#coronavirus | Altofest con il Covid non si fa. Nel 202X si fa Cyclorama
Non è l’edizione in streaming del festival partecipato napoletano, ma “paesaggio umano e vibrante della Città Sospesa”
Altofest non è solo un festival. A discapito di quanto suggerisce il nome, è prima di tutto un dispositivo che attiva comunità. Roberto Corradino, tra gli artisti “residenti”, ne dà una esatta illustrazione:
Trattasi di disorientamento e nomadismo ma in una nuova dimensione in cui l’opera biologica è opera viva. Noi performer insieme con i nostri donatori di spazio, siamo l’opera, insieme riscopriamo parole che per me non avevano più senso, come la parola “fratellanza”.
Uno dei donatori di spazio dichiara:
Altofest ordina cose già esistenti ma disordinate: una discarica diviene un parco.
Per Anna Gesualdi, direttore artistico con Giovanni Trono,
la trasformazione avviene perché non si agisce su piani teorici ma sul quotidiano.
Ma di che si tratta?
Cyclorama è non è l’edizione in streaming di Altofest ma “paesaggio umano e vibrante della Città Sospesa”.
La squadra di Altofest è composta dai due direttori, dai numerosi artisti e donatori di spazio che hanno ospitato gli artisti nelle loro case, dove si sono svolte mises-en-éspace e da: Loretta Mesiti, dramaturg; Camilla Stellato, organizzazione; Antonio Arte, Giovanni Passariello, Ilaria Garzillo, Rosa Coppola, Vicky Solli, unità operativa; Roberta Ruggiero, tirocinante.
Il 27 dicembre sono stata invitata a una festa online, inaugurata dal concerto live di Antonino Talamo, ipnotico percussionista che costruisce melodie e architetture ritmiche utilizzando gli strumenti e gli oggetti a sua disposizione, così come lo sperimentatore acustico Giulio Escalona che si esibisce con
strumenti costruiti ed elaborati con l’antica tecnica del fai-da-te e del riciclo. Vi potrebbe quindi succedere di ascoltarmi mentre suono un cactus, circuiti, chiodi, luci al neon, tubi, molle, circuiti rotti, pezzi di ferro, ossa, diapason, giocattoli, giocattoli modificati, giocattoli rotti, cassette, lampadine, radio e radio rotte. Potrebbe anche succedere di vedere le proiezioni che realizzo in tempo reale con oggetti e lavagna luminosa, pennarelli, fogli, ritagli, telecamere scadenti, videomixer modificati, VHS, acqua e gli immancabili circuiti.
L’inconsueto s’irradia installandosi nel consueto. Ambientazione esotica è quella in cui la piccola bimba Greta, donatrice di spazio, si diverte in quella che Carlo Infante definisce “festa mobile”, citando Hemingway.
In centinaia ci ritroviamo, anche noi studiosi della comunità di ricerca, assetati di rivedere i volti conosciuti e le anime esplorate nelle nostre “narrazioni” di Altofest, tutto quanto ci ricordi che il Teatro è connessione, relazione: comunità.
Ci sentiamo finalmente immuni quando scorrono le immagini delle edizioni passate, un dono comunitario che “ti sfonda la porta di casa e quando se ne va lascia impronte geologiche”, come dice un donatore di spazio. Dalla Corea a Malta, dalla Germania al Belgio, da Napoli a Matera i corpi divengono la vera lingua, non serve a volte che l’interprete traduca, la commozione ha il sopravvento, trasformando un salotto nello studio di un artista.
C’è il Covid e per la prima volta tutti i protagonisti dal 2011 #online #onlife fino a questa non-edizione del 202x civilmente ci abbracciamo condividendo un tessuto di carne e battiti.
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