Un pensiero sull’Otello di De Capitani

Cortocircuito tra il Teatro dell'Efo e la mostra di Teresa Margolles al Pac di Milano, 5 maggio ore 17

Pubblicato il 03/05/2018 / di / ateatro n. 165

La gelosia e il femminicidio, il razzismo e la paura delle diversità, la guerra e il suo potere di forgiare i caratteri e le vite, il male come piacere diabolico e come banalità, la capacità di manipolare la realtà con le parole e con le insinuazioni. Di epoca in epoca sembra che Otello metta in primo piano questo o quel tema e – cosa ancor più sorprendente – che lo faccia nel modo in cui noi lo stiamo percependo. E’ la forza dei capolavori.
Non si tratta di attualizzare il dramma di Shakespeare, dunque: il testo si muove da sé, le parole non sono morte, semmai il problema è di traduzione e d’interpretazione. Ma qui la traduzione di Ferdinando Bruni è efficace e gli attori sono tutti bravi, in rapporto vivo coi loro personaggi, a cominciare da Elio De Capitani che ne è protagonista e dallo Jago di Federico Vanni. Certo si può scegliere di partire da Otello per costruire un percorso performativo autonomo. Non è questa la scelta registica fatta da De Capitani e Lisa Ferlazzo Natoli ma la ‘fedeltà’ al testo, la fiducia nella sua forza, non comportano un’operazione creativa di entità minore.
Rivedendo l’Otello a Ravenna, a un anno e mezzo dal debutto milanese, ho vissuto un’esperienza diversa da allora. Ho visto il meccanismo messo a nudo, senza danno per la teatralità, la forza del meccanismo che agisce inesorabilmente. Anzi mi è parso che proprio qui stesse la vita: noi sappiamo già tutto, eppure veniamo coinvolti, soffriamo perché non possiamo fare nulla, o meglio restiamo attoniti: è così, il bagno di sangue è inevitabile. Non è questo il sentimento che proviamo ogni giorno, vedendo immagini su immagini, leggendo notizie su notizie? Immigrati inghiottiti dal Mediterraneo, che pure continuano a partire dalle loro terre, bambini martoriati in Siria che ci guardano negli occhi, l’inettitudine della politica e la corruzione, violenze pubbliche e private, corpi straziati e parole ingannevoli… Forse non siamo semplicemente diventati insensibili per assuefazione, forse mai come oggi sentiamo l’ineluttabilità della storia e l’ impotenza individuale. Il meccanismo procede, inesorabile.
Non c’è catarsi possibile. Possiamo però continuare a raccontare e a mostrare, e questo intanto ci conserva umani. E possiamo far sì che l’orrore altrui sia esperito con la mediazione dell’arte, ‘qui e ora’. E’ quanto avviene con la personale dell’artista messicana Teresa Margolles al Padiglione d’arte contemporanea di Milano con Ya basta hijos de puta, viaggio dentro “violenza, disuguaglianze, crimine organizzato”, ciò che ne resta e si deposita nei nostri paesaggi. Il 5 maggio alle ore 17 è prevista una visita speciale alla mostra condotta da Diego Sileo con Elio De Capitani, Cristina Crippa e Emilia Scarpati Fanetti, che reciteranno quattro scene di Otello. Lo spettacolo è in scena al teatro Elfo Puccini fino al 20 maggio, quando chiuderà anche la mostra.

La mostra di Teresa Margolles sul sito del PAC




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