Le due facce della militanza critica in un sistema vivace e pluralista
L'intervista di Roberta Ferraresi per Dioniso e la nuvola
Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.
Roberta Ferraresi si occupa di teatro dal 2004. È assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna, dove svolge attività di supporto alla didattica e ha concluso il dottorato nel 2014 (la tesi sugli studi teatrali in Italia fra Novecento e Duemila è attualmente in corso di pubblicazione). Ha lavorato nelle redazioni di festival e teatri nazionali e curato laboratori di critica teatrale presso diverse rassegne di arti performative. È membro della Commissione Consultiva Teatro del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 2014/2017. Collabora dal 2009 con “Il Tamburo di Kattrin”, all’interno di cui si occupa di attività redazionali e della cura di progetti site-specific. Scrive anche su Doppiozero.
Chi è Roberta e come arriva al teatro?
Roberta si occupa di teatro dal 2004, ha trent’anni e cerca di sopravvivere creando progetti indipendenti di approfondimento e diffusione della cultura teatrale insieme alle componenti del Tamburo di Kattrin.
Perché il teatro? Perché credo che – per via delle sue caratteristiche – sia uno dei migliori strumenti per favorire il confronto fra le persone, dal punto di vista intellettuale, emotivo, più in generale umano.
Sono arrivata al teatro tramite l’università: allo IUAV di Venezia, i corsi del professor Andrea Porcheddu proponevano anche laboratori di critica presso festival e teatri. Ho cominciato a frequentarli e ad avvicinarmi al mondo della ricerca attraverso situazioni di particolare intensività e prossimità alla creazione artistica.
Il Tamburo di Kattrin. Come nasce, perché e qual è il suo obiettivo attuale?
Il Tamburo di Kattrin è nato nel 2009 da un gruppo di studentesse che frequentavano uno dei corsi di Andrea Porcheddu: la webzine è stata fondata da Camilla Toso, Carlotta Tringali, Silvia Gatto insieme al fotografo e webdesigner Alvise Nicoletti. Credo sia nata perché queste persone (e gli altri studenti che hanno partecipato all’inizio alle pubblicazioni) volessero proseguire l’esperienza iniziata con i laboratori di critica diretti da Porcheddu.
Altri elementi si aggiungono al Tamburo nel corso degli anni (io sono stata coinvolta nel 2010) e la loro presenza, insieme alla crescita dei componenti originari, ne cambia sensibilmente il profilo. Negli anni si è trasformata da webzine impegnata nel racconto del presente della scena a piattaforma progettuale composita gestita da un collettivo, che si va a occupare più in generale di approfondimento e diffusione della cultura teatrale, non solo attraverso la scrittura di articoli, ma soprattutto ideando modalità di narrazione e comunicazione diverse per lo spettacolo dal vivo: da un lato, sfruttando in maniera creativa le potenzialità degli strumenti del web, dall’altro curando progetti site-specific di interazione con il livello produttivo (teatri, artisti) e fruitivo (con gli spettatori) del teatro.
Chi è il critico oggi? Che ruolo ha?
Penso che dipenda dalla visione di ognuno. La mia è che il critico possa e debba svolgere una funzione di ampliamento, diffusione, approfondimento della cultura teatrale, provando a mettere in prospettiva le singole opere che affronta rispetto ai contesti più generali sia della scena (del percorso dell’artista, delle tendenze attuali e del passato) che della produzione culturale, della società, della politica, eccetera.
Penso che il ruolo sia quello di contestualizzare i lavori rispetto al nostro tempo. E di stimolare domande intorno alle questioni che sollevano, teatrali e non, per provocare più che altro il pensiero critico (anche non specialisticamente inteso), il confronto e la discussione.
Fenomeni wikipedia e tripadvisor, tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. Che autorità ha oggi il critico? Da chi viene letto? E per chi scrive?
Non so se l’autorità e il prestigio della critica e del critico siano stati messi in discussione dall’avvento di nuovi media, con i loro diversi profili, strumenti, obiettivi. Penso in generale che si avverta un indebolimento del pensiero critico e un ridimensionamento degli spazi a sua disposizione, di espressione e di discussione. Ovviamente non solo in teatro.
Ho l’impressione che tanto oggi quanto ieri i nostri articoli vengano letti principalmente, quando non esclusivamente da addetti ai lavori, persone che partecipano attivamente ai processi produttivi a vario titolo.
Ciò non significa che non dobbiamo farci carico del cosiddetto pubblico “normale”, anzi. Solo che forse gli strumenti di interazione sono diversi (appunto anche perché esistono modalità come quelle che hai indicato che consentono all’utente di esprimere la sua valutazione e anche perché siamo in un periodo di grande e trasversale alfabetizzazione culturale) e mi pare che l’incontro con il pubblico dei non addetti avvenga più in occasioni dal vivo, come in laboratori e incontri, che sulle nostre pagine.
Sul web un nome è uguale all’altro o il pubblico riesce a distinguere chi scrive?
Anche qui non credo la situazione sia molto cambiata: cioè, lo è e molto, ma non rispetto ai temi dell’autorevolezza. Nel senso che anche sulla carta stampata scrivono/scrivevano molte persone, più o meno brave, seguite, attente; e anche lì il lettore selezionava autonomamente, in base al valore del critico, all’argomento trattato, eccetera. Penso che ieri e oggi l’autorevolezza sia qualcosa che si conquista ogni giorno, con la serietà del proprio lavoro.
Posso garantire che il pubblico riesce a distinguere chi scrive (e come scrive!), basta dare un’occhiata alle statistiche rese disponibili da Google Analytics o simili.
Se ne ha persi, cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?
Credo che sia indispensabile prima di tutto essere onesti, con se stessi, con i lettori e con gli artisti: se c’è stata un’emorragia di lettori (ma anche di spettatori), la responsabilità è anche della critica (e del teatro), in parte perché a volte hanno insieme costituito una sorta di ambiente autarchico, distanziandosi dal reale, dalle dinamiche di fruizione culturale, dalla prospettiva della gente. Si potrebbe dire che questo tipo di fenomeni siano l’altra faccia della militanza: se per molti questa è stata l’opportunità (preziosa e determinante) di una modalità diversa di avvicinamento al teatro e alla creazione, alcuni critici hanno accompagnato e sostenuto esperienze artistiche, a volte anche presentandole in modi rispetto a cui era difficile trovare corrispondenza nella reale creazione degli artisti. Addirittura a volte secondo legami di collaborazione con artisti e teatri.
Poi penso che bisogna parlare bene, in modo chiaro: lo spazio che occupiamo con i nostri articoli è sempre uno spazio pubblico, perciò andrebbe utilizzato al meglio per fare informazione e invitare all’approfondimento, certo non semplificare le cose ma neanche complicarle inutilmente (non come uno spazio privato dove esprimere le proprie opinioni, a volte in maniera di difficile comprensione, come spesso capita).
Che differenza c’è tra web e carta stampata?
La maggior parte dei critici oggi scrive su entrambi i supporti, per cui è un po’ arduo individuare le differenze concrete fra web e carta stampata. Molto materialisticamente parlando, diciamo che di norma il lavoro sul cartaceo è definito tramite forme di collaborazione con grandi testate e quindi retribuito; quello online corrisponde spesso al coinvolgimento diretto in piattaforme indipendenti, per cui è in buona parte gratuito (ad eccetto delle versioni web dei quotidiani).
Credo però che le differenze fra i diversi supporti siano fondamentali per capirli e sfruttarli al meglio, e penso anche che abbiano un’incidenza enorme sulla scrittura. Però qui forse direi che le differenze fra web e cartaceo in Italia non sono ancora state assimilate in profondità: un esempio per tutti è la nostra legislazione in merito, che accomuna su molti fronti periodici online e cartacei, senza tenere in alcun modo conto della diversa mentalità del web e del digitale.
Si tende ad esempio a pensare che gli articoli su internet siano effimeri (e invece restano lì per sempre più o meno, facendo del web il più grande archivio a portata di tutti, a differenza degli articoli di giornale che invece risultano introvabili già il giorno dopo che sono stati pubblicati); si pensa appunto come dicevamo prima che ci siano diversi problemi in merito all’autorevolezza del critico (in realtà penso che il lettore faccia le sue valutazioni tanto su internet quanto sui giornali, che non sono più per forza garanzia di autorità e competenza); si dice spesso che su internet è meglio scrivere poco, magari farcendo il pezzo di video e immagini (mentre la gente legge le cose interessanti, in qualsiasi forma siano postate e di qualsiasi lunghezza – ce lo dicono le analisi della nostra webzine). Un altro esempio: se si scorrono le pagine delle maggiori testate specialistiche online, dimostrano tutte, compresa la nostra, una certa similarità con la struttura dei supporti cartacei, si potrebbe fare meglio e di più. I luoghi comuni da spiazzare sono tanti, un po’ di strada è stata fatta e ancora tanta però è da percorrere.
Facendola breve, al momento mi pare che le grandi potenzialità del web ancora non sfruttate dalla critica teatrale in profondità siano: la dimensione di archivio, come indicizzare, catalogare, promuovere il complesso enorme dei contenuti pubblicati, anche facendo interagire piattaforme diverse; le enormi aperture derivanti dalla possibilità di “conoscere” i propri utenti, preferenze e comportamenti; infine, la possibilità di aprire le questioni strettamente teatrali a temi diversi e quindi a lettori non specializzati, che è facile intercettare tramite gli strumenti del web.
Che rapporto deve avere con i teatranti?
Il critico secondo me deve stare vicino al teatro, quindi anche ai processi di produzione (conoscere da vicino motivazioni, modalità, percorsi, problemi, aspirazioni); però deve anche essere onesto in questo rapporto e rimanere coerente con il proprio ruolo. Nel senso che facciamo tutti parte dello stesso ecosistema, ci sono molte questioni in comune che è meglio affrontare insieme, ma ciascuno svolge un ruolo diverso e la sua specificità è fondamentale: il critico secondo me non è un artista, quindi osserva ma non partecipa ai processi produttivi. E allo stesso tempo è uno spettatore, seppure più competente o esperto. L’equilibro fra le forme di coinvolgimento e questa condizione di separatezza o almeno di alterità penso sia il punto fondamentale.
Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?
Non so se “sporcarsi le mani” possa voler dire ancora qualcosa oggi. Sicuramente a livello storico sì: c’è stato un tempo in cui la critica era profondamente separata di norma dai processi produttivi, in cui il critico andava a teatro a vedere lo spettacolo e scriveva la sua recensione e basta, così si sono scatenate forme di revisione e contestazione in cui critici nuovi e diversi hanno rivendicato la necessità di conoscere anche le modalità di creazione e produzione degli spettacoli, i percorsi degli artisti. Di qui, si sono sporcati le mani in confronti serrati molto importanti per la crescita del teatro e della critica, hanno assunto ruoli a volte determinanti nei processi produttivi (ad esempio le direzioni artistiche), hanno sostenuto una o l’altra tendenza del teatro in prima persona.
“Sporcarsi le mani” ha significato immaginare un ruolo diverso per la critica. È stato un passaggio importante, fondamentale. Però ci sono state anche forme un po’ più estreme di degenerazione di questo tipo di coinvolgimento che hanno determinato sodalizi vincolanti.
Credo appunto che i limiti vadano rispettati all’interno del ruolo che ciascuno ricopre. Oggi non so se c’è ancora chi si “sporca le mani”. C’è, però non credo in modo così determinante come in passato, né dal punto di vista della prossimità con gli artisti né da quello del coinvolgimento nei processi. C’è un po’ di tutto: chi collabora con artisti e teatri, chi non è mai andato a una prova in vita sua. C’è un grande pluralismo e molte conquiste sono state acquisite, per cui sì esistono ancora forme di militanza ma forse per queste ragioni non vengono oggi percepite come esperienze cardine o estreme.”
La figura di un critico militante alla Quadri oggi è possibile? Ha senso parlarne?
Certo che ha senso parlarne. Sicuramente dal punto di vista storico: il lavoro di Quadri (e anche di altri della stessa generazione) è fondamentale per capire le dinamiche che hanno segnato il nostro teatro nel secondo Novecento.
Il clima di oggi come dicevo è quello di un trasversale e mobile pluralismo, dove coesistono opzioni di lavoro molto diverse fra loro, un po’ mescolate e mutanti. In questo contesto ci sono senza dubbio persone che si fanno carico di sostenere e diffondere certi percorsi e lavori, anche attraverso diversi strumenti a loro disposizione oltre il semplice articolo; ci sono anche persone che – come accadeva – si assumono la responsabilità di dirigere o addirittura creare iniziative di spessore, volte al confronto su alcuni temi e alla diffusione della cultura teatrale. Tuttavia il sistema è diffuso e frammentato, non riconosce macro-centri operativi (ad esempio Quadri-Premio Ubu-Ubulibri), ma piuttosto si articola in micro-azioni che aggregano diverse temporaneamente persone diverse in progettualità comuni. E l’altra cosa che credo sia cambiata (ma questo è più sul sistema teatro) è che non si fronteggiano tendenze/esperienze distinte (per esempio Postavanguardia/Terzo Teatro, ma anche teatro ufficiale/teatro di ricerca), ma anche qui si lavora nel contesto di un vivace pluralismo, e forse anche per questo la situazione della critica si esprime in forme di “militanza” dinamiche e specifiche.
Come si finanzia oggi la critica?
Per quanto riguarda il lavoro sul web e in particolare la mia generazione, posso affermare con certezza che la critica si finanzia facendo altri lavori. Anche se a volte ci sono risorse per progetti specifici, è molto difficile che qualcuno venga pagato specificamente per gli articoli che scrive, a eccezione delle collaborazioni con le grandi testate generaliste. Penso fosse così anche prima, perché anche le generazioni precedenti hanno lavorato come professori nelle università e nelle scuole, come uffici stampa, consulenti, direttori in teatri e rassegne ecc.
Con Kattrin abbiamo provato di tutto: dai bandi europei al crowdfunding, dalle collaborazioni con teatri e rassegne alla ricerca di sponsor privati. Però, quando questo tipo di percorsi hanno successo (ed è molto difficile!), funzionano solo se finalizzati a un obiettivo specifico, limitato nel tempo e radicato geograficamente in un certo territorio. Finanziare interamente le attività della webzine fino a questo momento non è stato possibile.
L’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, che ruolo ha?
L’Associazione – per quello che ho visto in prima persona – credo abbia innanzitutto il ruolo di identificare, creare e promuovere momenti di confronto e approfondimento fra i suoi soci, affrontando i vari temi, da quello del lavoro allo specifico del teatro, dalle politiche culturali a temi deontologici.
(febbraio 2015)
Tag: critica teatrale (85), Dioniso e la nuvola (19), retecritica (41)
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