Oltre il coronavirus | Perché l’emergenza non deve diventare la nuova normalità
L'intervento all'Assemblea Nazionale di C.Re.S.Co. del 18 novembre 2020
Questo l’intervento di Oliviero Ponte di Pino il 18 novembre 2020 all’Assemblea nazionale di C.Re.S.Co.
Ho seguito con grande interesse i lavori dell’Assemblea di C.Re.S.Co. ieri pomeriggio, ma con un sentimento ambiguo.
Man mano che parlavano i diversi relatori, mi sono segnato le parole chiave utilizzate dai relatori: il lavoro, l’internazionalizzazione e il rapporto con l’estero, i festival, la drammaturgia, il tema fondamentale degli squilibri territoriali, il rapporto con il pubblico…
La prima sensazione è stata gratificante: questi sono proprio i temi su cui abbiamo lavorato in questi vent’anni con ateatro.it e con le Buone Pratiche del Teatro.
Quando è esplosa l’emergenza pandemica, ci siamo detti: in questi anni abbiamo ragionato intorno a una serie di temi, proviamo a identificare le parole chiave, linkandole a quello che abbiamo pubblicato sul tema dal 2001 a oggi. Ne è uscito questo Dizionario2020 | Per una politica culturale e dello spettacolo
E ci siamo chiesti se le parole chiave usate fino a oggi servono ancora, se sono ancora le chiavi giuste per quali immaginare il nostro futuro. Oppure dobbiamo pensarne di nuove? O magari declinarle in una maniera diversa? Come possiamo usarle in maniera più efficace? Possono servire come armi per smuovere la realtà in cui ci muoviamo?
Da qui nasce il mio disagio: se le parole sono giuste, evidentemente non siamo state efficaci, se dopo continuiamo a scontrarci con gli stessi ostacoli.
I poteri pubblici sono intervenuti in questi ultimi anni (e in questi mesi) a favore dello spettacolo dal vivo con le modalità inadeguate, e a volte scandalose, di cui abbiamo discusso ieri e oggi. Su quale base, con quali criteri sono stati assegnati fino a oggi i fondi pubblici allo spettacolo?
Il primo criterio è la storicità. La regola degli ultimi Decreti Ministeriali, quella che limita lo scostamento del contribuito FUS da un anno all’altro al massimo del 5% forse è legittima nell’arco del triennio, quando si lavora a un progetto unitario. Ma è del tutto sbagliato che questo limite del 5% valga anche da un triennio all’altro: perché mai il progetto realizzato nei tre anni precedenti deve incidere sul triennio successivo? Questo atteggiamento che privilegia le rendite di posizione dipende anche dai rapporti di forza politici: basta guardare i beneficiari dei 5 milioni di euro del Decreto Direttoriale 1670 del 17 novembre 2020: botte di 700.000-800.000 euro ai “soliti noti”. Quello che conta sono i rapporti politici sedimentati nel corso degli anni.
La seconda modalità di erogazione, che ispira l’algoritmo del FUS, è basato sui numeri: quanti spettatori, quante giornate lavorative, quante piazze dentro e fuori Regione, eccetera. Va tenuto presente un aspetto che ha un impatto sull’intera impostazione ministeriale: in Italia le sovvenzioni teatrali sono nate negli anni Venti per sostenere un settore industriale in crisi (e infatti il contributo FUS, almeno formalmente, non sostiene un progetto triennale, ma ripiana ogni anno un passivo di bilancio). Anche le scelte fatte nell’emergenza pandemica rispondono a questa impostazione: sostenere un settore in crisi e i suoi lavoratori.
La terza modalità è stata sistematicamente applicata nel corso dell’emergenza: è il contributo a pioggia, cioè pochi soldi a tutti, con l’immediato vantaggio di mettere a tacere una grande quantità di soggetti con un sostegno – adesso si dice “ristoro” – immediato, che costruisce una base di consenso che riduce problemi e proteste. Oltretutto dare soldi a pioggia è più facile che decidere di assegnare contributi differenziati, per i quali è necessario scegliere dei criteri di valutazione: questo implica una decisione politica e un meccanismo di controllo che richiede tempo, mentre invece l’imperativo è l’urgenza.
In teoria ci sarebbe un’altra modalità, quella che bisognerebbe applicare per prima: valutare progetti e obiettivi. Tornando alle parole chiave, bisognerebbe forse valorizzare progetti efficaci, che cerchino di raggiungere gli obiettivi utili.
Le parole chiave che abbiamo usato fino a ieri, quelle che usiamo da anni alle Buone Pratiche e che ho risentito qui, sono quelle giuste? Centrano gli obiettivi verso cui dobbiamo muoverci? Ma forse dobbiamo inventarci un nuovo vocabolario. La situazione pandemica ci sta insegnando nuove parole, o forse ci sta insegnando a dire le vecchie parole in una modalità nuova.
Un’ultima annotazione, per cercare di orientarci. Tra le persone che partecipano a questa assemblea, non so quanti siano artisti e quanti invece figure organizzative o direttive, e quanti siano l’uno e l’altro insieme.
In Francia usano un’espressione che da noi non si usa. Il “margine artistico” differenzia quello che viene speso effettivamente per produrre o ospitare opere, spettacoli, mostre (il discorso si applica a tutte le istituzioni culturali), ovvero quello che non serve a sostenere i costi di struttura, la “macchina”. In questa pandemia ad avere le spalle più coperte sono stati coloro che hanno un rapporto di lavoro stabile con le istituzioni culturali, ovvero soprattutto le figure organizzative, gestionali, amministrative, che hanno potuto godere per esempio della cassa integrazione. A essere più pesantemente penalizzati sono stati coloro che hanno rapporti di lavoro intermittenti, a cominciare dagli attori, dai tecnici, dai musicisti.
Allora come possiamo tutelare i creatori? Come possiamo aumentare il margine artistico senza un ulteriore carico burocratico? Come facciamo a ridare valore al rischio culturale, senza che l’emergenza appiattisca le progettualità nella dimensione della i mera sopravvivenza e quindi di conservazione dell’esistente?
Quando, con l’Associazione Culturale Ateatro, siamo stati chiamati il 20 ottobre 2020 in audizione alla Camera, ho cercato di dire una sola cosa: le misure che vengono decise e adottate in questa fase di emergenza, sulla spinta di pressioni fortissime, rischiano di modellare il teatro del futuro. Dobbiamo essere molto vigili per capire quello che succede, ma dobbiamo anche cercare di inventarci il futuro.
Per tornare al punto da cui sono partito, se dovessimo essere noi a lanciare bandi e progetti, come li dovremmo immaginare? Quali sono le parole chiave, i nuclei poetici su cui modellare i nostri obiettivi?
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