#censure Il teatro ragazzi oltre i tabù
Perché con i piccoli spettatoridobbiamo parlare di malattia, follia, morte, sessualità (e come)
Il teatro dedicato ai ragazzi, tranne rare eccezioni, ha navigato a lungo in uno spazio etereo. Al giovane pubblico doveva essere negato qualsiasi riferimento ai dolori della vita e alle problematiche ritenute più scabrose dagli adulti: come si sa, sono “i grandi” a scegliere cosa devono vedere e soprattutto percepire i loro piccoli, ritenuti incapaci di intendere. Per cui, oltre alle cosiddette parolacce (un tabù ancora moto di moda tra le maestre e i professori italiani, anche le più innocenti), argomenti come la morte, la malattia e la sessualità erano pressoché banditi dal panorama degli spettacoli per ragazzi. I pochi lavori che uscivano dalla comfort zone erano visti da maestre e maestri come fumo negli occhi. Il tabù l’ha rotto già nel 1987 Gabriele Vacis di Teatro Settimo con Kanner puro, introducendo il tema della malattia: un bambino-attore interpretava la parte di un undicenne che soffriva di autismo, un handicap che porta a rinchiudersi in se stessi, senza comunicare con il mondo esterno. Come accade in Anna dei miracoli, nello spettacolo a trascinarlo fuori dal suo mondo separato, e a recuperarlo alla vita, era la baby sitter. Tutte le vicende erano scandite da immagini multimediali, legate da un filo di comicità.
Sempre sulla malattia, qualche anno dopo, Fratelli del Teatro La Ribalta, tratto dal romanzo di Carmelo Samonà: Antonio Viganò e Michele Fiocchi raccontavano, con il gesto e la danza, il rapporto tra i due fratelli, di cui uno autistico.
La malattia ritorna con il vincitore del Premio Scenario Infanzia John Tammet di Davide Giordano del Teatro delle Briciole, che avevano già parlato di morte e malattia in Lo Stralisco da Piumini, con la regia di Maurizio Bercini. Protagonista è un ragazzo speciale, malato di sindrome di Aspergen, e che narra senza mezzi termini la morte presunta di sua madre che diventa cenere.
La disabilità e la malattia sono al centro del progetto Piccola trilogia degli altri bambini, costruita da Santibriganti Teatro, in collaborazione con Fondazione Paideia Onlus, tre gli spettacoli, costruiti su ideazione e regia di Maurizio Bàbuin: Yo Yo Piederuota (su sport e disabilità), Ahia! Ahia! Pirati in corsia (sulla malattia in ospedale) e Fratelli in fuga che con profondità tratta ancora il tema dell’autismo.
Dieci anni dopo il lavoro di Vacis, dà il filo da torcere ai benpensanti uno degli spettacoli più importanti della storia del teatro ragazzi italiano, Romanzo d’infanzia, creazione di uno dei gruppi di danza più innovativi del teatro italiano, la compagnia Abbondanza Bertoni, testo di Bruno Stori con la regia di Letizia Quintavalla e Bruno Stori. In scena due danzatori che si alternano nei ruoli di genitori e figli, e poi di nuovo padre e figlio, e madre e figlia e poi fratelli. Lo spettacolo parlava (e parla ancora) del disagio infantile all’interno dei rapporti primari-affettivi, della violenza fisica e psicologica che l’infanzia subisce a casa o nelle istituzioni, del delitto di non ascoltare i propri figli, di colpe senza colpevoli.
Poi c’è il tabù della morte, spesso narrata con metafore semplici e dense di poesia e significati. Roberto Abbiati in La quinta stagione di Mario Bianchi per Teatro Città Murata ambienta lo spettacolo in un negozio di orologi: la morte arriva sotto forma di Ella Fitzgerald rimanendo sì ineluttabile ma pietosa. Chi muore non muore mai, perché lascia sempre dei doni agli altri. Vincitore del Premio Eolo è un altro spettacolo di danza, L’anatra, la morte e il tulipano del duo Tardito-Rendina, tratto dal meraviglioso libro omonimo di Wolf Erlbruch.
Racconto alla rovescia di Claudio Milani racconta l’incontro di un bambino con la morte. Arturo è un ragazzino alto alto e molto molto curioso, talmente curioso che se gli fanno un regalo lo vuole aprire subito. Forse è per questo che la Morte (una figura alta alta, magra magra, secca secca con in mano una falce che gioca con le farfalle) ha deciso di regalare ad Arturo proprio nel giorno del suo compleanno ben sette regali, tutti di diversa grandezza, tutti in bella vista sul palco. Nel grande racconto alla rovescia che Claudio narra sul palco, tutti questi doni vengono piano piano svelati, per scoprire tutte le meraviglie che nella vita di ognuno di noi servono per diventare grande e per poter ritornare indietro con i ricordi, a comprendere come ciascina di queste esperienze sia servita a farci diventare come siamo: diversi uno dall’altro, e anche diversi da tutti gli altri. Anche per questa unicità dobbiamo essere salvaguardati, e non calpestati.
Come per esempio accade in Greta la matta di Occhisulmondo, che mescola sapientemente danza e teatro di figura per narrare di una bimba derisa, emarginata, che per questo arriva al suicidio, gettandosi in pasto al diavolo.
Dei nostri giorni sono anche Senza francobollo di Schedia Teatro di Riccardo Colombini, tratto dal libro Oscar e la dama in rosa di Eric-Emmanuel Schmitt; e Ahia di Teatri di Bari firmato da Damiano Nirchio (vincitore del Premio Eolo), che si interrogano in maniera altamente poetica sul dolore nella nostra esistenza. Sul tema della morte, non possiamo dimenticare il percorso di Chiara Guidi della Societas, in capolavori come Buchettino, La bambina dei fiammiferi, La terra dei lombrichi, per citarne solo alcuni, dove la tematica è trattata con grande profondità e rispetto. In un suo laboratorio-esperienza diventato famoso, i bambini (in Buchettino per loro ci sono 50 lettini) erano coricati in piccole bare e invitati a considerare la morte non come spauracchio ma come parte integrante della vita.
Prevedibilmente è la sessualità a incontrare gli ostacoli maggiori: quando viene essere proposta, anche nella forma più innocente, la tematica crea fastidio.
In Virginia della Compagnia La Pulce i protagonisti Angelo e Linda sono due genitori straordinariamente imperfetti, che si trovano alle prese con un’esperienza che non si aspettavano di vivere così presto: parlare d’amore a Virginia, la loro bambina. Lei sta dormendo e loro sono lì, uno di fronte all’altra, un po’ impauriti e un po’ perplessi, e tentano di trovare le parole adatte. Il dialogo si trasforma in una girandola di situazioni tenere e divertenti: i due genitori comprendono l’importanza delle emozioni amorose, e le riconoscono come essenziali per la maturazione della loro bambina.
Poi c’è la metaforizzazione contemporanea della fiaba. Ha suscitato sgomento la riscrittura di Cappuccetto rosso fatta da Giovanna Facciolo per i Teatrini ne Il sentiero del lupo, protagonista un lupo ingannatore che cerca di mangiare una bambina. Dunque una storia antica può anche parlarci di pedofilia (anzi, forse questa chiave di lettura è presente fin dalle origini), ma ci aiuta soprattutto a guardare nei nostri giorni, all’infanzia e ai suoi “lupi”, ai suoi confini oltraggiati, ai suoi mondi traditi. Lo spettacolo che utilizza un linguaggio delicato e simbolico, ma nello stesso tempo riconoscibile, come quello che ci può offrire la favola e la sua possibilità di riscrittura.
Di recente, due spettacoli hanno fatto molto discutere, Fa’afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro di Giuliano Scarpinato (avendo difeso lo spettacolo, sono stato oggetto di insulti a non finire, perchè quello che spaventa di più i censori è il cambiamento della società) e Peter Pan guarda sotto le gonne di Liv Ferrachiati.
Prima di Scarpinato, molti guai aveva avuto la creazione per piccolissimi Il piccolo uovo con Valeria Battaini, prodotto da Teatro 19 su progetto e drammaturgia di Francesca Mainetti. La bambina Qua è arrabbiata con la sua famiglia. Si chiude in camera sua come dentro al guscio di un piccolo uovo. Non vuole più uscire e lì gioca con il suo amico immaginario, gioca con le ombre, gioca a viaggiare alla scoperta di tante famiglie diverse, fino a scoprire quella giusta per lei. Vengono raccontate con delicatezza famiglie diverse da quella tradizionale, come sono quelle di molti dei piccoli spettatori: famiglie allargate, famiglie con un genitore solo, famiglie con figli adottati, ma anche famiglie con due mamme o due papà. Famiglie diverse, ma diversamente felici. Perché la felicità non è a senso unico. Ecco! La felicità è il sentimento che alla fine scaturisce da tutti gli spettacoli che rompono i tabù che certi adulti vogliono imporre al teatro ragazzi.
Con il teatro al pubblico dell’infanzia è possibile trattare qualunque argomento. Quello che conta è il modo con cui viene proposto. Prima qualità è la leggerezza. La metaforizzazione deve essere posta con lievità e grazia. Non ci deve essere un’unica chiave di lettura: la proposta deve suggerire domande piuttosto che dare risposte univoche. L’allestimento deve essere condotto in modo semplice e immaginativo, e nello stesso momento popolato di bellezza. I bambini devono abituarsi a una società che cambia in fretta, più in fretta di chi vorrebbe legarla a valori fintamente consolidati. Questo non vuol dire ovviamente proporre loro un mondo dove i valori non esistono più. I valori esistono sempre: la libertà, l’amore per sé, quello per gli altri e per la natura, correlati al rispetto per ciò che ognuno è, nell’alveo della convivenza civile.
Nel testo di Scarpinato, il piccolo Alex non ha ancora deciso se essere maschio o femmina, o forse vorrebbe essere tutti e due. Non si parla di omosessualità, ma di felicità. Attorno ad Alex, proposti attraverso il video, ci sono i genitori, Susan e Bob (lo stesso Scarpinato e Gioia Salvatori), che lo guardano dal buco della serratura e non capiscono. Nessuno ha spiegato loro come si fa a trattare con un bambino così speciale; pensano che sia un problema e credono che la loro unica possibilità sia doverlo cambiare, ma come vedremo sarà Alex alla fine a cambiarli. Saranno proprio i genitori, all’inizio così increduli e lontani, mescolando ruoli e vestiti, a comprenderlo e ad amarlo, regalandogli il dono più prezioso che un genitore possa augurarsi: la felicità del proprio figlio. Torna il concetto di felicità, il bisogno di sentirsi quello che si è, senza infingimenti, senza bisogno di essere “accettati” – una parola in qualche modo oscena – ma di essere parte di tutte le forme che la natura accoglie nel suo grembo.
Peter Pan guarda sotto le gonne di Liv Ferrachiati, prodotto dalla Compagnia The Baby Walk nel 2015, ha vinto il Premio Docenti al Festival delle Giovani Realtà del Teatro di Udine ed è stato semifinalista al Premio Scenario. Protagonista è una ragazzina di undici anni e mezzo con i capelli raccolti e vestita con abiti maschili, che gioca a calcio inneggiando a Roberto Baggio. Quella è Peter: non è esattamente una femmina, ma precisamente un maschio, e nessuno sembra accorgersene. Peter – interpretata da Alice Raffaelli – si trova a dover gestire la scoperta della sua identità, che è altra rispetto all’identità che tutti, a cominciare dai suoi genitori (presenti solo “in voce” e interpretati da Ferdinando Bruni e Mariangela Granelli), vorrebbero affibbiarle. Poi c’è il rifiuto che riceve da Wendy (Liliana Benini), una tredicenne problematica conosciuta ai Giardini: Peter si innamora di Wendy, ma Wendy le fa capire che il suo sentimento non è corrisposto, che ai suoi occhi Peter è e sarà sempre una lei. L’unica persona che sembra voler aiutare Peter è Tinker Bell (Chiara Leoncini), una fata un po’ incazzosa, priva di bacchetta magica ma dotata di Polaroid: spiega a Peter la sua natura di “mezzo e mezzo”, insomma che non è esattamente una femmina, ma precisamente un maschio. La confusa Peter si trova pure a fronteggiare la sua parte maschile (Luciano Ariel Lanza), che di tanto in tanto fa la sua comparsa sul palcoscenico. Lo spettacolo affronta il tema dell’identità di genere e rappresenta il primo capitolo di una “trilogia sulla transessualità” che vuole raccontare l’esperienza della dicotomia tra corpo e mente in fatto di identità di genere.
I bambini, i ragazzi, gli adolescenti sanno benissimo decodificare il mondo. E non saranno confusi, e non “diventeranno gay”, perché vedono questi spettacoli. Impareranno piuttosto a comprendere che la vita e la natura si manifesta sotto diverse forme, che devono essere sempre “rispettate” e non solo “accettate” se non vogliamo che questo mondo così imperfetto lo sia ancora di più.
Sarebbero molti di più gli spettacoli che hanno affrontato e affrontano argomenti che alcuni adulti ritengono inadatti ai ragazzi, ovvero al “pubblico di domani”, come erroneamente si usa ancora dire. Oggi invece il pubblico dei bambini e dei ragazzi è ben attrezzato per capire, per gustare ogni argomento: il problema è come proporlo. Dobbiamo farlo senza infingimenti, con metafore leggere e comprensibili in cui potersi ritrovare, in cui poter comprendere tutte le infinite sfaccettature che il nostro piccolo mondo possiede.
Tag: censura (33), ragazziteatro (54)
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