Shakespeare e i “negri d’Europa” nel teatro di Mario Gelardi
Il progetto speciale del Nuovo Teatro Sanità
Mario Gelardi è il direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità, premio Rete Critica 2017 per il miglior progetto organizzativo – insieme con Napoli Est Teatro. Lo scorso maggio ha chiuso la quinta stagione di “Handmade. Il teatro cucito su misura per te”. Attualmente è impegnato nella selezione di una riscrittura shakespeariana affidata a drammaturghe under40, i testi selezionati andranno in scena, mediante molteplici e diverse poetiche ma con l’intento comune di enfatizzare alcune delle figure femminili del Bardo. Recentemente il suo teatro ha ottenuto il riconoscimento ministeriale in qualità di “Progetto speciale. Azioni trasversali-Promozione teatro perfezionamento professionale-Art.41-Anno 2018”. Gelardi, napoletano, è scrittore e autore pluripremiato (ricordiamo il recente Premio Giuseppe Fava per l’impegno civile nel 2017), scelto per rappresentare gli autori della seconda edizione di Write-Residenza Internazionale di Drammaturgia Contemporanea, ideata e diretta da Tino Caspanello (anche Write è tra i finalisti del premio Rete Critica 2017, per il progetto grafico di Cinzia Muscolino).
Quella di Gelardi è una drammaturgia che si pone ai confini e in una dimensione di costante cambiamento nella caratterizzazione dei personaggi quale metafora liminare, certamente cara alla profondità teatrale di stampo europeo, nonostante nel suo caso riesca a incontrare esiti pop ed efficaci soluzioni per un teatro non elitario. È così per i recenti Ritals (Italiani) – da Gelardi scritto e diretto, che ha inaugurato la suddetta stagione napoletana – e può dirsi lo stesso di regie quali quella de La paranza dei bambini dall’omonimo best-seller di Roberto Saviano, ma tale disposizione è evidente anche in scritture non esattamente teatrali.
In Gelardi la vocazione “periferica” trova esito anche nella scrittura più esattamente narrativa. È avvenuto per esempio in Nessuno vi farà del male, scritto con Fabio Rocco Oliva per i tipi di Caracó nel 2014 e da Gelardi anche diretto nella sua trasposizione teatrale, in cui la scrittura si pone al servizio dell’impegno sociale volto alla sensibilizzazione di campagne a favore della donazione di organi. La malattia di natura epatica della protagonista Anna, interpretata da Cristiana Dell’Anna – attrice spesso diretta a teatro da Gelardi e conosciuta dal pubblico televisivo per avere interpretato Patrizia nelle ultime due stagioni della serie tv Gomorra – è pretesto per la ricorrenza di scenografici ed evocativi “gialli” alla Van Gogh, fin dal girasole che campeggia in copertina, ma anche tristemente ospedalieri. La storia s’intreccia con temi classici e religiosi, seppure restando sempre in uno spazio di frontiera, d’isolamento. In questa vicenda che coinvolge tre fratelli ed è legata alla sospirata possibilità di un trapianto di fegato, è la negazione dell’individuo a generare una possibilità di salvezza:
ANNA – Chi sei?
PAOLO – Sono io, chi dovrei essere?
ANNA – PAOLO – Nemmeno io.
Il numero uno. Confessioni di un marchettaro, scritto da Francesco Mangiacapra con Mario Gelardi per Iacobelli Editore, “diverte, stupisce e irrita”. E’ la storia vera dell’escort Mangiacapra, che grazie al self-marketing scopre che “nella vita il talento conta più della bellezza”. Con ironia e cinismo la descrizione restituisce un prezioso documento storico e antropologico. Il responsabile e accorto protagonista che inventa “la marchetta low cost”, rivela un mondo che può intuirsi ma che narrato è più doloroso che a immaginarsi. Preti “peccaminosi”, un onorevole con “villa frociarcale”, “un umile lavoratore della vigna di Afrodite”, un militante laureato in legge, sono solo alcuni dei personaggi incontrati da questo libero professionista del sesso. Mangiacapra è noto per avere denunciato quello che dalle cronache è conosciuto come “Don Euro”, un sacerdote che si è però presentato all’escort e ad altri suoi colleghi come magistrato, filantropo o cardiochirurgo, tacendo sempre la sua reale identità. È peraltro recentissima la notizia che a costituirsi parte civile insieme con Mangiacapra ci saranno altre tre persone, ingannate dal Don. I fatti risalgono a tre anni fa. Dopo una denuncia alla curia napoletana per estorsione e frode, la vicenda fu narrata dalle Iene televisive: il prete chiedeva denaro ai parrocchiani per aiutare persone indigenti, in realtà destinava gli introiti per festini a luci rosse e retribuire giovani per le prestazioni sessuali a pagamento.
“Forcella è materia di Storia”. Così ha inizio il primo capitolo della Paranza di Roberto Saviano:
Si vatte con tutta la forza che hai, con risentimento vero e senza regole. E soprattutto si vatte con una certa, ambigua, vicinanza. Si vatte chi si conosce, si picchia l’estraneo. Si vatte chi ti è vicino per territorio, cultura, conoscenza, chi è parte della tua vita; si picchia chi non c’entra nulla con te. Si uccidono come se si “vattessero” appunto.
Un angelo bianco – “con la pistola” ma con un lieto fine ben lontano da Pocketful of Miracles per il quale Glenn Ford gangster-angelo ottenne un Golden Globe nel 1962 – è il Virgilio partenopeo che introduce alla storia narrata dall’alto ricordando che “Chi nasce sul mare non conosce un solo mare”. Le ali della locandina, le ali del tatuaggio di Maraja/Nicolas, il protagonista interpretato da Riccardo Ciccarelli, novello Peter Pan di una fiaba senza tempo, evocano un desiderio di libertà e di controllo che non è difficile immaginare in quali nefaste direzioni intenda volgersi. Drone è uno dei ragazzi – attori della compagnia del NTS – del gruppo della “paranza”, possiede l’oggetto di cui porta il nome e che usa appunto per fare selfie. Ossessivo si annuncia il motivo “we got guns” dal brano Killing Strangers di Marylin Manson. Di attualità quotidiana (ahinoi!) sia le pistole sia l’uccisione dello straniero a Napoli come ovunque ormai e da sempre, la diversità spaventa. Un quadro grottesco “tre metri sotto terra” è quello che incornicia le antenne televisive sotto un cielo violaceo da videogame, forse proprio quello di Assassin’s Creed come suggeriscono i cappucci indossati o i parka che ricordano cotte di maglia medievali e al contempo cyberpunk per i cavalieri di Forcella.
Lo spettacolo si prefigge l’obiettivo di narrare “l’ascesa di una tribù adolescente verso il potere, pronta a piombare nel buio della tragedia shakespeariana e nel nero infinito dei fumetti di Frank Miller”. I costumi sono di Irene De Caprio per il marchio napoletano 0770: insieme a Enzo Pirrozzi costituisce un duo artistico che spazia dal teatro al cinema, dall’arte installativa alla musica. Ricorda Scimmie dal romanzo di Alessandro Gallo e Riccardo Ciccarelli anche stavolta interpreta un ragazzo che ha studiato ed avendo una maggiore conoscenza tende a trascinare gli amici nelle sue avventure, non troppo edificanti. Le dinamiche dei dialoghi e i movimenti coreografici connotano scrittura e regia di Mario Gelardi, che in questo lavoro intende rappresentare “ragazzi che consapevolmente intraprendono il mondo del crimine per avere un ritorno economico.” Isis, milf e Dragon Ball i motivi ricorrenti in questo mondo tutto maschile dove il personaggio di Don Vittorio Arcangelo è interpretato da Ivan Castiglione – che veste anche i panni del boss Copacabana e del padre di Nicolas/Maraja –, si rivela macchietta comica esemplare, portatore di fragilità umane, ipocondriaco e sociopatico e per questo tutt’altro che spaventoso o temibile capo della paranza. Il libro di Saviano è dedicato ai morti colpevoli e alla loro innocenza Gelardi interpreta in maniera ottimista questo messaggio. Anche se i libri non vanno giudicati dalla copertina, una madonna addolorata con un cuore trafitto presente nel tatuaggio della copertina del libro di Saviano, sembrerebbe incarnare promessa di tragedia compiuta. Nell’adattamento teatrale l’opera drammatica, che mai trova esiti emulativi, è ibridata con la rappresentazione dell’emancipazione e la possibilità di riscatto da un destino apparentemente segnato dalla lotta “d’appartenenza”, di cui simbolo sono anche le ali. Tuttavia nell’amicizia, nella lealtà e nel controllo delle emozioni, prima ancora che nel potere acquisito è possibile costruire un’alternativa salvifica al grottesco reale con intelligente ironia à la Shakespeare.
Il Nuovo Teatro Sanità di Piazzetta San Vincenzo 1, nel cuore del quartiere Sanità di Napoli, è il cuore di un luogo noto per la ricchezza storico-monumentale di ciò che appare e del “rione sotterraneo” fittissimo di testimonianze che risalgono al IV secolo a. C.; per i testi teatrali e i film lì girati e naturalmente per l’avere dato i natali a Totò. Il quartiere di recente ha anche ospitato alcune scene della serie tv ispirata a Gomorra. Riguardo all’adattamento teatrale della Paranza, Saviano ha dichiarato:
Non avevo ancora finito di scrivere il libro quando ho proposto a Mario Gelardi di farne una riduzione teatrale per il Nuovo Teatro Sanità. Quando si dice di Napoli che ha la periferia nel centro ci si riferisce alla Sanità e a Forcella, luoghi difficilissimi ma dalla bellezza viva, porosa, sporca, ancora attraversata dal quotidiano, dai panni stesi. È qualcosa che si trova a metà tra la trascuratezza e l’abbandono e la vita che consuma la pietra.
Ed è ancora una volta dalla volontà di portare al Nuovo Teatro Sanità sempre più pubblico, “estraneo” alla città, perché possa conoscere la ricca e generosa comunità artistica che vi risiede, che nasce una nuovissima produzione del teatro con la direzione di Gelardi, su testo di Josep Maria Miró – anch’egli tra gli autori di Write2017 – tradotto da Angelo Savelli. Grazie alla presenza dello stesso Miró al Teatro di Rifredi, in occasione dello spettacolo Il Principio di Archimede – diretto da Savelli che lo ha tradotto con la collaborazione di Josep Anton Codina – e alla retrospettiva “Scoprendo Mirò”, lo scorso febbraio al Centro di Produzione Teatrale di Pupi e Fresedde di Firenze è stata realizzata la prima assoluta della lettura di Nerium Park con Cristiana Dell’Anna e Alessandro Palladino. Una coppia in crisiè al centro di un thriller narrato in maniera cronologica attraverso la scansione per quadri mensili, gli intimi dialoghi della coppia sono configurati come una sorta di duello western con elementi misteriosi, degni di un horror movie fantascientifico. La perdita del lavoro, il crollo della relazione, l’isolamento in un complesso abitativo vengono sottolineati dal climax emotivo con cui lui sembra riuscire a convivere, caricato da tic emotivi e sempre più agitato visivamente agitato in “un deserto perfetto che mette i brividi”. Una casa-prigione dalla quale è difficile uscire dopo il licenziamento e la rivelazione della gravidanza di lei, santificata da un ballo disordinato, quasi un sabba che preannuncia lo smarrimento finale segnato da presagi organici di sangue e acqua; elementi questi ultimi cari alla poetica di Miró. Lo spettacolo è attualmente in scena al Teatro Nacional La Castellana di Bogotá, diretto dalla regista argentina Corina Fiorillo; dopo essere stato a Barcelona, Buenos Aires, Miami e in Messico.
Ritals è emblematico della produzione di Gelardi, che lo ha scritto e diretto. Prodotto da Nuovo Teatro Sanità, nasce da un episodio storico, o meglio da un annuncio apparso il 20 luglio 1969 – data che coincide con lo sbarco dell’uomo sulla luna, il cui effetto sociale è quello di inchiodare a radio e tv tutto il mondo, inclusi i protagonisti sulla scena. Quel giorno vengono convocati lavoratori da assumere come muratori, invitati immediatamente a partire da una stazione di Napoli in direzione della Svizzera. Luci fredde e bluastre illuminano i tanti protagonisti sul palcoscenico che danno le spalle a un fondale costruito davanti alla pala d’altare della chiesa che custodisce il Nuovo Teatro Sanità, metaforica e realistica sala d’attesa per un luogo sacro dove non si celebra più un rito cattolico ma il ben più ecumenico Teatro. Cura per i costumi d’epoca e raffinatezza nella ricerca dei brani musicali creano surreali assonanze con la visione dell’astro “luminescente”, con i nomi dei personaggi principali: Lucio e Stefano che della “luce” sono omonimi. Idealizzata come la Svizzera mitologica e ambita, la luna e la figura della madre incarnano la comicità dell’inaspettato che risiede nella ricerca di una patria ospitale, sebbene celi in quella “r” di “Ritals” l’iniziale dispregiativa del “negro d’Europa”, l’italiano rifugiato del XX secolo. Come nel caso della Paranza gli attori sono portatori di una potente carica emotiva, trascinando il pubblico in una catarsi dagli esiti più che riusciti.
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