarà il frutto di una pratica coerente quotidiana, un esercizio che di condivisione e partecipazione.”

Bruna Gambarelli | Laminarie/DOM / Ampioraggio TV (BP)
Ampioraggio TV nasce dall’esperienza di Laminarie nel rione Pilastro di Bologna, dove persistono fragilità di carattere economico e sociale. Il Pilastro è vissuto dai cittadini di Bologna come una periferia, pur non essendo distante dal centro. Tra i progetti sviluppati nel quartiere da Laminarie c’è una rivista, “Ampioraggio”: “Ispirandoci a questo progetto e a un’esperienza preesistente nel quartiere, ovvero la prima televisione condominiale italiana, TeleTorre 19, abbiamo deciso di creare una tv che trasmettesse dal Pilastro, per continuare la relazione con le realtà incontrate negli anni precedenti.”
In palinsesto include informazioni sulla storia del rione: con l’aiuto di un archivio fotografico, si raccontano le trasformazioni urbanistiche del rione, intervistando i cittadini del quartiere.
“Rifacendomi a quanto detto da Paola del Teatro delle Ariette,” ha proseguito Bruna gambarelli, “credo che il teatro abbia una grande competenza: può andare nei territori per rimanere in ascolto e poi fare delle proposte. La nostra opera di ricamo si scontra però con l’arrivo dei grandi progetti, ossia con le decisioni calate verticalmente sui territori di periferia.”

Manuel Ferreira | Alma Rosé | Passeggiate teatrali (BP)
Anche Manuel Ferreira parla di Alma Rosé come di “ricamatori”: “Un territorio non si può colonizzare ma bisogna arrivare disarmati”, come dicevano le Ariette. Per illustrare il lavoro sui territori, Ferreira utilizza la metafora del frigo: si cucina con quel che c’è. Negli ultimi dieci anni, i figli di Manuel hanno frequentato la scuola del quartiere, un quartiere ricco e benestante (Porta Venezia), dove sono stati organizzati laboratori per bambini di 4-5 anni, nei quali non sono stati allestiti spettacoli, privilegiando invece il termine percorso: i genitori non si limitano ad assistere al saggio finale, ma lavorano con i figli alla fine dei laboratori: “Per i bambini, un genitore a testa, esperienza fisica, ‘ingaggi’”. La scuola è il fulcro della coesione sociale. “Gli adulti erano entusiasti dell’esperienza dei figli. I laboratori sono continuati con la partecipazione di professionisti molto impegnati, manager: è per questo che teniamo gli incontri una volta ogni 15 giorni.
Con loro sono stati realizzati diversi spettacoli, come Ritratti di quartiere, interviste nel quartiere con successiva restituzione al pubblico, oltre a uno spettacolo itinerante a partire dall’archivio della scuola, con genitori, maestre e bambini: “Queste persone sono diventate molto brave a fare teatro. Avevamo pianificato una festa di quartiere a settembre, un progetto finanziato da bando di quartiere, ma non è stato possibile realizzarla causa Covid”. Quindi è stato deciso di ispirarsi a una esperienza già fatta da altri, in particolare Comteatro: le passeggiate teatrali. In poco tempo, è stata realizzata la passeggiata teatrale Lettere al quartiere, grazie a 40 cittadini che hanno recitato e fatto i volontari per logistica. “C’è stata un’adesione enorme, da ottobre hanno iniziato online a creare una nuova produzione con genitori e figli. Il lavoro collegherà il percorso del Passante Repubblica all’esterno, con una commistione fra underground e vita.” L’ispirazione arriva dal teatro comunitario di Buenos Aires, per esempio il Grupo de Catalinas Sur). “Quando si lavora sul territorio non si lavora su pregiudizi: la vera coesione sociale si produce con le persone”, commenta Ferreira, che conclude: “Per questi progetti come questi, la parola ‘temporalità’ è d’obbligo”.

Paola Ricci | Teatro Apollo Mondavio (BP)
Mondavio è un paese di 4.800 abitanti dove la compagnia Asini bardasci cura una stagione all’interno di un teatro storico del comune. La stagione contava fino a 20 appuntamenti: molti, se consideriamo le dimensioni del territorio e la mancanza di una tradizione teatrale. La programmazione era centrata su teatro contemporaneo, nuova drammaturgia e danza: “Abbiamo fatto questa scelta per portare a conoscenza degli abitanti questi nuovi linguaggi. Abbiamo puntato subito – fin dal 2016 – sulla collaborazione stretta con gli abitanti del territorio.” La collaborazione spaziava dagli aspetti organizzativi necessari per lo svolgimento della stagione sul territorio (ospitalità degli artisti, viveri, altre forniture), fino al sostegno economico diretto. Con “L’abbonamento più sconveniente d’Italia” è stato lanciato una sorta di crowdfunding off line, dove le persone pagavano l’abbonamento più della somma del costo dei biglietti perché si sentivano partecipi e coproduttori della stagione teatrale. Potevano ricevere dei doni, per esempio uno spettacolo a casa loro. Anche gli artisti avevano la possibilità di restare più giorni a Mondavio e incontrare gli abitanti.
Dopo la pandemia è stato avviato il progetto Maps, una ricerca e collezione di storie all’interno della comunità, con l’obiettivo di rimettere in scena le testimonianze raccolte con gli stessi abitanti che le avevano raccontate. “Il lavoro avrebbe dovuto sfociare in uno spettacolo, questo non è accaduto a causa della pandemia. Abbiamo però creato una versione web del lavoro e abbiamo condiviso il materiale raccolto attraverso incontri online e telefonate.”

Labros Mangheras | TIB Teatro | La Casa delle Arti (BP)
A Belluno c’era una caserma abbandonata da vent’anni. Era un luogo degradato della città: “Quando abbiamo chiesto gli spazi al Comune, la risposta è stata: ‘Non abbiamo risorse da investire’. Per superare il problema, siamo giunti ad un accordo: noi ci impegniamo a rigenerare l’area, ma le risorse che impieghiamo le rendicontiamo al Comune che le trasforma in mensilità di affitto (pagate perciò anticipatamente!). Abbiamo inoltre ottenuto che l’area vebnisse affidata ad associazioni senza scopo di lucro, che lavorano con il sociale o la cultura.”
La Casa delle Arti è composta da un hangar di 400 metri quadri, da uno spazio all’aperto per spettacoli estivi e da un orto. L’area complessiva della caserma è i 40.000 metri quadri.
“Abbiamo chiesto ai nostri spettatori e amici di aiutarci nei lavori: insieme abbiamo disboscato l’area e, con le risorse ottenute da vari bandi, abbiamo costruito una foresteria, due sale laboratorio e una sala teatrale. All’interno c’è anche un laboratorio di scenotecnica e un magazzino per le nostre scenografie. Lo abbiamo fatto perché come compagnia avevamo la necessità di uno spazio che ci facesse rispettare i tempi della creazione artistica. Abbiamo creato anche uno spazio di co-housing dove si raccolgono idee di persone proveniente da tutta Italia.”
Oggi la Casa delle Arti è un luogo inclusivo. La coprogettazione non avviene solo con gli artisti ma anche con il pubblico. Durante la pandemia sono stati realizzati 25 laboratori teatrali, 4 laboratori di danza, 4 spettacoli.

Rosa Scapin e Angelica Basso | Comune Bassano del Grappa | Comunità/Cultura/Patrimonio (BP)
Il Comune di Bassano è assai virtuoso nella spesa culturale. Comunità/Cultura/Patrimonio è un progetto pluriennale con molte azioni, iniziato nel 2019. Il progetto nasce dall’organizzazione di Opera Estate Festival Bassano del Grappa, il focus dell’organizzazione è un festival diffuso nel territorio (nuove produzioni, giovani artisti, creatività contemporanea). Comunità/Cultura/Patrimonio mira a coinvolgere comunità che abitualmente non partecipano alle azioni culturali. E’ finanziato da un Bando Cariverona, tra i progetti per contrastare la povertà culturale.
Il progetto non si è fermato nel 2020 e prosegue nel 2021. Presupposti sono la sostenibilità e la sostenibilità anche nel tempo. Spiega Rosa Scapin: “Stiamo valutando quali azioni proseguiranno anche senza il sostegno economico di Cariverona.” Il progetto è stato condiviso con altri dieci comuni, le ASL e altre strutture e prevede tre macro azioni: Cultura/patrimonio, Access e Empowerment (parte tecnico-politica e parte artistica).
Angelica Basso è responsabile organizzativa progetto: “All’inizio del lockdown, abbiamo deciso di concentrarci sulla riorganizzazione del progetto e la costruzione di nuove modalità di relazione tra le comunità coinvolte e le comunità artistiche. Sono messaggi di speranza volti al futuro e al post-emergenza.” L’obiettivo è mantenere vive le relazioni con i partner per riprogrammare le azioni, individuando e attivando nuove metodologie di coinvolgimento utilizzando gli stumenti digitali (Zoom, google meet, skype…). Sono previsti corsi di formazione per operatori artistici, l’uso di whatsapp in maniera interattiva, podcast per le comunità coinvolte: “Si tratta di mantenere viva la co-creazione drammaturgica per la produzione spettacoli e per processi di valorizzazione territorio.”

Carlo Bruni | Sistema Garibaldi, Bisceglie (BP)
Carlo Bruni parte dal progetto lanciato dal Sistema Garibaldi nel marzo 2021, i 3 tavoli, La Città che impara, La città è partecipazione, La Città e l’economia della cura: “Questo mese, racconta, “ho invitato un gruppo di donne che portassero il loro sguardo e la loro voce alla comunità.”
Sistema Garibaldi è un progetto nato per dimostrare che il teatro è una comunità politica: “Abbiamo cercato di non soccombere alla sudditanza a Netflix, quindi lo scorso marzo abbiamo chiuso il teatro – che era comunque chiuso da due anni – e non lo abbiamo portato in streaming. Lo abbiamo ripensato e portato nella città per costruire degli scenari che parlassero delle tematiche che stanno effettivamente a cuore alla comunità. Il mese scorso per esempio abbiamo affrontato il tema della salute.” Motore del progetto sono i cittadini: “Ma quando dobbiamo lavorare su un edificio, non mettiamo in mano al pubblico la matita dell’architetto in un palazzo vuoto! Cerchiamo invece di alimentare una pratica di dialogo costante con il pubblico.”
Anche per Bruni è necessario puntare sulle risorse umane: “La immobilità degli attori non viene certo risanata dai ristori. Invece il nostro lavoro portato nella comunità avrebbe pututo creare dei meccanismi di partecipazione.”
Negli anni scorsi, la priorità erano le giornate di apertura e gli spettacoli: “Siamo stati i primi a ospitare Macbettu in Puglia”.
Ma nel nuovo scenario pandemico, non si tratta più di scommettere sullo spettacolo, quanto sulla ragione stessa del teatro: “Io credo che un teatro vuoto possa dire molto, che possa rappresentare. Quando sono arrivato a Bari, il Teatro Petruzzelli incendiato rappresentava la città.”
Il rapporto tra teatro e comunità è decisivo. Il rischio è di perderlo, se non si non affrontano l’azione e la disperazione che ci sono intorno al teatro. Per recuperare e reinventare questo rapporto, “il web può aiutare, anche se a volte in maniera superficiale. Può essere un modo per avvicinarsi al pubblico e far scoprire degli abissi ignorati. In questo periodo di pandemia abbiamo trasformato un’ex mensa di una scuola elementare in un laboratorio con cucina – innanzitutto – ma anche in un’officina tecnica e in uno spazio scenico dove fingere di allestire uno spettacolo.”

Marta Marangoni | Minima Theatralia | Urban Metamorphosis (BP)
Durante la pandemia Minima Theatralia ha proseguito le attività presentate alle Buone Pratiche nel 2019.
Nei quartieri del nord ovest milanese, che erano in origine dei borghi, negli anni c’è stata una perdita del senso di comunità: “Noi siamo intervenuti con il teatro, con una risignificazione dei luoghi all’aperto, ma in pandemia ci siamo dovuti rintanare e il progetto è diventato Urban Metamorphosis. Abbiamo cercato di incontrare tutte le realtà attive nella città metropolitana, come la Rete TiPiCi (Trasformazione Partecipata della Comunità), con cui abbiamo intrapreso un percorso di autoformazione e scambio di buone pratiche, nuove metodologie e tecnologie, mantenimento della relazione con la propria comunità e sostegno economico.”
Minima Theatralia ha creato La canzone fattapposta, con il duo Duperdù, recuperando risorse per finanziare in parte la continuazione del progetto kafkiano Urban Metamorphosis: “Abbiamo tenuto sette laboratori con target diversi: anziani, bambini eccetera. Non è stato facile restare in contatto con gli anziani. Abbiamo chiesto loro di rovistare nei loro cassetti alla ricerca di fotografie e nella prima finestra possibile abbiamo lanciato un progetto fotografico partendo da quegli scatti ritrovati. Abbiamo dunque coinvolto artisti che non appartengono al mondo teatrale. Nel mondo post pandemico speriamo che questo possa essere l’inizio di un nuovo laboratorio con gli anziani per raccontare delle storie.”

Filippo Tantillo | Ricercatore territorialista
“Sono molte”, esordisce, “le sollecitazioni ricevute dagli interventi precedenti”. È stato coordinatore scientifico del team di supporto al Comitato Nazionale per le Aree Interne: il suo lavoro consiste nel promuovere la coesione sociale, in particolare nelle aree marginalizzate, immediatamente fuori dai centri storici e dalle città “scintillanti”.
Tantillo affronta alcune questioni fondamentali.
La prima riguarda la cultura come diritto di cittadinanza: “La cultura non deve essere considerata un bene di lusso.” Ma come questa idea di cultura può essere espressa dalle arti performative?
Tantillo registra una grandissima vivacità sul territorio nazionale: le aree marginali sono spazi di sperimentazione, perché vengono percepite come “fuori” dal mercato: un mercato che premia uno e ne condanna 99. A fare attività su questi territori sono persone appassionata di cambiamento, gente disarmata, senza pregiudizio, che ricama e costruisce. Esprimono anche una radicalità politica, perché le politiche pubbliche non riescono di fatto spesso a raggiungerle (anche perché il welfare percepito come un costo per le aree a distanza), promuovendo una immaterialità per luoghi mentre le politiche pubbliche si riferiscono spesso a luoghi fisici.
Queste esperienze dimostrano che si può vivere di teatro e si può creare economia: ma è necessario costruzione questa consapevolezza.
Alle Buone Pratiche si è parlato di Veneto e di montagna: “Abbiamo ricchezze diffuse che però non sono utilizzate. Oggi viviamo un senso sostanziale di smarrimento, dovuto al Covid ma anche – in molte aree del paese – al terremoto, eventi che hanno rimesso in moto l’idea di comunità. Oggi le comunità sono esplose e di conseguenza si riscopre una cultura di comunità: con il Covid, i centri si sono chiusi e si sono riattivate le comunità originarie, ci si è sperimentati con il mutualismo.”
Tantillo sottolinea infine l’atteggiamento “non estrattivista” di queste esperienze nei confronti del territorio. E conclude rimanrcando che dalla parte delle politiche manca il finanziamento ai produttori: “E’ necessario un maggiore riconoscimento del lavoro nella cultura.”

FESTIVAL, COMUNICAZIONE, TERRITORI

Giulia Alonzo inquadra la prospettiva da cui osservare in questa occasione il mondo dei festival, eventi temporanei che racchiudono in sé l’elemento della festa. Dall’alto lato abbiamo i territori, le cui politiche non sempre contemplano pratiche culturali: non sempre questi due mondi dialogano tra loro. Ma quando avviene, i festival assumono un ruolo centrale: “Elemento fondamentale per la ripartenza sarà la partecipazione delle comunità temporanee, che si aggregano per è un piacere condiviso, e dei territori.”
Nel corso del 2020, mentre il Covid metteva in discussione il concetto di partecipazione e di fruizione di un evento culturale, oltre alle modalità di organizzazione dell’evento, sono nati ben 24 nuovi festival culturali, di cui tre ospitati da borghi con meno di 5.000 abitanti: è evidente quindi il ruolo di attivatore culturale che può avere un festival.
Il festival può essere uno strumento per la creazione di comunità, può essere un ponte per creare connessioni e occasioni di dialogo e ascolto, può invitare alla riscoperta di un patrimonio culturale, tangibile e intangibile.
In questa direzione vanno diverse esperienze legate alla natura e alla riscoperta del territorio. È il caso di Stazione di Topolò, che si svolge a Topolove, “la città più piccola del mondo” con soli 30 abitanti, al confine tra Italia e Slovenia, nelle Valli del Natisone. Topolò nel mese di luglio diventa crocevia di artisti di varie discipline, che dal 2011 si ritrovano per un non-festival, un laboratorio site-specific di frontiera: “Tutto ciò che accade prende vita dal contatto diretto con il luogo, che diventa così motore principale (e non scenario) degli eventi.”
Passeggiate nei boschi ad ascoltare poesie è la formula proposta da L’importanza di essere piccoli, festival di poesia e musica nato nel 2011 da un’idea di Daria Balducelli e Azzurra D’Agostino dell’associazione Sassi Scritti, con reading e passeggiate per riappropriarsi di una dimensione di lentezza a contatto con la natura.
La luna e i calanchi, il festival della paesologia diretto dal poeta Franco Arminio, ad Aliano, 900 abitanti in Basilicata, dal 2013 invita una selezione di artisti a lasciare tracce di carattere materiale sul paese e sul paesaggio. Usando le parole di Arminio, il festival “è il tentativo di coniugare arte e ambiente in un connubio non asservito alle logiche del puro consumo culturale. L’idea è che le persone del paese e gli artisti invitati e i visitatori del festival costituiscano una comunità provvisoria capace di infondere fiducia nella vita dei piccoli paesi”.
I festival culturali possono essere una leva di riqualificazione e di rilancio per il territorio in cui si svolgono, oltre a offrire evidenti vantaggi reputazionali, anche come strumento di promozione turistica.
Alcuni festival indagano il passato del territorio, alla ricerca della sua unicità, per attrarre anche pubblici internazionali: è il caso di John Fante Festival, nel comune di Torricella Peligna, 1252 abitanti sulle montagne abruzzesi, che dal 2006 ospita la manifestazione ispirata alle opere del narratore più maledetto d’America, secondo Bukowski.
Un fenomeno in crescita sono i festival che usano le street art per la riqualificazione territoriale. Da manifestazioni storiche come la Biennale del Muro Dipinto di Dozza, si arriva a casi più recenti, come il CVTà Street Fest a Civitacampomarano, borgo di 341 abitanti sulla montagna molisana, che nasce nel 2014 da un’idea dell’artista Alice Pasquini, alias AliCè. L’evento coinvolge gli abitanti, che mettono a disposizione i muri delle proprie case: “Gli abitanti del borgo adottano l’artista e i suoi lavori diventano motivo di orgoglio e punto di partenza per una riscoperta e una valorizzazione del centro antico”. Anche Aielli, comune di 1.469 abitanti nella provincia dell’Aquila, è ormai una galleria a cielo aperto: nel 2019 è nato il festival Borgo Universo, diventato poi museo pubblico con visite guidate, organizzate dai volontari del paese coinvolti nel progetto.

Martha Friel | Iulm
Il rapporto tra turismo e festival in questo momento è assai complicato. Avevamo già toccato il tema del rapporto nella scorsa edizione delle Buone Pratiche ed è stato poi sviluppato in un libro di prossima pubblciazione.
Le difficoltà che accomunano i due settori possono portare a una maggiore interazione. I festival hanno una grande importanza per il turismo, ma coloro che operano nel mondo del turismo e coloro che operano nel mondo dei festival hanno ancora difficoltà a parlarsi in modo strutturato e a lavorare insieme su diversi temi, a cominciare da quello della comunicazione.
Il sistema dei festival e il turismo possono lavorare insieme su 3 livelli:
– Destinazione: non importa che la destinazione sia piccola, grande o fuori dai flussi del turismo di massa, l’importante è che gli operatori dello spettacolo e coloro che si occupano di destination management lavorino in sinergia. A volte attività virtuose vanno a scontrarsi nell’efficacia finale con il sistema della ricettività, della ristorazione, dei trasporti.
– Operatori: bisogna creare dei legami tra gli operatori del territorio e quelli dei festival per creare nuove esperienze e supportare l’attività dei festival.
– Turisti: anche i turisti possono contribuire a creare nuovi significati, nuovi sistemi di riqualificazione dei luoghi.
Il mondo del turismo deve essere consapevole dell’importanza dei festival e dello spettacolo nella riqualificazione dei luoghi. Le nuove forme di turismo devono puntare alla qualità e a esperienze culturali e di territorio diverse da quelle precedenti alla pandemia.

Elisa Di Liberato | Trentino Brand New (BP)
Non sono stati i resposanbili della comunicazione territoriale in Trentino a rivolgersi a Trentino Brand New, ma è stato il progetto a porsi come spazio di apertura e di nuove narrazioni per il territorio realizzate dagli abitanti.
Lo scopo è quello di creare uno spazio per chi abita il territorio per smuovere l’immaginario del luogo in cui vive e per contro-narrarlo, rispetto alla narrazione turistica, che spesso si fonde con la percezione del territorio da parte dei suoi stessi abitanti, anche perché la narrazione turistica in Trentino ha uno spazio smisurato.
Il fine ultimo dell’attività di Centrale Fies è mettere in moto una comunità di “pensatori seriali”, costituita principalmente da under 35 attraverso un progetto sostenuto dalle Politiche Giovanili (il nostro interlocutore istituzionale). È un appuntamento annuale al quale partecipano tra i 25 e i 30 giovani, che arrivano a Centrale Fies e vivono lì per una settimana. Si alternano docenti di varie discipline e si vanno a smuovere una serie di leve che mettano in discussione e facciano esplodere l’immaginario dominante, che ha l’obiettivo di mostrarci solo la natura incontaminata.
Il progetto Trentino Brand New si sviluppa invece a partire dalle dark zone del territorio. È un’azione politica: ci si sottrae alla narrazione mainstream della potente macchina che fa comunicazione turistica sul territorio. È una proposta che fa comunità all’interno del territorio e consegna la narrazione nelle mani degli abitanti.

Serena Terranova | Amigdala | OvestLab e Periferico (BP)
Serena Terranova cura la direzione artistica di Periferico, un festival che si pone l’obiettivo di indagare e sperimentare territori. Il lavoro è svolto da una squadra multidisciplinare, in grado di occuparsi dei luoghi in modo tecnico e competente. Il collettivo comprende un’architetta esperta di processi di partecipazione. Obiettivo ultimo è l’attivazione dei luoghi attraverso le comunità che li abitano. Serena Terranova racconta del villaggio artigiano di Modena Ovest, dove il festival – in precedenza nomade – ha trovato sede dal 2016 e dove il collettivo ha attivato uno spazio aperto attraversabile: lì nascono le iniziative della comunità, di cui il collettivo è ricettore. Il collettivo Amigdala lavora da 15 anni usando il metodo della rigenerazione urbana. In origine, Periferico era un festival mobile, che esplorava anno dopo anno spazi che richiedevano attivazione, all’interno della città di Modena. Terranova racconta che la pratica parte sempre “con la scopa in mano”: pulizia, ripristino dell’aria degli ambienti. Proprio per questo il festival si è trovato bene in quello spazio, tra operai e artigiani che sono ancora una comunità, che ha fondato il quartiere e che tuttora lo tiene in vita (anche se comunque con un’alta percentuale di dismissione).
Vengono dunque attivati processi sulla comunità, tra l’occasione del festival e la temporalità. “Fionda” è la rivista cartacea costruita con gli abitanti del quartiere insieme ad altri provenienti da altre zone della città, che sostengono il progetto: è uno strumento di riflessione sul futuro. Secondo Serena Terranova, il gruppo di lavoro di cittadini che partecipano alla rivista ha scatenato quello che definisce “engagement al quadrato”, anche durante il periodo di chiusura per Covid. Racconta infine del Modena Ovest Pavillion, uno dei progetti dell’anno scorso che ha permesso di rendere pubblico uno spazio privato, con l’intervento dell’artista Isabella Bordoni, un processo di riattivazione che coinvolge anche i privati. Periferico, conclude Terranova, “appartiene per la dimensione ai piccoli festival, a cui però bisogna riconoscere una capacità: visto dall’alto, ha una dimensione estesa, soprattutto per la lunghezza dei fili che costruiscono le relazioni. Dall’interno invece si percepisce la puntualità degli interventi.”

Dabiela Nicolò | Santarcangelo Festival | How To Be Together (BP)
L’intervento parte da una domanda: come verrà coinvolta la comunità di Santarcangelo nella gestione del progetto di questo campeggio?
Daniela Nicolò, direttrice artistica del Festival e della compagnia Motus, spiega che lo spazio andrà a risolvere il problema dell’accoglienza, soprattutto per i giovani che vogliono seguire il festival e nel 2021 avranno ancora più problemi per l’alloggio a Santarcangelo, consoiderata la crisi economica. L’obiettivo è rendere il festival accogliente e orizzontale.
La buona pratica nasce dalla trasformazione di un progetto sulla formazione internazionale, che il festival non ha potuto svolgere l’anno scorso. Il campeggio diventerà luogo di incontro e di riflessione tramite cinque workshop che serviranno per immaginare nuove forme di collettività. Non solo un campo, ma uno spazio di ricerca e di pensiero.
La pandemia ha atomizzato il tessuto sociale, portando a galla le fragilità e le iniquità su cui si fondano le democrazie liberali. Per uscire dallo scenario critico sono necessarie pratiche collaborative. Il progetto farà parte di un network europeo con istituzioni europee innovative nell’ambito della produzione.
Oggi, alla luce delle urgenze poste dalla crisi pandemica, le istituzioni formative stanno avvertendo l’esigenza di ripensarsi e dunque alcune scuole di formazione si allenano con i festival per aprire un campo di riflessione sul presente. Questa istanza ha incontrato la progettualità del Comune.
Il campo non viene pensato come installazione temporanea ma ambisce a divenire una struttura permanente, un bene comune che resterà spazio allestito per essere usato anche da altre manifestazioni e organizzazioni. E’ un omaggio che celebra i cinquant’anni del festival con un’area verde rigenerata nel Parco dei Cappuccini, la collina che sovrasta lo spazio per gli spettacoli e che è meta di escursioni e passeggiate. Progettato dallo studio Ama, nasce anche dal dialogo con un collettivo di artisti, attivisti, costruttori, che lavorano tramite il riciclo dei padiglioni di architettura e arte delle precedenti Biennali di Venezia, per una produzione partecipata e un laboratorio di costruzione con le maestranze locali. Ospiterà non solo gli spettatori del festival che vorranno entrarvi ma almeno 50 fra artisti e studenti che saranno selezionati tramite open call. Sono previsti cinque workshop e tra i curatori ci saranno alcuni bambini che insegneranno agli adulti a smontare le proprie sovrastrutture.

PRATICHE DI PARTECIPAZIONE

Marina Petrillo (Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse) e Beatrice Sarosiek (project manager indipendente) | Theatre Sharing (BP)
Per Marina Petrillo, l’idea è ricostruire l’appartenenza di un luogo – il teatro – voluto dai cittadini. Il Teatro del Ponente è un esempio di teatro costruito dal basso e poi affidato a varie gestioni, con esiti alterni, fino al recente affidamento al teatro della Tosse.
Il progetto Theatre Sharing ha l’obiettivo utopico di costruire una relazione tra i cittadini e l’offerta culturale che il luogo produce attraverso una direzione artistica condivisa. “Quando nel 2018 il Comune di Genova e il Municipio Settimo Ponente hanno affidato tramite bando al Teatro della Tosse questa sala di Voltri, ci siamo trovati a lavorare in un luogo che non conoscevamo e si è resa evidente la necessità di metterci in ascolto”, spiega Petrillo.
Beatrice Sarosiek sottolinea che l’idea utopica è un teatro co-gestito con i cittadini. E’ stato prima di tutto necessario lavorare sulla squadra del Teatro della Tosse per dotarsi delle competenze necessarie per avviare un processo partecipativo. Il progetto è iniziato a gennaio 2020, prima della pandemia, quindi gli strumenti di lavoro sono stati cambiati in corso d’opera.
– Il primo passo è stato convocare le associazioni del quartiere: è stato creato un tavolo di condivisione per ragionare sul teatro, sul suo valore e sul senso può avere co-gestirlo. Al board partecipano otto associazioni molto diverse tra loro: si occupano di disabilità o di povertà educativa, c’è una scuola di danza…
Sono stati poi definiti gli obiettivi condivisi. Sono emersi i valori e le motivazioni in cui il tavolo si riconosceva: la storia del quartiere, l’inclusione sociale, il teatro come possibilità di connessione tra i soggetti di quel territorio, il desiderio che questo spazio fosse aperto.
– Uno degli obiettivi è la valorizzazione delle competenze interne al gruppo di lavoro.
– Partirà quindi un processo di revisione partecipata degli spazi, grazie anche alla collaborazione di un artista locale che ha competenze di street art e che lavorerà con i ragazzi delle scuole del quartiere. L’obiettivo ultimo è una comunicazione condivisa affinché il teatro acquisisca una nuova identità.

Marina Visentini (Teatro Magro), Giuseppe Provinzano (Babel Crew) e Asinitas| Incroci (BP)
Il progetto è il frutto del dialogo tra tre realtà che tra le loro varie attività prevedono anche l’inclusione della popolazione migrante.
Nasce dall’esigenza di ciascuna delle realtà di uscire dall’isolamento delle singole esperienze, dal bisogno di un confronto sociale e artistico.
Si prevedono tre azioni:
1. confronto artistico e sociale tra i partner: riunioni e incontri intensivi dedicati allo scambio delle Buone Pratiche. Il sogno sarebbe creare un modello formativo nazionale dedicato alla fascia di popolazione che soffre di emarginazione sociale.
2. presentazione del risulato del lavoro all’interno del festival di Santarcangelo
3. conclusione a Roma con conferenza-convegno e laboratori artistici.
Il progetto sarà supervisionato da Andrea Porcheddu, Paolo Masini, Teatro e Critica.

Ermanno Nardi | Industria Scenica | Inneschi (BP)
Inneschi nasce da una serie di processi portati avanti da Industria Scenica a partire dal 2014 a Vimodrone. La sede di Industria Scenica è una ex balera (Everest spazio alla cultura) nata negli anni Cinqeuanta. In questo edificio Industria Scenica ha innestato processi di drammaturgia di comunità con l’obiettivo di promuovere la produzione culturale come se fosse una responsabilità condivisa dai cittadini. Nel corso del primo lockdown sono stati individuati da Industria Scenica e alcune associazione del territorio alcuni presidi culturalii: le scuole, la Biblioteca Garofalo, la Cascina Tre Fontanili (uno spazio vissuto da over 65), lo stesso Everest.
Il progetto Inneschi, attivo da luglio 2020 e finanziato dal bando 57 della Fondazione Comunità Milano, prevede un dialogo con le comunità di questi spazi con l’obiettivo capire insieme cosa fare di questi spazi.
Le azioni sulle quali il progetto si concentra sono:
1. il riabbellimento delle facciate di questi presidi. Insieme alle comunità sono stati scelti degli street artist che andranno a ridipingere le scuole, la biblioteca, l’Everest e la Cascina Tre Fontanili;
2. attraverso progetti di drammaturgia di comunità saranno raccolte le storie di questi luoghi che successivamente verranno restituite attraverso documentari, installazioni, mostre e una pubblicazione;
3. un festival programmato a giugno 2021 e giugno 2022 dove verranno presentate le facciate ridipinte e i prodotti culturali elaborati;
4. una vetrina affittata da Industria Scenica, che nel periodo Covid è diventata una bacheca dove sono ospitati eventi culturali. Questo spazio diventerà una vetrina per Vimodrone, una mostra-museo permanente dove esporre tutto quello che riguarda la cultura vimodronese;
5. la comunicazione sarà partecipata. I cittadini attivi che partecipano al progetto diventano loro stessi i performer dell’azione comunicativa.
Il progetto sarà sottoposto a una valutazione d’impatto a cura della Fondazione Fitzcarraldo per capire i risultati e i cambiamenti generati.

Laura Capasso | Manifatture Teatrali Milanesi | Visionari (BP)
Oliviero Ponte di Pino ricorda che i Visionari sono già stati ospiti in passato delle Buone Pratiche e chiede cosa è successo al progetto in tempo di pandemia. Anche considerando che la visione dei video degli spettacoli era parte integrante del processo di selezione.
Nel 2021, risponde Laura Capasso, il Progetto Visionari portato avanti da Manifatture Teatrali Milanesi ha avuto un afflusso maggiore rispetto all’anno precedente. Al progetto Visionari 2021 di Manifatture Teatrali Milanesi, hanno partecipato 65 persone (in crescita rispetto all’edizione precedente). All’edizione 2021 hanno partecipato anche due classi di un istituto tecnico di Melegnano (MI).
Come è stato detto, i Visionari erano già abituati a un lavoro da remoto per la visione degli spettacoli. La novità ha riguardato la discussione, che è è avvenuta in modalità telematica. Nel contesto pandemico, Visionari è riuscito ad aggregare persone e a creare una comunità più velocemente rispetto alle edizioni precedenti. In questo senso la modalità di incontro online ha favorito la partecipazione della comunità. La sfida successiva sarà quella di capire l’evoluzione del progetto nei prossimi anni: sarà possibile trovare una mediazione tra il piano virtuale e quello in presenza o si tornerà del tutto in presenza?

Michele Rossi e Luca Ricci | Kilowatt Festival | European Art Commissioners (BP)
European Art Commissioners fa parte del progetto BeSpectative, che coinvolge 19 partner in tutta Europa e interessa due realtà europee: CapoTrave Kilowatt (Sansepolcro) e Brut (Vienna). Si tratta di un progetto translocale basato su processi di democrazia culturale e intende coinvolgere cittadini con diversi background sociali e culturali ai quali è richiesto di esprimere i propri pensieri e sensazioni e di condividere desideri e bisogni. A Vienna il progetto ha coinvolto un gruppo di spettatori attivi, a Sansepolcro il gruppo nasce dai Visionari per poi coinvolgere altri cittadini.
Inizialmente si sono svolti incontri separati tra le due comunità, per capire i problemi e i desideri legati ai contesti locali. Tutti gli incontri di Sansepolcro si sono svolti online, a Vienna una camminata-brainstorming ha portato i partecipanti nei quartieri di Vienna e poi gli incontri si sono spostati online. Dopo uno scambio dei meeting reports degli incontri preliminari delle due comunità, un incontro ha coinvolto una parte dei due gruppi e ha portato alla creazione di una mappa. Dal confronto con le comunità è emerso il tema “Connessioni”, che è stato condiviso con quattro artisti (due per paese) indicati dalle direzioni artistiche di Sansepolcro e Vienna. Dopo alcuni incontri in cui gli artisti hanno presentato la loro proposta, le comunità hanno redatto una classifica ed è stato scelto il duo Soot/Zeyringer da Vienna con la proposta Conntecting Views. Seguiranno due fasi dove gli artisti si confronteranno prima con le due comunità e poi faranno una residenza a Sansepolcro e a Vienna per realizzare l’opera selezionata.

CONCLUSIONI E SALUTO FINALE

Mimma Gallina annuncia la creazione di un gruppo di lavoro e un indagine (coordinati da Giulio Stumpo e Stefania Minciullo) per classificare e approfondire alcune delle pratiche (e altre eventuali) che più corrispondono alle caratteristiche indicate. In particolare, saranno analizzate le economie, le modalità di gestione, i formati e le modalità di rapporto con le comunità.
Dagli interventi sono emerse alcune criticità. Ci sembra necessario il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione della funzione e della specificità di queste attività, che rischiano di essere a metà tra sociale e culturale e di non avere un riconoscimento né da una parte né dall’altra. Pur richiedendo competenze specifiche, inoltre, c’è il rischio che scivolino in una dimensione extra-professionale, in cui il volontariato è prevalente (un fenomeno che caratterizza quasi tutte le attività sociali e sempre più anche quelle culturali). Nonostante la buona volontà, la creatività, l’inventiva, le elevate competenze messe in campo, ci sembra che queste attività rischino di non poter costruire una propria economia, che presentino problemi di sostenibilità.
Ma a fronte di queste difficoltà, è emersa un’incredibile vivacità e è sorprendente la grande diffusione di queste pratiche, anche rispetto alle necessità di distanziamento sociale.

Stanchi ma felici…

 

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