La soluzione 5% ovvero cambiare tutto il FUS per non cambiare niente
La torta del finanziamento pubblico tra progettualità e storicità
Può bastare un sintetico comma del “Decreto di riparto fondo unico per lo spettacolo anno finanziario 2018” del 28 febbraio 2018 (firmato Franceschini), per annullare il senso del D.M. 1 luglio 2014 e del suo aggiornamento, il DM del 27 luglio 2017 che disciplina il triennio 2018-2019-2020:
“Art. 5 1. Per l’anno 2018 l’incremento massimo consentito del contributo rispetto alla precedente annualità è fissato nella misura del 5% ai sensi del citato articolo 49, comma 3, del decreto ministeriale 27 luglio 2017.”
Dei DM 2014 e 2017 possiamo pensare molto bene e molto male, ma su qualche aspetto tutti i giudizi sono stati più o meno positivi: la “triennalità” (la predisposizione e la valutazione di progetti triennali), la rottura delle rendite di posizione che si erano create nel corso di decenni, che il criterio comparativo e i tre livelli di valutazione ha reso possibile. Per quanto si possano discutere le modalità, le percentuali, l’impostazione dei famigerati “algoritmi”, questo risultato c’è stato. Anche il Parlamento sembrava d’accordo su queste considerazioni, visto che questi punti sono confermati dal cosiddetto “Codice dello Spettacolo” (e dovranno quindi essere disciplinati nei decreti attuativi).
Se bloccare gli incrementi fra un anno e l’altro all’interno di un triennio può essere relativamente legittimo (le caratteristiche economiche di progetti “triennali” si possono presumere omogenee nei tre anni), bloccare la possibile evoluzione progettuale della stessa organizzazione è un controsenso che fa tornare il teatro italiano indietro ai tempi (molto vicini e mai del tutto dimenticati probabilmente), in cui non contavano i progetti, ma la cosiddetta “storicità”.
Una soglia di sbarramento al 7% era stata già prevista nel 2016 e 2017, quindi all’interno del triennio, probabilmente anche per evitare incrementi eccessivi per qualcuno dovuti alla componente quantitativa autocertificata, con possibili distorsioni significative tra soggetti all’interno dello stesso cluster.
Ora il MiBACT sembra assumere la scelta del tetto di incremento al 5% anche fra il 2017 e il 2018 e quindi fra due triennalità. Condivide la responsabilità con la Consulta. Il Decreto di riparto infatti premette:
“Considerato che nel corso della riunione della consulta del 16 febbraio 2017, è stato definito nella misura del 5% l’incremento massimo del contributo, rispetto alla precedente annualità, ai sensi del citato articolo 49, comma 3 del decreto ministeriale 27 luglio 2017”
In effetti nel verbale – allegato al decreto di cui sopra – leggiamo che i componenti della Consulta (per il teatro Antonio Calbi, Michele Gentile, Guglielmo Mirra, Renato Giordano, Emanuela Bizi, Giulio Baffi, Maria Teresa De Gregorio) hanno ascoltato in proposito il Ministro che “in attuazione di quanto previsto nel DM 27 luglio 2017 art.3.cc, aggiunge che l’anno scorso fu posto un tetto alla crescita dei contributi del 7%, quest’anno il tetto viene fissato al 5% e pertanto l’entità dei contributi assegnati nel 2018 non potrà registrare un incremento superiore al 5% rispetto all’annualità precedente”. Non sappiamo però che cosa si siano detti (OMISSIS), e per la verità non hanno approvato questa specifica disposizione ma, in conclusione e all’unanimità, hanno deliberato solo il RIPARTO del FUS (per cui sono in effetti competenti).
Non sappiamo quindi se sia emersa in sede di consulta la gravità di questa norma, e se sia stato letto con attenzione il citato articolo del DM del 2017:
“Art. 49 : Entrata in vigore, disposizioni generali, transitorie e abrogazioni
3. Ad eccezione delle tipologie di contributo previste dagli articoli 34, 35, 36, 42, 43, 44, 45, 46, 47, l’entità dei singoli contributi assegnati per ciascuna annualità del triennio non può registrare un incremento superiore, rispetto all’annualità precedente, alla percentuale stabilita annualmente, per ogni settore, dal Ministro competente per materia in sede di riparto annuale del Fondo Unico per lo Spettacolo, in armonia con le risorse disponibili e l’entità numerica e finanziaria delle domande, secondo le modalità stabilite nella medesima sede.”
FUSCerto il MiBACT è “autore” di questo testo, come del successivo Decreto (quello di febbraio 2018). Tuttavia, leggendo il testo alla lettera, sembra evidente come il primo testo si riferisca – chiaramente e logicamente – alle annualità interne al triennio. L’interpretazione di febbraio è chiaramente una forzatura, derivata dalla considerazione che le risorse sono quelle che sono. Ma la logica della “triennalità” non ha nulla a che vedere con le risorse ma con il “senso” dei progetti triennali.
I due DM per la disciplina del FUS (quello del 2014 e quello del 2017), si muovono in maniera autonoma, altrimenti non avrebbe senso il riconoscimento delle istanze nei diversi articoli. Cosa succederà di quelle realtà che si sono presentate in articoli diversi? TRIC che chiedono di diventare Teatri Nazionali (e sono già stati riconosciuti come tali, vedi Genova), Centri che si presentano come TRIC, imprese che hanno chiesto di essere Centri, Centri che si candidano a festival Multidisciplinari, per non parlare degli Under 35 che diventano imprese!
Tutte queste organizzazioni si aspettano di vedere incrementato il contributo in ragione dello sforzo che dovranno fare. E anche chi resta nello stesso “articolo”, perché non dovrebbe evolvere e crescere? E i tre livelli di valutazione non sono stati pensati per “misurare” e valorizzare proprio questa capacità progettuale?
Tag: #BP2018 (33), #BP2018 Codice dello Spettacolo (12), FUS aka FNSV (140), MiBACT aka MiC (8)
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