La Direzione è donna! Il principio di pari opportunità deve valere anche in teatro (con la mappatura delle donne nei TN e nei TRIC)

Perché i direttori dei Teatri nazionali sono solo maschi?

Pubblicato il 23/11/2020 / di / ateatro n. 174

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, anche perché si tratta di un tema che ci sta a cuore da sempre (vedi Il sipario di cristallo con il saggio di Laura Mariani registe di teatro in Italia. Ce n’est qu’un debut).

In questo periodo storico è forte l’esigenza comune di una rimessa in discussione delle pratiche di gestione del sistema pubblico del nostro paese. Anche settore dello spettacolo dal vivo sarebbe necessario svecchiare o modificare alcune abitudini che si sono fossilizzate negli anni e che sembrano impedire oggi un deciso adeguamento delle politiche sociali e culturali agli standard europei.
Vorremmo che il teatro come luogo di cultura potesse essere un faro, un pilastro importante nella ricerca di questo rinnovamento del sistema.
Proprio in questi ultimi mesi alcuni dei Teatri Nazionali di prosa più importanti d’Italia hanno visto la nomina della nuova direzione con modalità che hanno acceso grande dibattito pubblico e politico, non senza attraversare criticità sostanziali – e parliamo del Teatro di Roma e del Piccolo Teatro di Milano.
Purtroppo, dopo una prima fase estiva di acceso confronto sui criteri più trasparenti con i quali due identità così importanti dovessero gestire tali passaggi di testimone, assistiamo ad uno scemare del monitoraggio e della pressione mediatica nei confronti di tutti gli altri soggetti: Emilia Romagna Teatro e Stabile del Friuli Venezia Giulia, per esempio, sono tutt’ora in attesa di scegliere una nuova guida; altre realtà, invece, l’hanno appena nominata, come nel caso del Teatro di Roma e dello Stabile d’Abruzzo il cui discusso mandato, pur non essendo un Teatro Nazionale, citiamo comunque per dovere di cronaca.
Queste recenti o imminenti nomine non possono che sollevare un’urgente e condivisa riflessione su un dato che riteniamo evidente: se consideriamo i soli Teatri Nazionali in Italia, non troviamo ad oggi nessuna donna che ricopra il primo ruolo direttivo.

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Riteniamo che non sia più possibile pensare a successioni di posizioni così delicate solo come passaggi di testimone da un uomo a un altro: sono spesso infatti gli stessi nomi ad alternarsi alla guida di questo o quel teatro, alcuni addirittura finiscono per rimanere in quelle posizioni per un paio di decenni.
In altri paesi europei la presenza di soli uomini alle posizioni decisionali in ambito culturale è studiata e monitorata direttamente dal Ministero della Cultura, che investe in ricerche e prevede politiche per colmare il divario di genere. Qui da noi non se ne parla, si dà per scontato che non debba costituire motivo di attenzione.
E ancora che tipo di impatto crea sulla diversificazione di offerta culturale e su tutto il settore produttivo questo tipo di tendenza?
Se il pubblico si allontana dal teatro è anche perché il teatro non riesce ad essere quello specchio della società che resta la sua vocazione principale; se il teatro non rappresenta la nostra vita è anche perché le scelte culturali spesso difettano di visioni, di rapporti reali con le persone, di inclusività fattiva nei confronti dei generi, delle classi sociali e di quelle diversità che chiedono a gran voce di essere narrate e rappresentate. Il teatro deve connettersi alla società e non rimanere sordo alle sue richieste perché è esso stesso generatore di comunità e di cultura sociale, motivo per il quale viene pubblicamente sovvenzionato.
Le donne candidabili a posizioni apicali ci sono anche nel nostro settore. Spesso lavorano già negli stessi teatri o enti in posizioni chiave. Ne viene riconosciuta la competenza e il valore. Quando però si tratta di valorizzarle, candidandole alle posizioni di maggior rilievo nazionale o di più evidente peso politico vengono messe da parte, restano indietro.
Noi non siamo più disposte ad accettare la cancellazione delle donne.
Vogliamo che mai più una nomina, una pubblica chiamata o un bando possa essere considerato accettabile se non prevede la candidatura di una o più donne.
Non chiediamo di modificare gli statuti dei Teatri Nazionali, ma ci aspettiamo che siano i membri dei Cda a rendersi fautori consapevoli di un cambiamento progressista, assumendosi la responsabilità di dotare le proprie imprese di guide sì competenti e lungimiranti ma in un’ottica di inclusività e di condivisione
trasparente con tutti i soggetti del settore. Riteniamo necessaria inoltre l’istituzione di un organo di controllo preposto e super partes che possa obiettivamente monitorare quanto l’accesso alle candidature e le nomine stesse rispondano a criteri paritari di genere.
Il solo bando pubblico, anche quando applicato o previsto dagli statuti, non rappresenta infatti di per sé garanzia di equità anche se la sua applicazione
sembrerebbe al momento la più raccomandabile. Bisogna istituire criteri di selezione che prendano in considerazione le disparità di genere e cerchino di colmarle.
Non è più accettabile, inoltre, che le nomine dei teatri siano sottoposte platealmente a criteri di spartizione politica o a pressioni generate all’interno e
all’esterno dei Cda.
È dunque venuto il momento di pretendere criteri di accesso inclusivi e trasparenti, che siano basati su un semplice principio giuridico presente nella Costituzione e che dovrebbe guidare questo e altri passaggi della vita del nostro Paese: il principio di pari opportunità.




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