#BP2019 | La funzione sociale del teatro
Il documento di sintesi del gruppo di lavoro in vista della giornata del 30 marzo 2019 Per una politica dello spettacolo dal vivo
Coordinamento del gruppo di lavoro: Fabrizio Fiaschini (Università di Pavia) Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino (#BP2019).
Componenti: Claudio Bernardi (Università Cattolica di Milano), Patrizia Cuoco ( Associazione Culturale Ateatro -#BP2019), Fulvio De Nigris (Gli amici di Luca – Bologna), Alessandro Garzella (Animali Celesti – Pisa), Claudio Longhi (ERT – Emilia Romagna Teatri), Paola Manfredi (Teatro Periferico – Cassano Valcuvia), Maria Grazie Panigada (Teatro Donizetti – Bergamo), Andrea Paolucci (Teatro dell’Argine – San Lazzaro di Savena), Carla Peirolero (Suq Festival e Compagnia – Genova), Andrea Perini (terzopaesaggio – Chiaravalle di Milano), Alessandro Pontremoli (Università di Torino), Mimmo Sorrentino (Teatro Incontro – Vigevano).
Focus del gruppo di lavoro
Il gruppo di lavoro sulla funzione sociale del teatro ha lavorato sul fenomeno del teatro sociale e di comunità: un insieme vario e diversificato di pratiche teatrali e performative che in questi ultimi anni si sono affermate e diffuse capillarmente a livello nazionale, con una domanda in costante aumento e un mercato del lavoro sempre più dinamico.
Un fermento che coinvolge numeri importanti e in continua crescita di professionalità teatrali e artistiche (attori, operatori, performer), in uno spettro ampio ed eterogeneo di contesti pubblici e privati (dal disagio, la marginalità e la fragilità sociale alle migrazioni; dalla scuola alle comunità, alla rigenerazione urbana; dalla dimensione terapeutica della cura a quella della risocializzazione, fino al teatro in azienda).
L’obiettivo del gruppo di lavoro è stato pertanto quello di evidenziare e chiarire la centralità e la spinta innovativa che questo tipo di pratiche bottom up e in molti casi autoattive hanno avuto:
nel rigenerare i linguaggi e le ‘visioni’ del teatro nella contemporaneità (in senso artistico e sociale).
nel favorire la crescita di un nuovo pubblico.
nell’ampliare la riconoscibilità del teatro stesso e la sua funzione nella società, anche nei confronti di soggetti che solitamente erano considerati estranei o indifferenti.
nell’evidenziare quanto il linguaggio del teatro, per la sua stessa natura, necessita e si nutre di diversità.
Una precisazione terminologica
A livello operativo, il gruppo di lavoro ha scelto la dicitura “teatro sociale e di comunità” sia per ragioni di merito (si tratta di una terminologia che sottolinea la centralità dei linguaggi teatrali e la dimensione sociale e partecipativa delle esperienze), sia di facilitazione comunicativa (si tratta di una delle terminologie più utilizzate e comprensibili a tutti).
Non vi è tuttavia nessuna intenzione normativa e tantomeno esclusiva, dal momento che la pluralità e l’ampiezza del fenomeno è tale da non poter essere compreso in una definizione rigida e univoca (si pensi alla ricorrenza di definizioni, più o meno estensive, come teatro delle diversità, teatro nel sociale, teatro d’interazione sociale, teatro sociale d’arte, applied theatre, pratiche performative partecipate oppure, come accade nelle arti visive, arte partecipativa e arte pubblica).
Per una definizione di teatro sociale e di comunità
Per circoscrivere i principi e i fondamenti del teatro sociale e di comunità, anche al fine di evitare facili fraintendimenti e utilizzi impropri e pretestuosi della sua identità e delle sue finalità, si è scelto di fornire una formulazione sintetica, con alcune precisazioni:
Il teatro sociale e di comunità è una pratica teatrale in cui equipe di artisti, professionisti di teatro e di promozione del benessere delle persone operano in maniera interdisciplinare con gruppi e comunità di cittadini – spesso svantaggiati – e realizzano percorsi teatrali, performance e progetti con finalità culturali, civili, artistiche e di benessere psicosociale.
Con il termine teatro sociale e di comunità si intende dunque definire quell’insieme diversificato di pratiche teatrali, performative e artistiche di inclusione sociale volte a promuovere un modello alternativo e resiliente di benessere e di cura (nell’accezione solidaristica del to care), a partire da una specifica ricerca artistica che, sul piano del linguaggio e dei contenuti, ha come suo principale obiettivo ridare voce e visibilità a chi è stato marginalizzato, tutelare le fragilità, le fasce deboli e le minoranze, rimettere al centro del dibattito pubblico il tema dei diritti, dell’uguaglianza e dei beni comuni, promuovere l’importanza della comunità educante nei processi formativi delle nuove generazioni, rafforzare gli equilibri di sostenibilità con l’ambiente e con i luoghi dell’abitare, rigenerando in senso partecipativo gli spazi urbani.
Tenuto conto di questa definizione va pertanto precisato che:
Il teatro sociale e di comunità non fa riferimento in nessun modo a un’unica metodologia esclusiva, autonoma e autosufficiente, con il suo impianto teorico e le sue tecniche. Al contrario si nutre di una pluralità ampia e differenziata di metodologie che attraversano l’intero spettro della performance.
Nella sua vocazione performativa, il teatro sociale e di comunità, nelle sue multiformi articolazioni, affonda le sue radici nei linguaggi del teatro e della performance, che costituiscono il comune denominatore di tutte le esperienze.
In questa sua matrice teatrale, il teatro sociale e di comunità costituisce, in alcune sue declinazioni, uno dei campi più avanzati e originali della ricerca artistica contemporanea, capace di innovare le forme e i linguaggi della scena.
Pertanto, nel teatro sociale e di comunità, le componenti sociale e artistica si integrano tra loro, interagiscono e si alimentano reciprocamente, in uno scambio paritario che non prevede nessuna subordinazione dell’una rispetto all’altra, indipendentemente dal fatto che gli esiti delle esperienze possano avere una ricaduta più artistica o sociale.
Il teatro sociale e di comunità non rappresenta una novità, un’invenzione di questi ultimi decenni, ma appartiene, in termini teorici e metodologici, alla lunga durata della rivoluzione teatrale del Novecento.
Rapporti fra il teatro sociale e di comunità e le istituzioni pubbliche e teatrali
Nonostante la diffusione e l’affermazione del teatro sociale e di comunità sul territorio nazionale, i rapporti con le istituzioni pubbliche (Enti locali e nazionali) e gli organismi teatrali, specie quelli riconosciuti dal Ministero (Teatri Nazionali, TRIC…), sono stati finora affidati a esperienze sporadiche o poco durature (si pensi ad iniziative positive come il Bando MigrArti, cancellato dopo due sole annualità), a dimostrazione di un interesse ancora superficiale da parte di tali istituzioni verso questo tipo di pratiche.
Al contrario, le istituzioni pubbliche e gli organismi teatrali andrebbero sensibilizzati verso le pratiche di teatro sociale e di comunità, il cui impatto costituisce un valore aggiunto per almeno quattro fattori:
Il teatro sociale e di comunità ha dimostrato in questi anni di costituire un’eccellenza non solo dal punto di vista sociale ma anche dal punto di vista artistico, con produzioni originali e innovative nel panorama della ricerca contemporanea.
Il teatro sociale e di comunità ha aperto nuovi orizzonti anche per quanto riguarda la formazione di un nuovo pubblico, costituito da gruppi di spettatori che altrimenti non sarebbero mai arrivati al teatro.
Il teatro sociale e di comunità costituisce il veicolo privilegiato per valorizzare un capitale sociale in grado di produrre un impatto sostanziale sul benessere delle persone e della collettività, restituendo ai teatri quella vocazione sociale che in molti casi hanno perso.
Gli esiti positivi del teatro sociale e di comunità non sono misurabili con algoritmi o indicizzazioni, ma con la capacità di incidere sulla qualità della vita in termini duraturi e di grande rilievo sociale e culturale.
In questa prospettiva, un ragionamento andrebbe fatto anche in relazione al sistema delle residenze:
I progetti di teatro sociale e di comunità potrebbero risultare strategici per rilanciare il concetto di residenza non solo in senso artistico ma anche in senso territoriale, dove ovviamente per territoriale non si intende la semplice promozione ‘turistica’, ma i processi di rigenerazione sociale e culturale delle comunità e delle città.
In questa prospettiva sarebbe necessario ripensare le strategie di investimento Stato / Regioni e Enti locali, attraverso la ridefinizione degli accordi di programma già sperimentati per il sistema tradizionale delle residenze, avanzando l’ipotesi di proporre una legge speciale sul teatro sociale e di comunità rispondente a criteri, regole valutative e scopi differenti rispetto a quelli che regolano gli altri ambiti del teatro.
Le nuove economie del teatro sociale
Uno degli aspetti fondamentali delle pratiche di teatro sociale e di comunità consiste nell’aver sviluppato un mercato del lavoro che muove economie alternative a quelle solitamente attivate dal sistema teatrale tradizionale:
In termini di sostenibilità, è infatti noto come il lavoro degli attori e dei professionisti dello spettacolo sia oggi garantito in percentuale nettamente maggioritaria dalle attività di teatro sociale e di comunità e non dal numero di recite e di scritture artistiche.
In termini di finanziamenti, è altrettanto evidente che il teatro sociale e di comunità sia in grado di rapportarsi con istituzioni pubbliche e private (Amministrazioni locali e regionali, fondazioni, cooperative sociali, aziende socio sanitarie, scuole, organismi del terzo settore…) tradizionalmente estranei al mondo del teatro ma che negli ultimi anni si sono aperte a questo ambito di riferimento.
In termini contrattuali, dal momento che l’operatore di teatro sociale e di comunità in molti casi non opera con il sistema contrattuale proprio dei lavoratori dello spettacolo.
Alla luce di queste evidenze sarebbe pertanto opportuno ripensare la mappa delle economie che gravitano oggi intorno al sistema teatrale, non solo incentivando queste nuove opportunità, ma anche cercando di regolarizzare e ottimizzare i meccanismi contrattuali, in modo da tutelare i professionisti che lavorano in questi settori del teatro.
La questione formativa
Per quanto varie e differenziate siano le metodologie e le tecniche di teatro sociale e di comunità, va tuttavia ribadito che esistono dei principi e delle competenze professionali specifiche che vanno acquisite, al fine di salvaguardare la duplice dimensione, artistica e sociale, degli interventi.
In questo senso la situazione attuale, molto varia e frammentata, è costituita prevalentemente da processi di autoformazione che si articolano lungo tre direttrici principali:
Professionisti di formazione artistica e/o teatrale (attori, registi, artisti…) che spostano l’orizzonte dei loro interessi e delle loro competenze verso pratiche di teatro sociale e di comunità.
Professionisti di formazione socio-culturale, psico-sociale educativa e didattica (animatori, educatori, insegnanti, psicologi e psicoterapeuti, operatori socio-sanitari) che integrano le loro competenze con metodologie teatrali.
Professionisti formati nelle pratiche di teatro sociale e di comunità all’interno di laboratori, corsi, scuole specifiche, che si moltiplicano su tutto il territorio nazionale.
In questa geografia estremamente variegata, il problema della formazione degli operatori è pertanto uno snodo cruciale, tanto più urgente quanto più si rivela in aumento il fabbisogno di queste nuove figure professionali, con il rischio di incrementare la diffusione di profili improvvisati, del tutto inadeguati alla delicatezza dei contesti in cui si troveranno a lavorare.
In questa prospettiva, il presente documento non intende fornire una chiave risolutiva, ma evidenziare semplicemente alcuni aspetti fondativi:
La formazione dell’operatore di teatro sociale e di comunità deve essere una formazione integrata, non solo nel senso di fornire delle competenze diversificate che tengano conto della complessità (artistica e sociale) dei contesti di intervento, ma anche nel senso di formare a una modalità integrata di conduzione, che preveda sempre il confronto fra esperti teatrali ed esperti nel campo del ‘sociale’.
Dal momento che non si basa su un’unica metodologia originale e specifica, la formazione dell’operatore di teatro sociale e di comunità deve essere una formazione aperta, che non punti sulla trasmissione di competenze univoche e selettive ma inclusive, che non siano quindi il frutto della differenziazione degli ambiti disciplinari, delle metodologie e delle tecniche, ma della loro libera interazione in modelli, artistici e sociali, variabili e polivalenti.
In questa sua dimensione aperta e dinamica la formazione dell’operatore di teatro sociale e di comunità non prevede protocolli standard validi per tutte le situazioni ma principi comuni che vanno poi declinati in modo diverso a seconda dei contesti e dei territori in cui si andrà a operare.
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