Replicare l’effimero ovvero il teatro nell’era della sua (non) riproducibilità tecnica
Con le slide dell'intervento introduttivo dell'incontro Il filo del presente: il teatro tra memoria e realtà, a cura di Giovanni Agosti e Oliviero Ponte di Pino, Santacristina. 22 luglio 2019
Ha cominciato l’anno scorso Mario Martone, con il suo Tango glaciale reloaded (1982-2018). In questa stagione, possiamo (ri)vedere La rivolta degli oggetti della Gaia Scienza (1976), Angels in America , il kolossal di Tony Kushner messo in scena dal Teatro dell’Elfo nel 2007-2009 e rilanciato la scorsa estate al Napoli Teatro Festival e ora replicato nella sede milanese della compagnia; la trilogia Innamorate dello spavento di Massimiliano Sgorbani, regia di Renzo Martinelli, con la generosissima e bravissima Federica Fracassi, riallestita dopo alcuni anni al Teatro i di Milano. Senza dimenticare Le memorie di Adriano con la regia di Maurizio Scaparro, già longevo cult teatrale con l’imperatore Giorgio Albertazzi cui è ora subentrato Pino Micol (ne ha parlato su ateatro Fernando Marchiori).
Sono spettacoli che hanno lasciato un segno profondo, e che gli spettatori più giovani non avevano potuto vedere.
E’ un segnale positivo: opere significative, all’epoca magari viste da pochi, tornano a distanza di anni per nuovi pubblici, soprattutto per le giovani generazioni, con un successo che non può dispiacere ai primi fans delle “versioni originali”. Si comincia forse a costruire una “tradizione del nuovo”, basata su una scrittura scenica che non si riduce al testo scritto, al copione, e che può essere riprodotta.
Ma il fenomeno può essere letto anche in un’altra chiave, in una stagione che vede due attrici formidabili come Giulia Lazzarini e Annamaria Guarnieri trasformate in “adorabili vecchiette” da Geppy Gleijeses per “teatralizzare” Arsenico e vecchi merletti di Jospeh Kessering, richiamando il pubblico soprattutto sulla base del ricordo della pellicola firmata nel 1944 da Frank Capra.
O, ancora, ecco tornare sulle nostre scene un testo che ha costituito dagli anni Ottanta la gallina dalle uova d’oro per la compagnia Attori & Tecnici diretta da Attilio Corsini, per la sua irresistibile comicità. In questo 2019 Rumori fuori scena trova nuova vita grazie alla regia di Valerio Binasco con la produzione del Teatro Stabile di Torino. Ha scritto Renato Palazzi: “Divertire la gente non è proibito, ma ha senso che uno dei più importanti organismi pubblici italiani invada il campo del teatro commerciale mettendo in piedi una grossa produzione – nove attori, le scene di Margherita Palli, le luci di Pasquale Mari – per riproporre un copione ormai arcinoto che non ci fa scoprire nulla?” (“Il Sole-24 Ore”, 3 novembre 2019). Guarda caso, il compianto Corsini nel 2005 aveva portato in scena anche la commedia di Kesselring…
Sembra che il teatro italiano, come alcuni leader politici, preferisca guardare al passato piuttosto che al presente. Che voglia andare sul sicuro, che non trovi proposte su cui val la pena di rischiare. O, che in un clima di grande incertezza politica, i gatekeepers delle nostre scene, i guardiani di alcune grandi istituzioni, preferiscano evitare i rischi.
Forse queste coincidenze sono solo un caso… Però il tema ha una profonda rilevanza culturale, anche nel rapporto con le altre arti. In teatro una volta si chiamavano riprese, o riallestimenti. Al cinema sono i remake. Nelle arti performative vengono definiti re-enactment. A questo tema ha dedicato una sessione il convegno Il filo del presente: il teatro tra memoria e realtà, ospitato al Centro Teatrale Santacristina il 22 e 23 luglio 2019. Qui di seguito le diapositive che hanno accompagnato l’intervento di Oliviero Ponte di Pino che ha aperto la discussione.
Replicare l’effimero ovvero il teatro nell’era della sua (non) riproducibilità tecnica
Il teatro è un’arte effimera.
Lo spettacolo svanisce nel momento stesso in cui accade. Non è un testo, non è un quadro o una scultura, che persistono nel tempo.
Il teatro vive solo nella memoria. Se lascia una traccia tangibile, è un detrito ingannevole. Oggi, nell’era delle riproduzione tecnologica del reale, qualunque spettacolo può essere videoregistrato: ma sappiamo che nessuna visione “mediata” può restituire l’immediatezza della liveness, l’emozione della compresenza.
Ben consapevole della propria natura evanescente, il teatro ambisce tuttavia da sempre a qualche forma di permanenza.
Il tema della riproducibilità dello spettacolo teatrale è stato affrontato nel passato, e anche in tempi recenti, da diverse prospettive. E’ un problema teorico e pratico legato alla natura stessa del teatro, che è sempre ripetizione di quello che è stato definito durante le prove (o progettato, nel caso di dranmmaturgie più aperte). Il nodo si ripropone, in chiave diversa, non appena si riflette sulle repliche di uno spettacolo, sempre uguali e sempre diverse. Per alcuni registi – per esempio Luca Ronconi – la fase vitale del lavoro si esaurisce con la prima rappresentazione che conclude il processo creativo delle prove. Per altri registi (e anche per un drammaturgo/regista/attore come Dario Fo) il processo creativo prosegue a lungo nella sequenza delle repliche, anche a partire dal rapporto con il pubblico, dalle sue reazioni: è dunque mutevole, inafferrabile, interminabile.
[pdf-embedder url=”https://www.ateatro.it/webzine/wp-content/uploads/2019/08/Santacristina_2019_riprodurre.pdf”]