#Sicilia2018 | Oltre il velo della realtà

Intervista a Cinzia Muscolino

Pubblicato il 24/03/2018 / di / ateatro n. 165

Cinzia Muscolino, artista figurativa, scenografa e costumista, attrice e compagna anche nella vita di Tino Caspanello, dal 1993 fa parte di Teatro Pubblico Incanto. In occasione del riallestimento italiano di ‘Nta ‘ll’ aria l’abbiamo incontrata al Teatro dei 3 Mestieri di Messina. Lo spettacolo che ha sancito nel 2011 la fama del drammaturgo e regista Caspanello anche presso il pubblico e la critica francese, è stato in replica il 23 marzo nella stagione diretta da Vincenzo  Albano per Mutaverso a Salerno. In scena con la Muscolino, per la regia di Caspanello i due attori Alessio Bonaffini e Tino Calabrò. Lo spettacolo anticipa e rivela alcuni elementi che saranno amplificati nei successivi Blues (v. https://www.ateatro.it/webzine/2017/10/22/cicale-blues-nellultimo-spettacolo-di-tino-caspanello/) e Niño (v. https://www.ateatro.it/webzine/2016/03/04/una-stagione-teatrale-inaugurata-nel-segno-della-scrittura/) quali la dimensione surreale che colloca i personaggi in un tempo indefinito, la verticalità temporale e spirituale e l’evocazione di momenti festivi legati al viaggio, come di consueto consumato – o anche osservato – sulle rotaie di un treno.

Come è cambiata l’esperienza teatrale nel corso della tua vita all’interno di Teatro Pubblico Incanto e come questo ha influito sulle scelte artistiche che riguardano altri linguaggi intrapresi dalla tua maestria artigiana?

Metà della mia esistenza è di Pubblico Incanto. Sono felice che sia così. In oltre venti anni di attività non so più quanti spettacoli siano stati prodotti; abbiamo costruito scene ingombranti, costumi ingombranti, parole ingombranti, che poi, nel tempo, abbiamo smontato, strappato, cancellato e ogni piccolo avanzo è sempre rimasto sul fondo a sedimentare in quegli spazi neri che oggi ci caratterizzano. Non sono mai riuscita a mettere dei confini fra le mie diverse esperienze artistiche, tutto ciò che sono e faccio è frutto di una continua contaminazione fra i miei modi di percepire la realtà. Se penso al rosso, penso alla sua forza, alla forma che ha dentro di me in quel momento, penso a come gli altri lo possano percepire attraverso la mia interpretazione; questo processo appartiene a qualsiasi genere artistico e se hai la fortuna di avere più mezzi espressivi, le possibilità interpretative si moltiplicano all’infinito.

 

Mari è indubbiamente lo spettacolo più noto della tua compagnia. Come è stato vederlo rappresentato in altri paesi e interpretarlo in contesti culturali differenti dal nostro? Può l’amore avere un linguaggio unico oppure cosa rende quest’opera così “universale”?

Il desiderio impossibile di ogni attore credo sia quello di poter essere allo stesso tempo anche spettatore. Con la visione di Mari io credo di esserci andata vicina. Questo spettacolo più di ogni altro ci appartiene e vederlo nel corpo di altri attori è stata per me, per noi, un’esperienza privilegiata. Nelle similitudini e nelle differenze, la visione esterna ti restituisce l’immagine di spalle che da solo non potresti vedere. Mari usa le parole per inganno, questo lo percepiscono gli attori, i personaggi e il pubblico, dunque, non è la potenza del linguaggio a rendere Mari universale, ma l’archetipico inganno fra essere umano e invisibile.

In ‘Nta ll’aria di recente ripreso dalla compagnia in una nuova versione, qual è l’importanza del personaggio femminile, da te interpretato che rimane costante in questa variante attoriale?

Amo la figurina in giallo di questo spettacolo: una piccola donna senza nome che ha la mia faccia, il mio sorriso, le mie lacrime. Nulla di lei mi è estraneo, né la sua fragilità, né la sua lucida follia, e perciò misurare la sua importanza mi risulta difficile. Lei è importante come lo è il teatro per chi ha ancora la voglia e la capacità di guardare oltre il velo della realtà.

Quadri di una rivoluzioneNiño mostrano due caratteri femminili evidentemente differenti ma a legarli è la condizione surreale in cui sono ritratti, uno spazio che potrebbe essere apocalittico nel primo caso e al di là della vita nel secondo. Come è stato raccontare queste storie di donne, non solo da punto di vista attoriale ma anche immaginando scene e costumi in relazione al testo?

La spinta che muove la drammaturgia di Caspanello è l’urgenza di costruire mondi speculari e paralleli a esistenze comuni, in cui ogni personalità possa intravedere il riflesso di una propria intima parte. In scena provo sempre a trovare l’equilibrio tra il personaggio e il riflesso del mio essere. In ognuna di quelle donne c’è almeno una parte che appartiene a tutte; quello che io faccio è scavare affinché possano emergere da me quanti più riflessi possibili di un’unica personalità. Sulla stessa linea si muovono tutte le altre scelte. Ogni elemento deve suggerire una realtà tangibile, ma allo stesso tempo ineffabile.

 




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InformazioniVincenza Di Vita

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