Milano en travesti… e sullo sfondo Parigi
Venere nemica di e con Drusilla Foer e Il giardino delle ciliegie con le Nina’s Drag Queens
Gli eccessi delle Drag Queen, i travestimenti un po’ baracconeschi cedono il passo a una sobrietà eccentrica, sia per Drusilla Foer sia per le Nina’s Drag Queens. La vicenda diventa protagonista e, nonostante la tristezza, le ragazze riescono ad accendere l’epilogo con una fiamma di speranza: dalla rassegnazione si può ripartire nella moltitudine della tragedia.
La cattiveria, la battuta, la verità si dissolvono nella bellezza, quella bellezza che salverà il mondo.
Ha debuttato in prima nazionale a MTM – Teatro Leonardo di Milano Venere nemica di Drusilla Foer, apertura di una lunga tournée. Poco dopo è andato in scena, sempre al Leonardo, Il giardino delle ciliegie con le milanesi Nina’s Drag Queens, che torneranno in febbraio con Drag Penny Opera e in marzo con Vedi alla voce Alma. Se al trittico si unisce la scintillante Drusilla, ecco un Grand Tour sul fenomeno del travestimento in scena.
Drusilla è nota per aver partecipato come opinionista sopra le righe alle trasmissioni di Chiambretti e della Dandini. E’ magrissima, altissima, maliarda. Al secolo è Gianluca Gori, poliedrico attore, pittore e artista fiorentino. Di sé scrive: “Ho un fratello di nome Gherardo e due sorelle, scomparse durante un incidente aereo. Inoltre, ho due nipoti: Ginevra e Giacomo. Il maschietto è il mio preferito: condividono con l’amore per la lettura e per le mostre d’arte. Sono cresciuta in una famiglia privilegiata non amo affatto definirmi una nobildonna, anzi, sono una ragazza anticonformista, ribelle e irrequieta”. Dopo lo one woman show Eleganzissima, si fa dirigere dal bellissimo Dimitri Milopulos (che è anche direttore del festival Intercity a Sesto Fiorentino) ed è prodotta da Franco Godi. La scena di Venere nemica è essenziale: una lunga tenda bianca che evoca il mare o le alte finestre di una casa parigina. Veste un tailleur, una tunica e un abito fasciante d’oro.
Le Nina’s sono sei in scena, per la drammaturgia di Lorenzo Piccolo e la regia di Francesco Micheli (che ha una significativa esperienza nella regia lirica), e mettono en travesti la dimensione letteraria, colta, con un pizzico di parodia e molto sentimento. Dopo i laboratori al Teatro Ringhiera e al Teatro Fontana, hanno anche una scuola per chi vuole imparare a stare sui tacchi. Di loro stesse e della loro “sorellanza” dicono: “Ci sentiamo giovani esploratrici”. Nel travestimento e nel rovesciamento dei generi, le contraddizioni diventano visibili come cicatrici, sono finestre spalancate: uno squilibrio costante, dove si rincorrono forza e fragilità, melodramma e commedia, ironia ed emozione, le grandi dive e le scappate di casa.
Sul corpo di una Drag Queen viaggiano storie che vogliono essere raccontate.
Gli uomini che fanno le donne: nella storia del teatro è un lungo percorso, dal teatro greco all’età shakespeariana, dal teatro dei gesuiti al Kabuki e al No in Giappone, per arrivare fino ai Legnanesi. Oggi la scena queer ha cancellato il vecchio qualunquismo da avanspettacolo, fatto di facili battute, a favore di un’ironia più sottile e pungente. Abbandona il trash e i locali della movida per conquistare il palcoscenico.
Il travestimento svela.
Drusilla si permette una lunga storia, una fabula greco-romana ispirata ad Amore e Psiche di Apuleio. Lei, Venere nata dalle onde, un’età che conta secoli di esperienza, dialoga con una cameriera, si prende gioco del suo mare e dell’essere nata tra le onde. Una lunga tenda evoca la schiuma dell’oceano e la vaporosità del presente, perché oggi Venere si è trasferita da Milo a Parigi. Questa è l’invenzione narrativa: una fuga dal mondo degli immortali, con il loro noioso paradiso, per venire incontro agli uomini, che sono molto più interessanti proprio perché sanno che tutto finisce. Proprio di mortalità parla Drusilla nell’affascinante monologo finale, quando vestita di un abito d’oro, stile Marlene, ricalca Josephine Baker in uno strepitoso I Am What I Am.
Chi è oggi Venere? Una sofisticata signora che evoca l’Olimpo come un salotto borghese, feste chic, parenti antipaticissimi e divinità preda delle loro nevrosi e dalle loro qualità: geniale il passaggio in cui Venere disperata cerca aiuto al telefono chiamando gli altri dei, che le sbattono giù il ricevitore.
Drusilla, autrice del testo, complice la regia di Dimitri Milopulos, langue drammatica e tragica quando, guanti di gomma e toga da “casa”, è costretta a ripulire il corpo dell’amato figlio, reduce da chissà quale battaglia. E’ una madre sopra le righe, una cattiva che incontra la fragilità umana e s’innamora del nostro umanissimo e instabile stare nei sentimenti.
Nella consapevolezza del baratro imminente o di una possibile svolta, la vita può diventare straordinariamente “croccante”. Dobbiamo solo ricordarci di non perdere il filo e continuare a essere protagonisti della nostra esistenza, con ironia: Drusilla Foer racconta una storia, sceglie le canzoni, insegna a essere eleganti comunque. La sua cattiveria ci diventa simpaticissima.
Sempre Parigi: lì vive Venere, da lì fuggono le divine del Giardino delle ciliegie. Cechov costringe l’indebitata Liuba a mettere all’asta il suo Olimpo che, rovesciando la storia di Drusilla, è l’amato nido stantio e polveroso, glaciale e freddo, ma sempre caro. Qui la sottile perfidia di Drusilla lascia il posto a una coralità che si fa subito complicità tra donne.
L’atmosfera è rarefatta, la scena scura con terra vera e oggetti di uso quotidiano svolazzanti dal cielo. L’amato giardino è il protagonista, il pretesto per una danza d’ombre, per le canzoni italiane vintage e un po’ nostalgiche, anche per gli assoli, Bjork più antica, Per una bambola di Patty Pravo, una versione originale di Volare, e naturalmente La collina dei ciliegi di Battisti-Mogol.
Spicca l’interpretazione di Firs, il maggiordomo della casa, con una gestualità che non sbava mai, a differenza di quello che vediamo di solito nell’esibizione del travestimento, che tende a valorizzare errori e cadute. È una figura molto convincente, che concluderà lo spettacolo imprigionata in una vita di cui non si è accorto. La bella e rossa padrona di casa danza con le sorelle e con figlie, in un racconto corale, quasi in punta di piedi, leggero. Nelle coreografie si trattiene sempre, come a sorvegliare la trama della decadenza, un attimo prima della fine.
In questa visione femminile, il dolore o la sventura sono un viaggio e si intravede sempre una speranza. Questi spettacoli sembrando dirci che domani è un altro giorno. E se magari lo dicessero anche a quei maschi che vogliono sempre farsi la guerra? Certe aspre prese di posizione maschili e maschiliste, se sapessero semplicemente cambiare, evolversi…
Evolvere, in questi show, significa imparare a stare nell’incertezza e nel dubbio, tra la bellezza e la cattiveria. Anche la battuta arguta ma feroce si scioglie in un abbraccio di comprensione. Se anche gli uomini sapessero stare in questo trucco, ci sarebbe più teatro e meno battaglia, per un genere umano sull’orlo della fine.
Una parrucca, una scarpa con il tacco, un completo Chanel, un po’ di leggerezza per affrontare le difficoltà, senza pretendere di risolvere sempre tutto con giudizi senza appello e attacchi scriteriati. Il mondo è delle femmine.