Con Luca Ronconi senza Luca Ronconi: tre giorni a Santacristina tra memoria e futuro del teatro
Regia, Parola, Utopia – Giornate di studio per Luca Ronconi (dal 30 agosto al 1° settembre 2017)
Arrivare è già un’avventura: la strada sterrata, le buche, il navigatore che ti porta in un altro paese per poi abbandonarti definitivamente, il cellulare che non prende e solo pochi hanno accesso al wifi. Ma tutto questo amplifica l’aura di prestigio che circonda il semplice e lungo edificio bianco che ospita il Centro Teatrale Fondato da Luca Ronconi insieme a Roberta Carlotto nel 2002.
Anche per gli allievi che hanno transitato per il Centro arrivare e rimanere a Santacristina è stato un traguardo: selezioni numerose e poi una vita monacale, dove l’unico imperativo è il lavoro.
La terza estate senza Ronconi ha imposto alla direzione una svolta, non solo per tenere viva la memoria del regista che ha cambiato il teatro italiano e internazionale degli ultimi cinquant’anni, ma anche per rilanciare la funzione del Centro: un polo di formazione, per attori più o meno giovani, e un centro di cultura capace di attrarre figure di rilievo della scena teatrale e intellettuale non solo nazionale.
Così Roberta Carlotto, insieme all’aiuto della sempre presente e attenta Elisa Ragni e di Graziano Graziani, Sergio Lo Gatto e Oliviero Ponte di Pino, e grazie all’organizzazione di Claudia Di Giacomo e Maria Zinno, ha ideato Regia, Parola, Utopia – Giornate di studio per Luca Ronconi, una tre giorni, dal 30 agosto al 1° settembre 2017, attorno al lavoro del regista, con interviste, dibattiti, presentazioni e ricordi di chi ha lavorato con lui. Passato, presente e futuro si sono messi a confronto: un’occasione importante per riflettere sugli insegnamenti di un maestro del teatro e interrogarsi sullo stato dell’arte del teatro italiano, apparentemente oggi privo di punti di riferimento.
In una splendida giornata di fine estate, gli ospiti arrivano alla spicciolata: intellettuali, giornalisti, giovani critici e operatori teatrali. Ci si incontra tra i diversi tavoli della grande sala dove è stato allestito un ricco ma sano buffet. Ci si conosce tutti in pochi minuti, in questa realtà lontana dal mondo, immersa nella natura e nel silenzio.
Dopo il pranzo, tra un caffè e un biscotto, c’è appena il tempo di perdersi nel panorama, dove regna un verde secco: il profilo del porticato che unisce due sezioni del Centro crea una cornice racchiudendo in essa una sezione delle colline tutt’attorno, da ammirare come se fosse un quadro.
Ma la tabella di marcia è serrata e Roberta Carlotto apre i lavori: dopo la solitudine degli ultimi anni, solo l’aggregazione e la comunità possono rilanciare il progetto. Il Centro Teatrale Santacristina era nato come scuola di perfezionamento estiva per attori, con finanziamenti e possibilità che consentivano una progettualità a lungo termine; l’assenza della politica si fa sentire, perché senza sostegno e senza lungimiranza il Centro (così come tutte le aggregazioni culturali) rischia di ripiegarsi su sé stesso, perdendo la capacità di guardare avanti e adeguarsi al mondo.
Claudio Longhi, nuovo direttore di ERT, inaugura il primo pomeriggio di lavoro, incentrato sulla parola Regia. «Cours de mise en scène générale»: piccolo breviario del (non-)metodo Ronconi parte proprio dall’ambivalenza del concetto di regia in Italia: da un lato una parola rivoluzionaria, la molla che ha cambiato l’intero sistema teatrale; ma dall’altro lato una parola di regime. Seppur costellato di successi, il percorso di Ronconi verso la regia fu accidentale: lui stesso sottolineava come “non si può essere un regista finché qualcuno non ti definisce tale”. Di conseguenza ha sempre rinnegato l’idea di metodo, preferendo invece parlare di “tecnica”: partire dalla lettura del testo alla ricerca della sua oggettivazione sulla scena, quasi un “approccio strutturalista al testo”, come lo ha definito Longhi. È un’introduzione lucida e concreta all’idea di regia di Ronconi, che ha sempre creduto nel valore politico della drammaturgia. Un finale aperto per rilanciare il dibattito con i (pochi) registi presenti in sala, per confrontare le diverse modalità di lavoro e per capire cosa oggi rimane della “non scuola” ronconiana.
Peter Stein, uno dei massimi registi tedeschi, da tempo attivo soprattutto in Italia, camicia scura sbottonata, collanina d’oro e sguardo severo, dopo un inizio poco felice con il suo interlocutore, Sergio Lo Gatto, rilancia l’osservazione del direttore di ERT sull’approccio all’opera, sottolineando come per lui, a differenza di Ronconi, il regista dovrebbe (e lui lo fa) compiere un lavoro filologico sul testo, per portare in scena la sola interpretazione possibile, ovvero quella dell’autore. Ammette che il suo sogno è da sempre quello di rimettere in scena la prima mondiale di un testo, come ha fatto in parte con le leggendarie Tre sorelle stanislasvkiane.
Il dibattito si rianima. Claudio Longhi, accompagnato da Marco Consolini, dialoga con Federico Tiezzi e Antonio Latella sul concetto di regia e sul rapporto con la tradizione. Per Tiezzi la regia è l’unico modo per arrivare a quell’unicità che si chiama spettacolo. “La tradizione è il trampolino per il saltare. E il vero coraggio è sapere che non c’è la rete”: con questa metafora il direttore della Biennale Teatro affronta il rapporto con la tradizione: bisogna conoscerla, per destrutturarla e rimodellarla. Si infervora, quasi fino al nervosismo, quando qualcuno proclama che la regia è ormai morta: “Non è vero, è viva, bisogna riconoscere il lavoro dei più giovani.” Due generazioni a confronto, un’esperienza che non capita tutti i giorni e che sarebbe stato bello ascoltare ancora a lungo, magari sacrificando parte dell’intervento successivo, un approfondimento su alcune regie liriche di Luca Ronconi. Il tema centrale è l’analisi della sua messinscena dell’Orfeo di Monteverdi al Teatro Goldoni di Firenze (1998). Ma prima di arrivare al succo del discorso, il “critico musicale a riposo” Jacopo Pellegrini offre una superficiale panoramica sulle regie liriche di Ronconi, una teatrografia con allestimenti, costumi, luci e suoni, e buona parte del pubblico preferisce uscire prima della fine dell’intervento. Per chi frequenta il teatro di prosa, il teatro lirico è un mondo a parte, poco noto più per mancanza di tempo che di interesse, e questi incontri potrebbero essere momenti di approfondimento e di confronto tra linguaggi e registri.
In serata si è assistito alla restituzione del lavoro degli attori che hanno frequentato le sei settimane del corso di perfezionamento Dentro la Scuola d’Estate del Centro Teatrale Santacristina: selezionati su bando nazionale tra più di 250 candidature, i dieci attori hanno seguito diversi laboratori con Benedetto Sicca, Massimo Popolizio, Alessio Maria Romano (che ha curato un ciclo di lezioni di training fisico) e nelle ultime settimane hanno lavorato, con due registi-assistenti di Ronconi, Luca Bargagna e Giorgio Sangati, su Spettri di Ibsen, O di uno o di nessuno di Pirandello e Otto scrittori di Michele Mari. Dopo la cena a buffet, grazie alle cuoche gentili e disponibili, nella serata del 30 agosto i giovani allievi hanno presentato una prova aperta: un’esibizione acerba, che forse necessita di rodaggio, ma uno spazio come il Centro Santacristina è il trampolino per possibili sviluppi successivi, come è già accaduto in passato, basti pensare a spettacoli come In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi (2012) o Pornografia (2013), nati entrambi in questa sala.
La seconda giornata, dedicata alla Parola, è stata la più ricca e lunga. Inizia con Immaginare l’inimmaginabile: la potenza della parola, l’intervento del giornalista e poeta Franco Marcoaldi, che ha divagato sulla capacità metamorfica della parola, sulla sua potenza evocativa e sulla sua capacità di creazione attraverso la lingua, aprendo la strada al tavolo successivo dedicato alla nuova drammaturgia italiana, interamente maschile dopo la defezione di Lucia Calamaro: Federico Bellini, Davide Carnevali, Paolo Di Paolo e Jacopo Gassman, coordinati da Graziano Graziani. Bellini si è lamentato che spesso, in un’opera teatrale, il testo diventi un mero pretesto del regista per raccontare altro. Carnevali spiega che la sua scrittura nasce dalla volontà di provocare lo spettatore affinché rifletta sull’aspetto religioso che un testo può avere. La parola diventa l’elemento fondamentale anche nel lavoro di traduttore di Jacopo Gassman: può essere plasmata in base al target di riferimento del testo, ma ricorda che esiste una contrapposizione tra i traduttori. C’è chi si attiene con la maggior fedeltà possibile all’originale e chi invece contestualizza e modernizza. Il poco tempo a disposizione o forse il gruppo disomogeneo hanno reso il tavolo una serie di testimonianze. Disarmante l’intervento di Di Paolo, che parla di drammaturgia italiana contemporanea genericamente, senza nemmeno citare Testori.
Curzio Maltese, giornalista ed europarlamentare, conclude la mattinata con la sua visione catastrofista non solo dello stato della cultura in Italia ma anche, e sopratutto, della considerazione che la Comunità Europa riserva alla cultura: nel Trattato di Maastricht, spiega, la parola “cultura” compare solo a partire dall’articolo 137, a dimostrazione di una visione quasi solo economico-finanziaria, e i risultati si vedono. Ma sarebbe forse meglio pensare alla possibilità di un cambiamento: è triste sentire un politico parlare solo di distruzione e poco di costruzione, o come in quest’occasione lanciare un generico invito a mobilitarsi in difesa del lavoro. Nonostante il Centro Teatrale Santacristina sia l’esempio di un progetto che guarda al futuro tenendo memoria del passato, la politica rischia di sottolineare il marcio e le disfunzioni del sistema, senza fare proposte positive e di rinascita.
La mattinata volge al termine. Il suono del gong avverte che il pranzo è pronto, andiamo tutti nella grande sala. Ci affolliamo al buffet e ci sediamo, nella sala spoglia ed elegante: l’intellettuale affermato e l’allievo, il giovane critico e l’attore, lo studioso e il regista, i gruppi che hanno una lunga storia comune e quelli che s’incontrano per la prima volta e scambiano esperienze e progetti.
Appena bevuto il caffè, si ricomincia con Nadia Fusini: il suo intervento, Shakespeare: il gioco del teatro si limita a una lezione un po’ generica sulla vita, vera o presunta, del drammaturgo più famoso del mondo.
La verve di Fausto Malcovati riporta l’attenzione sul lavoro di Luca Ronconi, a partire dalla messinscena del Gabbiano di Cechov diventato un Laboratorio per Un altro gabbiano (2009). L’analisi della drammaturgia di Ronconi mette in luce l’efficacia di un metodo che lavora sulla novità e sulla contraddizione, sia nel montaggio sia nella lettura delle singole scene: ecco che la scenata di gelosia diventa momento ilare e la possessività dell’Arkadina si concretizza in una gestualità inquietante. La passione di Malcovati per lo scrittore russo si unisce all’ammirazione per la capacità di lettura dei testi di Ronconi, per come si è accostato al testo di Cechov, l’ha accolto, compreso e letto in maniera nuova, creando un altro grande spettacolo.
Dopo l’Inghilterra e la Russia, eccoci in Francia con gli interventi di Giulia Filacanapa e Erica Magris, organizzatrici dell’incontro Luca Ronconi, maître d’un théâtre sans limite, che si è tenuto all’Istituto di Cultura e al Conservatoire National d’Art Dramatique di Parigi nel dicembre 2016. Il convegno è stato un momento importante per rilanciare lo studio dell’opera ronconiana in Francia, ancora troppo poco considerata oltralpe. A Santacristina le due studiose portano due testimonianze concrete del lavoro del regista italiano in Francia. Nell’intervento La ricezione francese del teatro ronconiano: Le Marchand de Venise (1987) Filacanapa analizza lo spettacolo che nel 1987, commissionato dalla Comèdie Française e coprodotto dal Festival d’Automne, ha portato all’abbandono di Ronconi dalla scena teatrale francese fino al 1996: il suo Mercante di Venezia venne considerato dalla critica parigina troppo lungo, troppo costoso, con un casting sbagliato e con una scenografia di Margherita Palli troppo imponente. Con Uno spostamento di prospettiva: studiare Ronconi in Francia, Magris spiega come in Francia Ronconi non sia oggi considerato un “classico italiano”, un ruolo riconosciuto invece a Strehler e Bene. Tra le diverse motivazioni di questo mancato riconoscimento, Magris individua, tra altri aspetti, anche il diverso rapporto che gli attori hanno con la lingua nei due paesi: da un lato la “naturalezza” del francese, dall’altro l’assenza di una efficace lingua teatrale italiana.
Un altro tuffo nell’opera lirica di Ronconi con Due icone del re muto: Duncano e Carlo X. Emilio Sala e Suzanne Stewart-Steinberg mostrano la presenza di due icone regali quasi identiche nel Macbeth (1980) di Verdi e nel Viaggio a Reims (1984) di Rossini. Una annotazione interessante, che dimostra la coerenza della grammatica teatrale ronconiana,
In chiusura, il momento più atteso della giornata: Oliviero Ponte di Pino intervista sei attori che hanno lavorato con Luca Ronconi. Ogni intervento è preceduto dal frammento video di uno spettacolo. La clip di Dialoghi delle Carmelitane (1988) non fa in tempo a finire e Franca Nuti, con gli occhiali da sole e una camicia bianca con larghe maniche, si alza in piedi: esplode un lungo e fragoroso applauso. Un sestetto di grandi interpreti, uno accanto all’altro. È stato commovente vedere come ognuno di loro ha raccontato il proprio incontro con Ronconi, delle sofferenze e delle tensioni passate, ma soprattutto di una gioia viscerale, carnale e spirituale. Franca Nuti racconta come il testo dovesse passarle dentro l’anima, come in uno spettacolo lungo dodici ore nel camerino ci fosse anche il lettino per il massaggiatore, e come per un’attrice sia molto difficile farsi accettare come interprete di un ruolo maschile, con le debolezze e le difficoltà di ognuno. Massimo De Francovich, dopo il video di Ultimi giorni dell’umanità (1990), trasmette l’allegria di Ronconi quando ogni giorno arrivava, dentro il grande capannone del Lingotto di Torino, un nuovo elemento di scena: un giorno un vagone di un treno, un altro un camion, e poi una pressa per la stampa…
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1996) è stato il primo spettacolo di Paola Bacci con Ronconi: un’esperienza profonda tanto che, come racconta, dopo le è stato difficile lavorare con un altro regista. Così come forte è stato l’impatto con la lingua: Gadda, come Svevo, hanno una scrittura apparentemente complessa, che però dà la possibilità all’attore di essere libero.
Uno spettacolo sugli specchi, nel vero senso della parola, è Amor nello specchio (2002) con Manuela Mandracchia accanto a Mariangela Melato a Ferrara, in un Corso Ercole I d’Este ricoperto interamente di specchi: “Il pavimento diventava tutt’uno con il cielo e le prime volte quando guardavamo in basso ci sentivamo risucchiate verso l’alto”.
Con un sorriso tirato, Massimo Popolizio commenta il suo video Atti di guerra: una trilogia (2006): “Ho fatto più di trenta spettacoli con Ronconi e avete scelto l’unico che non è andato in scena”. In realtà dopo la prima, al Teatro Astra di Torino il 3 febbraio 2006, Popolizio è stato ricoverato e lo spettacolo è saltato. Tutti gli attori presenti, più o meno direttamente, raccontano del loro rapporto con la malattia come conseguenza del lavoro con Ronconi, una full immersion nel testo e nello spettacolo che prendeva anima e corpo. Lo conferma anche Lucrezia Guidone, la più giovane, che conclude il pomeriggio raccontando dello sviluppo di uno spettacolo da Santacristina, dalla prima volta in cui ha conosciuto il Maestro alla prima rappresentazione a Spoleto dei Sei personaggi in cerca d’autore nei panni inquietanti della Figliastra.
La giornata è stata lunga ma l’attenzione è stata sempre alta fino all’ultima parola della Guidone: un incontro potente, che ha valorizzato la grandezza di questi interpreti, tra un aneddoto illuminante, una testimonianza privata, uno sfogo liberatorio. Sei artisti che con esperienze e percorsi molto diversi hanno raccontato punti di vista differenti, delineando alla fine la stessa figura: un maestro esigente, burbero, ma al tempo stesso generoso con ciascuno di loro. Italo Moscati, tirando le conclusioni la mattina dopo, sottolinea l’importanza delle testimonianze degli artisti, un patrimonio da raccogliere per costruire memoria storica.
E così, inebriati dalla quantità delle suggestioni e saziati dai gustosi gnocchi del buffet serale, si è conclusa anche la seconda giornata.
Giovanni Agosti apre la mattinata conclusiva, dedicata al tema dell’Utopia. Lo storico dell’arte, e acuto frequentatore di teatro, ipnotizza il pubblico per quasi due ore parlando prima degli allestimenti (secondo lui sbagliati) delle mostre di Luca Ronconi con Margherita Palli e poi dell’autobiografia inedita di cui sta curando la pubblicazione: il testo, raccolto da Maria Grazia Gregori su indicazione di Franco Quadri, avrebbe dovuto essere pubblicato da Ubulibri negli anni Novanta, il materiale incompiuto verrà pubblicato da Feltrinelli.
L’ultima sessione, condotta anch’essa da Ponte di Pino, ha visto Ariella Beddini (autrice dei frammenti video), Alberto Benedetto e Marco Rossi (che hanno curato la produzione per il Piccolo Teatro), Graziano Piazza e Stefano Santospago (due degli interpreti) raccontare l’avventura di Infinities (2002), lo “spettacolo-utopia” di Luca Ronconi (“Il mio spettacolo ideale? Uno spettacolo infinito in un teatro in fuga”), un labirinto che faceva perdere la cognizione di tempo e spazio. È stata anche l’occasione per approfondire il caldo tema delle riprese televisive degli spettacoli teatrali: senza i video che abbiamo visto in questi giorni, molti giovani, per esempio, non avrebbero visto i capolavori di Ronconi.
A chiudere le tre giornate di studio è Giuliano Scabia, con una lettera intima, delicata e commovente indirizzata a Luca Ronconi. Tutti, alla fine, avevamo gli occhi lucidi di fronte al racconto dell’amicizia e della collaborazione di due grandi artisti.
Tre giorni densi di parole e di contenuti. Molti argomenti affrontati e molti ospiti che si sono seduti davanti alla platea. Un segno forte per una realtà come Santacristina, forse in cerca di una nuova identità e di un nuovo ruolo nel panorama dei centri di formazione italiani. Ora siamo in molti a sapere che esiste e cosa accade al suo interno. Non sarebbe male che si imponesse anche come luogo di incontro e di discussione sul futuro del spettacolo dal vivo, proprio a partire da quel passato recente che ha cambiato la storia del teatro.
Roberta Carlotto, nel congedare i partecipanti, ha lanciato l’appello per la costituzione di un “gruppo di amici di Santacristina” con l’obiettivo di incontrarsi, di tenersi aggiornati sugli sviluppi del Centro e di partecipare attivamente alla sua progettualità. Un auspicio, così come sarebbe apprezzabile la partecipazione di un pubblico non solo di intellettuali, critici e giornalisti ma anche di giovani registi e futuri attori.
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