Lo spazio contendibile del teatro
Nerium Park di Josep Maria Miró in prima nazionale a Firenze
Si viene subito risucchiati dalla scrittura veloce e stringente di Josep Maria Miró, il drammaturgo catalano già apprezzato in Italia per Il principio di Archimede e ora in scena con Nerium Parkin prima nazionale al Teatro Rifredi di Firenze per la regia di Mario Gelardi del Nuovo Teatro Sanità di Napoli. Nei suoi lavori, tradotti e premiati in molti Paesi, una sottile inquietudine si insinua in situazioni apparentemente normali fino a scardinare sicurezze, ruoli, relazioni. Sono spesso vicende private che – per cenni, allusioni, sottintesi – si percepiscono immediatamente come sintomi periferici di una patologia sociale incombente. Epifenomeni di un male oscuro che origina altrove e li sovrasta, indifferente, facendo percepire tutta la pochezza e in fondo l’innocenza dei personaggi. Nei quali vi è dunque qualcosa di tragico e di ordinario insieme. Sono inermi di fronte al loro destino e insieme così prevedibili da avvicinarsi al comune sentire.
Così in Nerium ParkAnna (Chiara Baffi) e Bruno (Alessandro Palladino)s’impegnano con un mutuo trentennale per l’acquisto di un appartamento in un nuovo quartiere residenziale fuori città, circondato dal verde ma – primo indizio di sottile disagio – ancora del tutto disabitato. Miró gioca disinvoltamente con i generi, incrociando in questo caso la commedia familiare e il thriller. Alla progressiva crisi della giovane coppia corrisponde la sempre più netta sensazione dei personaggi di essere finiti in una gabbia, come cavie di un esperimento condotto da un ignoto demiurgo. Un esperimento a un tempo psicologico e sociale, nel quale le opposte reazioni di Anna e Bruno sono entrambe giustificabili conseguenze di quel «brutto poter che, ascoso, a comun danno impera», per dirla con Leopardi. Anche se alla Natura matrigna qui si sostituisce una versione subdola ed enigmatica del “grande animale” platonico, ovvero della società quale ostacolo tra l’uomo e la sua realizzazione. O forse le reazioni dei due sono ugualmente condannabili. Miró lascia la responsabilità del giudizio allo spettatore.
La crisi economica che avanza, il licenziamento di Bruno, la gravidanza di Anna, la presenza di uno strano individuo che trova rifugio nel caseggiato aumentano la tensione. I due si sentono spiati, minacciati, condannati. Senza che se dia motivo. C’è un’atmosfera kafkiana nel teatro di Josep Maria Miró, una condizione, accettata a priori, di paradossale angoscia, di innocente colpevolezza.E l’oasi di felicità domestica, immersa nel verde e apparentemente avulsa dalla desolazione del mondo esterno, si trasforma in una prigione da cui non ha neppure senso cercare di evadere perché il mondo stesso è una prigione. Come se gli oleandri (nerium, in latino) che circondano la casa pervadessero con il loro veleno le coscienze dei personaggi.
La discrepanza emotiva che si approfondisce nella coppia assume evidenza nei fatti e nei comportamenti. Lei è responsabile delle risorse umane in un’azienda, lui riceve inaspettatamente la lettera di licenziamento; lei aspetta un figlio, lui regredisce in atteggiamenti infantili; lei ingrossa sotto i vestiti lunghi, lui gira in casa in pantaloncini corti; lei ha reazioni sempre più angosciate di fronte alle apparizioni dell’estraneo, lui ne giustifica la presenza e ne è come attratto.
Nerium park è stato tradotto da Angelo Savelli, regista e direttore artistico del Teatro di Rifredi,e raccolto in un volume, Teatro, edito da Cue Press insieme ad altri tre testi del drammaturgo catalano: Il principio di Archimede, Dimentichiamoci di essere turistie Tempi selvaggi. Prima dello spettacolo, alla presentazione del libro sono intervenuti l’autore, il traduttore, Xavier Albertí, direttore del Teatro Nazionale di Catalogna, Daniele Corsi, professore di Lingua e Traduzione Spagnola all’Università per Stranieri di Siena, e l’editore Mattia Visani.È stata messa in luce la natura “ipotetica” del testo di Miró, un testo che cresce nel suo processo semiotico dall’invenzione drammaturgica alla messinscena. Un’opera che si presenta come uno spazio contendibiletra il drammaturgo e il regista. Per questo lo scrittore non esita a intervenire sui propri testi anche dopo gli allestimenti facendo proprie le intuizioni di registi e attori.
L’altro aspetto peculiare del teatro di Miró è quella sorta di patto tra autore e pubblico che si stringe fin dalle prime battute. Si stabilisce un rapporto intimo con lo spettatore, coinvolto nella costruzione ipotetica dei precedenti e delle circostanze, mentre in scena accetta le conseguenze di qualcosa che è già avvenuto. Ecco allora la battuta mancante, interrotta, ripresa. Il non detto che serpeggia tra le righe. La tensione delle pause, la lotta continua dell’attore per finire la propria frase. Il climax che non giunge mai a compimento e che crea una suspense costante. La deflagrazione che si attende ma non arriva mai, e quando arriva non è quella che ci si aspettava.
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