La ripartenza dei festival dopo il lockdown
Dei 300 festival in calendario tra marzo e giugno, 35 festival sono passati in streaming, 28 a giugno-agosto, 34 a settembre, 24 a ottobre, 98 sono stati e 81 sono ancora indecisi sul da farsi
I festival rappresentano ormai un elemento centrale del panorama culturale italiano, sia a livello quantitativo sia per quanto riguarda la loro funzione. Il portale trovafestival.com ha censito oltre un migliaio di manifestazioni nei diversi settori: arti visive (95), cinema e audiovisivo (177), libri e approfondimento culturale (255), musica (261), spettacolo (284).
Il loro impatto economico è significativo. Nel 2018 i festival culturali italiani hanno generato una spesa di gestione pari a 23,9 milioni di euro che ha innescato 41,2 milioni di produzione e 18,9 milioni di valore aggiunto. Limitandoci agli ambiti del cinema e dello spettacolo dal vivo (arte, danza, musica, teatro), ogni euro speso nella gestione organizzativa genera 1,7 euro di produzione di beni sul territorio e 2,4 euro di valore aggiunto. Analizzando l’indotto del comparto culturale, sempre in base ai dati della Confcommercio, la spesa media del pubblico, oltre al biglietto di ingresso, è di 53 euro a persona che si traduce in 5,3 miliardi di euro in beni e servizi e in 15,5 miliardi di euro di indotto a livello territoriale e 99 000 unità di lavoro (fonte: analisi Impresa Cultura Italia-Confcommercio, 2018). È evidente la centralità del settore per la filiera turistica, sia come attrattore del “turismo culturale” sia per le ricadute sul piano della reputazione.
I festival culturali hanno anche un significativo impatto sociale. Creano occasioni di identità, socialità e consapevolezza nei cittadini e accrescono il loro capitale culturale e cognitivo. Possono inoltre innescare processi di riqualificazione dei territori, a partire da un aumento dell’occupazione nell’indotto del festival.
Sul versante culturale, i festival hanno offerto e offrono un’occasione per mantenere viva la tradizione e l’identità del nostro paese e dei suoi territori, per esempio attraverso le manifestazioni che celebrano grandi artefici del teatro musicale italiano. In molti ambiti hanno offerto una libertà di sperimentazione e di innovazione che le strutture “feriali” non hanno concesso, in particolare negli ambiti delle arti visive, dello spettacolo e della musica contemporanea.
Sul versante della socialità, i festival possono innescare meccanismi di partecipazione e attivazione dei cittadini e delle comunità: esemplare il caso degli abitanti di Sansepolcro coinvolti nella progettazione di un festival di teatro come Kilowatt. Più in generale, si pensi al ruolo dei volontari nella realizzazione di molte manifestazioni e agli effetti anche di lungo termine di questo coinvolgimento per i singoli volontari e per il territorio. Inutile sottolineare quanto le fiere e i festival letterari abbiano contribuito in questi anni ad accrescere la consapevolezza sul ruolo (e sul piacere) della lettura, in un paese che ha indici di lettura inferiori a quelli della maggioranza degli altri paesi europei.
Allo sviluppo di questo settore non ha però corrisposto in questi anni una analoga consapevolezza sia da parte dei soggetti coinvolti sia da parte della politica e dell’amministrazione. I festival vengono in genere considerati un sottosettore all’interno di settori e discipline specifici: manca una visione di insieme, necessariamente trasversale ai vari ambiti. Analogamente, le forme di rappresentanza sono frammentate e dunque scarsamente efficaci (se non nel sostenere i soggetti affiliati).
Non è un processo facile. Oltre alle differenze tra i vari settori e ambiti, anche al loro interno le differenze sono significative: per obiettivi, modalità operative, dimensione (budget e incassi, numero spettatori, numero eventi).
Il settore festivaliero, per la sua capillarità e per i suoi impatti, economici, sociali e culturali, è strategico. Dall’inizio della pandemia Trovafestival sta monitorando la situazione. Al 18 giugno risulta che 35 festival sono passati in streaming (rischiando quindi di perdere il contatto con il territorio), 28 festival si sono spostati da marzo-maggio a giugno-agosto, altri 34 festival si sono spostati a settembre e altri 24 a ottobre, con un aumento significativo dell’offerta di fronte a una domanda che forse resta invariata e molto probabilmente diminuisce. Ma il dato più significativo è che 98 festival sono stati cancellati e 81 appaiono sono ancora indecisi sul da farsi.
Nonostante il grande momento di incertezza, l’inventiva culturale è esplosa dimostrando come la cultura riesca a sopravvivere e magari reinventarsi, nel rispetto (a volte creativo) delle norme.
E’ tuttavia indispensabile, come rilevato da più parti, avere normative sulla sicurezza certe e uguali in tutto il territorio nazionali, secondo una timeline (anche ipotetica) evitando così il rischio di penalizzare un settore già pesantemente colpito.
A tal proposito va segnalato il progetto di Urbino Teatro Urbano, in collaborazione con ISIA, GoDot, la creazione di una segnaletica ad hoc post pandemia. Altri festival hanno poi raccontato di pensare a performance site specific e segnaletica umana per trasformare un limite in intrattenimento.
Al problema della marginalità e della scarsa consapevolezza del ruolo dei festival corrispondeva il loro scarso peso nello scenario della attuale discussione sulle politiche culturali. Molto spesso nemmeno i festival e i loro artefici riescono a superare un orizzonte che vada al di là dei loro indiscutibili meriti per ragionare in un’ottica di sviluppo e di sistema.
In questi mesi di lockdown diversi festival hanno avvertito il bisogno di una rappresentanza categoriale: alcuni si sono uniti creando reti e tavoli, manifestando congiuntamente (settore della musica), e tuttavia manca ancora una visione unitaria del settore e delle sue esigenze.
Trovafestival e ateatro si impegnano a offrire in questa fase un primo strumento di informazione, sia sulle attività del settore sia con un monitoraggio della situazione.
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