Inforcare gli occhiali del XXI secolo per intercettare il nuovo pubblico del web

L'intervista di Andrea Esposito per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 23/06/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.
Andrea Esposito, nato a Napoli, studia prima Lingue e Letterature Straniere, poi Lettere e Filosofia tra Napoli e Venezia. Dopo alcuni anni di formazione e lavoro tra Spagna, Inghilterra e Giappone, torna in Italia e diventa giornalista. Oggi è regista e autore per Fanpage.it

Chi è Andrea e come arriva al teatro?

Andrea Esposito

Per rispondere correttamente dovrei parlare di me in terza persona come Giulio Cesare o come i tronisti di Maria De Filippi. Ma parlando seriamente, il teatro è entrato nella mia vita fin da quando ero piccolissimo: a casa principalmente durante le festività, ma non solo, si guardavano sempre le commedie di De Filippo. Diciamo che questa è stata la prima fascinazione, il primo ricordo che ho del teatro anche se non “a teatro”. Dopodiché la mia passione fin dall’infanzia è sempre stata l’arte: principalmente amavo, e amo tuttora, il cinema e le arti figurative più di tutto. Sono cresciuto divorando le monografie dei maggiori artisti (da Giotto a Warhol) e guardando film (d’autore, di genere, qualsiasi). Letteratura e teatro un po’ meno ai tempi dell’adolescenza. Poi a 19 anni, ho iniziato a studiarlo all’università e ho incontrato un professore come Claudio Vicentini che mi ha acceso una vera e propria passione. Con lui ho approfondito Pirandello (di cui è uno degli studiosi più eminenti) e le avanguardie. Da allora ho iniziato ad andarci assiduamente a teatro (prima lo frequentavo ma non così spesso) sempre però dividendolo con il cinema e le mostre d’arte. Finché ho potuto non ho mai scelto, anzi, ho cercato sempre di portare avanti tutte e tre queste passioni. Alla fine è stato il caso a scegliere per me, i primi lavori, i concorsi di scrittura, qualche incarico, alla fine sono passati alcuni anni, circa dieci, e questo è diventato il mio mondo.
Qual è il ruolo del teatro nel progetto di Fanpage?
Direi che ha un ruolo importante. L’esempio che faccio sempre è: quanti giornali generalisti che hanno una diffusione nazionale e almeno un milione di lettori ospitano quasi ogni settimana interviste a registi o attori nella sua homepage? Questo la dice lunga, no?
Chi è il critico oggi? che ruolo ha?
Confesso che la parola stessa mi mette in seria difficoltà. Personalmente distinguo molto nettamente due categorie: gli studiosi/accademici e i giornalisti. I primi seguono una carriera universitaria (o insegnano già); i secondi, a cui appartengo, sono per me dei “semplici” divulgatori, dei mediatori culturali. Se tutti siamo d’accordo sul fatto che il “discorso intorno al teatro” è ormai da anni relegato ai soli addetti ai lavori e che la critica per come la conoscevamo non ha più alcuna presa sulle persone, anche se poche, che a teatro ci vanno ancora, allora l’unica possibilità per me è quella di cambiare radicalmente le forme e i modi con cui il teatro si racconta. Ma questo vale per la cultura in generale. Bisogna necessariamente rivolgersi a un pubblico nuovo a partire dalla consapevolezza che il mezzo attraverso cui ciò avviene non è più il giornale, ma il web. Non mi dilungo in spiegazioni tediose, ma parliamo davvero di due medium molto diversi tra loro. Volendo riassumere in una formula dico semplicemente che: se uno vuole fare il giornalista nel 2016 non può pensare di fare il giudice o il libero pensatore che utilizza un linguaggio erudito e specialistico. Il mio direttore spesso ci ripete: “Bisogna inforcare gli occhiali del XXI secolo, non si può raccontare il presente utilizzando le lenti del passato”. Noi oggi parliamo a un pubblico sempre più digitale e frammentato che necessita di nuovi luoghi d’incontro e che non si riconosce più nei giornali tradizionali legati a logiche di massa del XX secolo. Chi pensa oggi, a trent’anni, di proporsi come recensore monomediale, non troverà mai un mercato. Dal mio punto di vista, il compito della nostra generazione (parlo sempre dei trentenni di oggi) è quello di inventare nuovi modi di raccontare, nuovi modi di parlare a comunità aterritoriali che nascono, crescono e scompaiono molto velocemente. Bisogna attraverso i social e la rete produrre contenuti che riescano a intercettare delle domande sociali, a restituire un’identità. Questo è il processo alla base di un contenuto di qualità che riesce a interconnettere un numero elevato di persone e a creare meccanismi di condivisione superando le tre prove, le tre azioni sociali: leggo o guardo il contenuto, mi piace, lo condivido. In tutti i convegni sul teatro si è d’accordo sul fatto che il problema del teatro è non avere nuovo pubblico. Ma poi nessuno vuole parlare con questo nuovo pubblico. A me pare che tutti, anche i più giovani, vogliono fare a gara di citazioni con i colleghi più “anziani” …
Fenomeni wikipedia e tripadvisor. Tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. Che autorità ha oggi il critico? da chi viene letto? e per chi scrive?

È un po’ il discorso di sopra. Tutti possono essere “critici”, ma non è detto che lo siano. Chi lo decide? I lettori. Non è un male che tutti abbiamo diritto di parola. Certo questo crea e sta creando grande confusione, ma alla lunga è evidente che chi sbraita e basta, chi agisce solo per interessi alla fine si ritrova o solo o con un pubblico di frustrati che ama usare la rete solo per sfogarsi a prescindere dagli interessi specifici come il teatro o la cultura in generale. Ciò che conta è che ciascuno può attraverso internet formarsi, acquisire nuove competenze, aggiornare quelle che ha e sperimentare, provare, migliorare. Se fa una cosa di valore, qualcuno lo nota. E se qualcuno lo nota puoi diventare un piccolo punto di riferimento. Da lì in poi o è il mercato editoriale (in senso ampio) che cerca te o sei tu che ti proponi e credo che difficilmente non trovi possibilità, almeno per iniziare davvero a farlo diventare un lavoro.
Sul web un nome è uguale all’altro o il pubblico riesce a distinguere chi scrive?

Se tutti fanno lo stesso identico lavoro (come accade in molta parte della critica) allora è assolutamente cosi. In Italia ci sono almeno una cinquantina di piccole testate (e parlo solo di quelle presenti nel gruppo di rete critica che mira a raccogliere ‘il meglio’ di chi scrive di teatro sul web). Ciascuna ha vari redattori al suo interno. Parliamo di oltre un centinaio di persone che vedono gli stessi spettacoli e ne scrivono una riflessione. Ma davvero crediamo che servano e che possano mai trovare spazio nel mercato editoriale?

Se li ha persi, cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?

Li ha persi per motivi che non sto qua a spiegare. La mia ricetta è: onestà, nessunissima presunzione, volontà di ferro di informare e interessare i lettori, distanza totale da artisti e altri colleghi. Il motivo è semplice: nei piccoli mondi, come quello del teatro in Italia, dopo poco si finisce per conoscersi tutti, come diceva Flaiano “In Italia non facciamo le rivoluzioni perché in fondo ci conosciamo tutti”. Si creano piccoli gruppi, come delle comitive. Se inseriamo tutto questo nel contesto e cioè in un mondo in crisi, in cui non ci sono più fondi, alla fine si finisce per creare una piccola corporazione dove i giornalisti difendono gli artisti amici a prescindere e li assecondano nelle loro necessità. Prima tra tutti quella di trovare una reciproca legittimazione culturale: io approfondisco fino alla morte cose che tu regista hai eventualmente pensato in preparazione del tuo lavoro (anche se non si vede, non si sente, non è compiuta, non emerge in nessun modo nello spettacolo) e tu divulghi i miei articoli definendomi un grande critico e uno studioso valido. Il problema però è che dopo anni che si è andati avanti così, il pubblico è fuggito dai teatri e ha tolto ogni credibilità alla critica e la critica ha pensato che questo lavoro lo si fa per gli attori e i registi. Poi alzi la testa, guardi ad altre arti, ad altri paesi, scruti un po’ cosa si fa altrove e ovviamente non scegli il teatro. Guardando molte cose del teatro di ricerca ti rendi conto che è anni luce dietro agli esperimenti dell’arte contemporanea, di certa performing art, ed in più è fatta peggio e con meno soldi. Perché dovrei andare a teatro?

Che differenza c’è nella critica tra web e carta stampata?

Per affrontare questo discorso dovremmo parlare del fatto che la carta stampata sta scomparendo, dei motivi per cui ciò accade e delle differenze profonde che esistono tra un giornale web (che non esiste) e giornale cartaceo. Ma per farla breve la differenza sostanziale è che sulla carta stampata scrivono per lo più (salvo qualche eccezione) persone che hanno superato i 50 anni quando va bene, in spazi molto limitati non tanto per numero di battute ma per possibilità (non hai link, non puoi confrontare una notizia, spesso niente immagini o una di pessima qualità, niente video…). Perché mai nel 2016 dovrei informarmi così? Certo il gusto di sfogliare un giornale di carta e leggere un articolo in certi contesti va benissimo, ma è una appendice vintage…

Che rapporto deve avere con i teatranti?

Tutti quelli che volete, ma nessuno di tipo professionale. Se fai il giornalista non fai l’ufficio stampa o altro. Gli artisti possono essere anche cari amici ma questo non deve mai entrare nel tuo lavoro. Non perché tu devi sentirti libero di criticarlo (dicevo su che questo lavoro non serve semplicemente a dare giudizi di valore) ma perché non devi perdere la lucidità nel raccontare a chi ne sa poco o nulla di cosa stai parlando. Altrimenti salti troppi passaggi e finisci col diventare autoreferenziale.

Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?
Assumersi la responsabilità con i propri lettori e col proprio editore di insistere e puntare su alcuni fenomeni perché ritieni, in base appunto alla competenze di cui sopra, che quei fenomeni siano validi e che meritino spazio e visibilità. Andare a raccontare un’artista che è già apprezzato e conosciuto è facile (e lì infatti è molto meglio lavorare sulle forme, sul come raccontarlo), scoprire cose nuove e potenzialmente interessanti è più difficile.

La figura di un critico militante alla Quadri oggi è possibile? ha senso parlarne?

Per me decisamente no. Gli eroi non hanno eredi e il “quadrismo” ha fatto più danni della peste bubbonica. Il suo era un metodo che oggi potremmo definire storytelling che però corre sempre il rischio di essere troppo autoreferenziale e partigiano. Il che può andare anche bene se c’è un pubblico disposto a seguirti, ma se poi diventa un monopolio intellettuale allora…

Vhe prospettive future ha la critica teatrale?

Non saprei proprio. Io credo che il teatro abbia grandi prospettive. E lo dico nonostante i tagli e la crisi devastante che c’è in questo settore. Il mio è un giudizio storico, trovo infatti che oggi il teatro abbia più senso di ieri. Viviamo gran parte delle nostre vite immersi in uno schermo e se è vero che negli ultimi vent’anni il teatro è stato espulso dalle possibilità in cui un utente poteva investire il proprio tempo libero ora, secondo me, questo paradigma si sta ribaltando. Certo dobbiamo renderci conto che l’offerta è ancora molto al di sotto della domanda potenziale, ma tantissime nuove realtà si stanno muovendo in questo senso. Il teatro, in fondo, è come il web: partecipativo. Bisogna puntare sui format, su teatri nuovi, più ampi della classica sala all’italiana, su storie nuove… così, sono certo, da qua a dieci anni ci sarà una grande rinascita.

Come si finanzia oggi la critica?
Mostrando agli editori (in senso lato) e/o a teatri privati e festival che si può parlare di teatro in modo nuovo.

L’associazione nazionale dei critici? che ruolo ha?

Per me nessuno, non sono iscritto e francamente credo non abbia alcun ruolo. È una piccola corporazione come ce ne sono mille in Italia in ogni ambito. Con la differenza, come tutto ciò che riguarda questo mondo, che è anche un po’ povera e raffazzonata rispetto ad altre corporazioni.

(dicembre 2016)




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