#coronavirus 9 | Lo spettacolo dal vivo al tempo del distanziamento sociale: antichi dispositivi per il tempo nuovo
Che cosa possono insegnarci i peep show, Jerzy Grotowski, Luca Ronconi, Motus, Lemming, Rimini Protokoll...
Ho preso tutte le mie precauzioni ma…
Forse non sopravviverò alla quarantena.
Forse non sarà il coronavirus. E’ una malattia terribile, ma mi sono barricata in casa con scorte per sei mesi di cibo, alcol, sostanze…
Di certo non sarà la castità forzata. La notte ululo come una gatta in calore e surriscaldo i sex toys della mia ampia collezione.
Di certo non sarà la carenza di teatro. Basta il ricordo del brusio di una platea che si riempie a farmi piangere, ma poi si apre il sipario e ricordo i mediocri spettacoli che ho visto in questi mesi.
Il mio principale fattore di rischio?
Al momento è l’alluvione di video teatrali che mi travolge su tutti i canali.
Coronaporn
Tutti leggono tutto a qualunque ora del giorno e della notte: poesie fiabe romanzi racconti copioni pensieri e pensierini liste della spesa e della tintoria diari d’infanzia e di prigionia ricette della nonna e della zia…
Teatri, teatrini e teatroni resuscitano file obsoleti e lanciano palinsesti che nemmeno all’epoca delle radio e delle radio private, negli anni Settanta…
Pigiami e vestaglie, scolapiatti e librerie polverose, scollature vertiginose e felpe antinebbia, balconi e salottini: non vedo l’ora di partecipare al contest per il miglior look e il miglior interior design ai tempi della quarantena Si accettano candidature per la Quarantine Fashion Week & per il DentroSalone e Tinello.
Proprio questa esplosione esibizionistica ci fa capire che andare a teatro sia un’esperienza diversa. Scegliere di uscire di casa. Entrare in uno spazio con un gruppo di sconosciuti. Sedersi uno accanto all’altro, sulle poltroncine o sulle panchette. Assistere a un evento che è destinato a sorprendermi, nel bene e nel male. Condividere un’esperienza. Tornare verso casa con frammenti di memoria che a volte mi lavorano per anni nell’inconscio… (E magari rimorchio qualcun* con cui passare la notte, per fortuna…)
Tutto questo non mi accade mentre guardo Netxflix o ascolto un’attricetta che biascica La principessa del pisello… E nemmeno di fronte all’esplosione dei nostri più grandi attori che allietano questo nostro Purgatorio per festeggiare il Dantedì.
Inutile ripeterselo: il “qui e ora” della rete resta diverso dal “qui e ora” del teatro.
Mi intristisco.
Così, nella pausa tra un video di Coronaporn (il genere emergente del video hard al tempo delle mascherine chirurgiche: 30 milioni di ricerche in meno di un mese su Pornohub, spiega “Psychology Today”) e il collaudo di uno dei sextoys vintage della mia raccolta, sogno che i teatri finalmente riapriranno e che tutto ritorni come prima del 23 febbraio, quando hanno chiuso le sale della mia Milano.
Il ritorno alla normalità
Il ritorno alla normalità sarà graduale. Teatri, cinema e musei saranno gli ultimi a riaprire, così come sono stati i primi a chiudere. E il pubblico sarà piuttosto restio a concentrarsi in luoghi affollati, mentre il virus continuerà a circolare (speriamo assai meno…). Avremo interiorizzato gli imperativi del distanziamento sociale, già ora l’avvicinarsi di un corpo estraneo sul marciapiede ci mette a disagio.
Per riconquistare il diritto al teatro, nelle mie gelide notti mi immagino due strade.
Entrare in clandestinità, trasformando ogni spettacolo in rave party, con il brivido dell’illegalità.
Oppure pensare che attraverseremo una forma di convalescenza, una graduale decompressione, una progressiva rieducazione al teatro e alla socialità.
Dovremo sperimentare (o recuperare) dispositivi che consentano di godere l’esperienza dello spettacolo dal vivo, il “qui e ora” dell’evento, rispettando le necessarie cautele dettate dalla compresenza.
Mi è tornato il sorriso. La storia del teatro e dello spettacolo offre qualche suggerimento. L’obiettivo è mantenere il necessario distanziamento sociale:
1. degli spettatori tra di loro;
2. tra gli spettatori e il performer (o i performer);
3. tra i performer.
Il Peep Show
Voi pensate subito al porno…
In realtà l’antenato più illustre del dispositivo adottato nei quartieri a luci rosse lo ha descritto nel 1435 Leon Battista Alberti nel De Pittura.
Fino a quel momento la camera oscura veniva utilizzata soprattutto per osservare le eclissi, ma con l’invenzione della prospettiva si erano aperti nuovi campi d’indagine.
Il sistema prospettico inventato da Brunelleschi, che probabilmente utilizzava una camera oscura, consentiva di creare immagini che erano “miracoli di pittura”.
In seguito i peep show sono stati utilizzati come attrazione per i più piccini, finché non hanno trovato nuova vita grazie all’industria del porno. Intorno a una ragazza che si esibisce in un peep show (interpretata da una indimenticabile Nastassja Kinsky) ruota Paris Texas di Wim Wenders (1984).
Il dispositivo del peep show consente di rispettare le condizioni di sicurezza, con o senza vetro di separazione.
Qualcuno ha già immaginato dei peep show di alta gamma. E’ successo al Fuorisalone del 2010, con l’installazione Peep-Show, Fishes and Other Objects of Desire ideata dall’Università di Ginevra (Arte e Design) e ospitata alla Officina della Torneria.
Ma al Peep Show rimanda anche il progetto Urban Playhouse. A Communal Drama in Seven Acts.
Spettacoli per un solo spettatore
Gli spettacoli per un solo spettatore sono ormai un genere. Basta citare il pionieristico Edipo. Tragedia dei sensi per un solo spettatore ideato da Massimo Munaro per il Teatro del Lemming: dopo il debutto nel 1997, continua a essere replicato ancora oggi. Il genere ha addirittura ispirato una rassegna monografica, lo One-on-One Festival che si è tenuto al Battersea Art Centre di Londra nel 2010 e nel 2011.
La formula viene oggi rilanciata da Marat Gatsalov, che dirige il Teatro dell’Opera e del Balletto di Perm, in Russia: “Ci hanno detto che non possiamo far entrare gli spettatori a teatro. Ma questo non vuol dire che non possiamo farci entrare un solo spettatore”, ha dichiarato a “The Guardian”.
“Ho pensato a tutte le volte che mi ritrovo seduto da solo in platea e assisto a uno spettacolo. E’ una sensazione davvero speciale, un’esperienza importante sia per lo spettatore sia per chi si trova in scena”.
Ovviamente la disponibilità di posti è limitata, ma Gatsalov ha già la soluzione. Il botteghino accetterà 850 prenotazioni a replica, che si tratti di opera, balletto o concerto. Tra chi si è prenotato, verrà estratto a sorte lo “spettatore fortunato”, che acquisterà il biglietto al prezzo abituale potrà così assistere allo spettacolo.
Un problema. Il meccanismo garantisce il distanziamento sociale del pubblico, anche con la sanificazione della platea. Ma non garantisce quello tra gli interpreti: pensate al coro di un’opera o a un pas-de-deux…
La lezione di Grotowski
E’ il 1964 quando Jerzy Grotowski porta in scena Il principe Costante, ovvero La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca nella riscrittura di Juliusz Slowacki.
La scena disegnata da Jerzy Gurawski posiziona gli attori e l’azione scenica al centro dello spazio e sistema il pubblico tutto intorno, sopra una pedana sistemata all’esterno di una parete di legno.
Nel programma di sala dello spettacolo, Ludwig Flaszen scriveva:
“La sistemazione del palcoscenico e del pubblico sta a metà fra l’arena e la sala operatoria: per questo si può avere l’impressione di assistere, osservando l’azione che si svolge in basso, a qualche sport crudele in un’antica arena romana, oppure ad un’operazione chirurgica così come è ritratta nell’Anatomia del dottor Tulp di Rembrandt.”
(Ludwig Flaszen, in Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970, p. 114)
Un dispositivo analogo è stato costruito nel 1988 dai Motus per la loro rivisitazione sadomaso del poema di Ludovoco Ariosto, O.F. Orlando Furioso impunemente eseguito da Motus.
Il pubblico era sistemato all’esterno di una barriera circolare e poteva osservare lo spettacolo attraverso una serie di feritoie opportunamente distanziate.
Il teatro all’italiana
Al centro di moltissime città del nostro paese campeggia un teatro all’italiana, con una platea circondata da diversi ordini di palchi. Un suggerimento per il possibile recupero di questi spazi nel periodo di convalescenza dello spettacolo dal vivo arriva da alcuni allestimenti di Luca Ronconi, a partire dalla sua messinscena del Calderón di Pier Paolo Pasolini all’epoca del Laboratorio di Prato.
La scenografa Gae Aulenti aveva unificato il palcoscenico e la platea del Teatro Metastasio con una grande pedana, sulla quale si svolgeva l’azione scenica, sistemando il pubblico nei palchetti. Veniva rispettato anche il distanziamento sociale tra gli interpreti: le attrici si muovevano infatti nello spazio lungo percorsi spessi circolari.
Lo stesso Ronconi ha ripreso la soluzione quando ha allestito L’Orfeo di Claudio Monteverdi al Teatro Goldoni di Firenze nel 1988. Anche in questo caso il pubblico era sistemato nei palchi. Con un sorprendente effetto speciale, la platea dove si svolgeva l’azione alla fine dello spettacolo veniva invasa dall’acqua.
In questo “peep show all’italiana” ogni palchetto, opportunamente sanificato e dotato di bidone di Amichina e fazzoletti disinfettanti per detergere eventuali liquidi oganici, potrà essere riservato a un singolo spettatore, che avrà così modo di assistere allo spettacolo senza correre rischi di contagio, perché anche gli ingressi saranno contingentati. Per salvaguardare gli attori, nell’acqua che eventualmente invaderà la platea sarà versato un adeguato quantitativo di candeggina.
La finestra sul cortile
Prima o poi le esibizioni canore degli italiani dal balcone o dalla finestra del condominio finiranno per annoiarci.
Ci stuferemo anche di spiare i vicini richiusi nell’appartamento di fronte, che hanno esaurito il loro repertorio di posizioni erotiche e di litigi per futili motivi.
Avremo bisogno di forme di intrattenimento più articolate e sofisticate.
Un possibile modello è stato sperimentato per la preview del nuovo Virgin Hotel di Chicago nel 2014.
Gli spettatori, sistemati sulla terrazza sovrastante il palazzo dall’altro lato della strada (ed eventualmente dotati di cuffie), potevano spiare quello che avveniva nelle diverse stanze dell’albergo attraverso le ampie finestre.
Arte partecipata
Il ricordo di una performance partecipata come Remote Milano dei Rimini Protokoll sta già ispirando le menti dei nostri creativi più eccitanti.
Uno di loro ha ideato Supermarket Milano, che pare abbia già avuto un’anteprima clandestina in un ipermercato dell’hinterland.
Gli “spettattori” che si recano a fare la spesa vengono accolti dallo staff, che distribuisce le cuffie (debitamente sanificate).
Seguendo il racconto e le istruzioni somministrati da una voce computerizzata, gli spettattori vengono invitati a eseguire gesti esemplari (come starnutire nel gomito), semplici coreografie, pas-de-deux con il carrello della spesa o con il saccone modello Ikea portato da casa per trasportare le scorte alimentari.
Al termine della coda, sulla soglia del supermercato, un addetto dotato di mascherina chirurgica e guanti ritirerà e sanificherà la cuffia.
Viene segnalato il caso di alcuni consumatori che hanno pretesto di poter rifare la fila per sapere come va a finire la storia.
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