Il teatro italiano tra import ed export
L'incontro organizzato da Ateatro del 1 aprile 2017 "L’apertura Internazionale del teatro italiano. Situazione e Prospettive" presso Zona K, Milano
Martedì 6 giugno 2017, dalle 10.00 alle 18.00, presso il Foyer del Teatro Valle a Roma, si terrà il primo appuntamento pubblico del progetto di fattibilità “Desk per l’internazionalizzazione dello spettacolo dal vivo” realizzato da C.Re.S.Co. con il sostegno di Fondazione Cariplo e in collaborazione con SmartIT, Marche Teatro e Zo Culture.
Lo studio analizza e sperimenta le necessità di accompagnamento dello spettacolo dal vivo verso l’attività internazionale: obiettivo finale è la realizzazione di una rete di desk a base Regionale che supporti le organizzazioni in modalità “learning by doing”, connetta l’Italia e il sistema estero, stimoli un’adeguata politica culturale delle istituzioni locali e nazionali.
L’incontro del 6 giugno aprirà un ciclo di appuntamenti pubblici organizzati da Cristina Carlini, Cristina Cazzola, Giuliana Ciancio e Carlotta Garlanda per il tavolo internazionale di C.Re.S.Co. e che coinvolgeranno quattro regioni (Lombardia, Marche, Lazio e Sicilia) nell’arco di tutto il 2017: una riflessione guidata con istituzioni, artisti e operatori per far emergere le necessità chiave dei territori, il punto di vista delle istituzioni, gli scenari possibili.
Il programma della giornata del 6 giugno 2017: [pdf-embedder url=”https://www.ateatro.it/webzine/wp-content/uploads/2017/06/programma_6_giugno.pdf”].
Fra i temi che Ateatro approfondisce con incontri, gruppi di lavoro, corsi, riveste un rilievo particolare il processo di internazionalizzazione del teatro italiano, necessario e sicuramente in atto, ma non lineare e non privo di ostacoli. A conclusione del corso “All The World’s a Stage!” a cura di Alessandra Vinanti (un contributo di formazione per qualificare l’uso internazionale dell’inglese, che verrà riproposto in autunno con moduli brevi specialistici), il 1° aprile si è tenuto a Milano presso Zona K un (primo) incontro dal titolo “L’apertura Internazionale del teatro italiano”. Ai numerosi operatori intervenuti, impegnati in ambiti diversi, si è chiesto un ragionamento a ruota libera, a partire da alcune domande concrete:
# Come si è sviluppato e a che punto è il processo di internazionalizzazione del teatro italiano, tanto a livello di “import” (anche con particolare riferimento alla situazione milanese) che di “export”? Che settori riguarda? Quali sono gli obiettivi e i risultati?
# Quale è il bilancio – quantitativo e qualitativo – della presenza italiana nei programmi di intervento europei? E quali sono i limiti? E nelle reti internazionali?
# La mobilità internazionale dei giovani operatori, artisti, tecnici, organizzatori (che nel teatro danza e nel nuovo circo è quasi una regola), rafforza le collaborazioni internazionali o è per certi versi una fuga?
# Quali sono gli ostacoli tecnici, organizzativi, economici?
# Come potrebbe migliorare il sostegno statale alle tournée all’estero?
Valentina Kastlunger di Zona K (che ospitava l’incontro) ha raccontato come la scelta di orientare la programmazione in senso internazionale sia stata inizialmente rafforzata da un colpo di fortuna, la vittoria di un bando regionale dedicato all’internazionalizzazione, e l’anno successivo rafforzata dall’incontro con i Rimini Protokoll, che ha consentito un salto alla struttura. Zona K è riuscita a coprire una nicchia scoperta di pubblico milanese, assecondando gli orientamenti di un gruppo promotore che, anche per motivi personali, guarda molto all’Europa. Dedicarsi al contemporaneo significa necessariamente guardare alla dimensione internazionale: Zona K intende essere un luogo “politico”, che sceglie un teatro performativo che guarda all’Europa e all’Italia, se fosse rimasto un piccolo teatro off che sostiene i gruppi in ascesa non sarebbe cresciuto. Inoltre, uno spettacolo internazionale non è necessariamente più costoso di uno italiano, anche grazie al sostegno degli istituti di cultura. Il panorama milanese sta cambiando adesso grazie alla nuova programmazione della Triennale-Teatro dell’Arte, con cui Zona K ha iniziato a collaborare. Restano aperte molte domande: come continuare questa mission? Come dare spazio a questi gruppi? Come fare in modo che il pubblico che viene a vedere uno spettacolo come quello dei Rimini Protokoll non si perda? Quanto numeroso, e quale è il pubblico internazionale di Milano? Un tempo Milano era molto più internazionale: come “aggiornare” il pubblico?
Angelo Curti è responsabile di Teatri Uniti, una delle compagnie teatrali italiane storicamente più apprezzate all’estero. Esisteva ed esiste un tipo di teatro che punta su aspetti visivi più che sulla comunicazione verbale, ed è forse più adatto alla circolazione internazionale. Ma esiste anche una drammaturgia verbale in grado di superare le frontiere: Festival e teatri, nel quadro delle loro programmazioni, ospitano spettacoli stranieri grazie anche all’uso dei soprattitoli. Porsi obiettivi internazionali e organizzare una tournée all’estero richiede costruire relazioni e cogliere occasioni. I festival oggi non sono il riferimento esclusivo per l’attività internazionale e risultano sempre più interessanti le stagioni che mescolano attività nazionale e internazionale. E naturalmente è necessario avere i soprattitoli. C’è interesse per gli spettacoli italiani all’estero? Non per tutto, naturalmente. Bisogna saper valutare “cosa” si intende vendere, si può alimentare l’interesse per le specificità di un territorio o di una drammaturgia (si pensi alla tradizione napoletana, alla commedia dell’arte, a Pirandello). Nell’ultimo decennio Teatri Uniti ha lavorato alla traduzione in napoletano della drammaturgia catalana: in questo modo lo stesso pubblico catalano ha riscoperto la propria tradizione. Ma ci sono altre dimensioni da non sottovalutare: le relazioni con Asia e Cina in particolere, per esempio, sono un’importante occasione di scambio culturale, più che teatrale. E l’Opera resta la forma grazie a cui l’Italia è conosciuta in tutto il mondo.
Se Angelo Curti ha ricordato che anche spettacoli con una rilevante componente verbale possono avere sbocchi internazionali, l’intervento di Elisa Cuttini di CLAPS sottolinea quanto ci sia da imparare, in fatto di internazionalizzazione, dal circo: è un arte che non ha barriere linguistiche e culturali. Il MiBACT con il Decreto 1° luglio 2014 ha per la prima volta riconosciuto al circo contemporaneo una linea di finanziamento. Sono molto numerosi gli artisti italiani che lavorano in compagnie straniere, in particolare nel Nord Europa. I finanziamenti hanno creato aspettative e stimolato qualche rientro: oggi anche le compagnie italiane nella loro composizione interna sono internazionali. Cuttini si sofferma su un progetto emblematico: lo scambio, attivo dal 2015, con una “feria”, un Festival in Catalogna, nato da una festa religiosa e che oggi è uno dei più grandi Festival Internazionali di “teatro urbano”. Lo scambio ha permesso di ospitare due compagnie italiane alla fiera, di ospitare in Italia due compagnie catalane ogni anno, ed è previsto un “focus Italia” nel 2018. Le creazioni catalane all’interno della fiera sono particolarmente promosse e sono favoriti gli incontri con gli operatori internazionali che fra l’altro hanno il viaggio e l’alloggio pagato.
Annamaria Onetti, di ArtedanzaE20, ricorda che la danza è settore internazionale per eccellenza, i danzatori e coreografi italiani si sono spesso specializzati e operano professionalmente in una dimensione internazionale. Ma, nonostante alcune utili iniziative istituzionali, come NID Platform, la dimensione e le prospettive internazionali per le creazioni e i gruppi italiani sono estremamente limitate e non sono adeguatamente incentivate, tanto a livello di co-produzioni che di diffusione. Le cause sono riconducibili alla dimensione ristretta del mercato nazionale (la limitatezza del pubblico in concorrenza con iniziative di ogni ordine – dal calcio al concerto), ai freni normativi e ai finanziamenti limitati. La riduzione costante dei contributi si scontra con la richiesta di essere competitivi sull’audience development, una contraddizione che implode davanti alle esigenze della ricerca artistica. Le richieste che oggi vengono fatte agli operatori sono: più competitività, più pubblico con minori risorse, un mix fatale alla cultura, al sostegno dei giovani e alla ricerca in genere.
Silvio Oggioni del Teatro del Buratto ricorda come il Teatro Verdi abbia scelto fra grandi difficoltà – unica organizzazione a Milano – di porsi come punto di riferimento per il teatro di figura internazionale, nelle sue diverse espressioni e rivolto a tutto il pubblico (non solo ai ragazzi). È stata una lotta quotidiana, che ha avuto poco spazio nei media, un pubblico reticente e problemi economici: non è né semplice né economico ospitare una compagnia straniera del teatro di figura. Il IF Festival ha affiancato alla rassegna momenti di formazione (le scuole di teatro non considerano il settore). C’è la volontà di continuare, ma è necessario il sostegno da parte del pubblico, dei critici, degli operatori.
Cristina Cazzola, di Segni d’Infanzia (Mantova) racconta della sua esperienza in ambito internazionale. È il modo diverso di operare che la spinge a lavorare all’estero, inizialmente nella distribuzione. Quando a Mantova si creano le condizioni per far nascere un festival (che nasce 12 anni fa, quasi casualmente, da un’esperienza di gemellaggio) si tratta di un festival internazionale nel senso che ospita solo teatri stranieri. Gli istituti di cultura concedono fondi e il teatro ragazzi ha un pubblico, non solo scolastico e distribuito su diverse fasce di età, e permette di abbattere le barriere di generi. La distribuzione nel teatro ragazzi oggi all’estero è diventata più difficile perché si basa molto sullo scambio e la cooperazione. Cazzola riferisce anche del Progetto di CReSCo “Desk per l’Internazionalizzazione”, di cui si occupa con altre colleghe, e che prevede uno studio di fattibilità per capire come in diverse aree regionali italiane possa essere possibile strutturare finanziamenti rivolti all’internazionalizzazione (lo studio di fattibilità riguarda Lombardia, Lazio, Marche e Sicilia). La consapevolezza del bisogno di internazionalizzazione è cresciuta negli ultimi anni.
Alessandra Vinanti si chiede quali siano gli strumenti operativi necessari per lavorare in una dimensione internazionale. Fondamentali sono le relazioni tra persone! Internazionale vuol dire mettersi in discussione e “aprire la testa”, offre una grande opportunità per migliorarsi professionalmente. Ogni paese ha una propria tradizione e modi diversi: è importante “rubare” le modalità di lavoro migliori: nell’accoglienza, per esempio Sottolinea il ruolo dei “dopo Festival” per stabilire relazioni, e il fattore tempo, la pazienza: il primo anno si stabiliscono le relazioni, il secondo si consolidano… Sottolinea anche come sarebbero da rivedere tempi e modi dei finanziamenti italiani per l’attività all’estero.
Per Ira Rubini di Radio Popolare, la presenza italiana nei Festival Internazionali è scarsa. A Edimburgo per esempio, anche se è migliorata in qualità, non è aumentata in quantità e in capacità attrattiva per il mercato anglofono. In questo senso il successo dello spettacolo La merda di Cristian Ceresoli è significativo per l’attenzione a obiettivi di mercato – tanto a livello scenico che di comunicazione – e per i risultati al ritorno in Italia dopo il successo all’estero. Le novità italiane fanno molta fatica a imporsi in un Festival come il Fringe. Bisogna realizzare spettacoli italiani che parlino a un pubblico internazionale, che si rivolgano a un pubblico eterogeneo, che non “sopravvivano” aspettando che il pubblico si accorga di loro. Suggerisce di realizzare spettacoli in edizioni diverse, in lingue diverse (in italiano e in inglese per esempio, o utilizzando più lingue).
Alessandra Valerio di Fondazione Cariplo ricorda le forme attraverso cui la Fondazione si occupa di internazionalizzazione. La prima fu il sostegno nel 2008 per la trasferta a Edimburgo del progetto ETRE: oggi esiste una linea di finanziamento dedicata per sostenere le realtà che partecipano a bandi europei, che facilita la creazioni di partenariati. FC inoltre cerca di fare network e di confrontarsi con altre realtà europee, cofinanzia fra l’altro un progetto olandese finalizzato proprio alla costruzione di queste relazioni.
Michele Losi di Scarlattine Teatro sottolinea i pregi e i limiti dei progetti europei. Sono fondamentali i contatti, la volontà delle compagnie di lavorare a livello internazionale e di costruire in maniera quasi scientifica una rete, ma è fondamentale anche l’agilità (molti degli spettacoli che girano all’estero sono spettacoli “da bagaglio Ryanair”). Fare parte di un progetto europeo è stimolante, ma è difficile per una compagnia piccola, senza una struttura forte alla base. Elenca alcuni dei problemi principali (soprattutto a partire dall’esperienza del progetto Meeting the Odyssey): la realtà europea oggi (il partenariato con la Grecia, per esempio, ha richiesto aggiornamenti in corsa), il problema del tempo (durata e tempi di programmazione in relazione alla scala del progetto), la scelta delle partnership (in che misura è necessaria una conoscenza reale dei partner?). Fare un progetto europeo è ancora più impegnativo per le piccole realtà (vanno valutati lavoro, risorse, competenze reali). Infine pesa la dimensione burocratica dei progetti europei: il livello di burocratizzazione può anche inficiare il processo artistico. Lo scopo del Desk per l’internazionalizzazione (di cui ha parlato Cristina Cazzola) è “accompagnare” le compagnie in questi percorsi complessi.
Mimma Gallina, sempre sul tema dei progetti europei e delle reti ricorda come recentemente siano pochi i progetti italiani ammessi come capofila e come ci sia forse un rischio di banalizzazione dei progetti stessi (progetti “cloni” di altri progetti vincitori).
Davide D’Antonio di ETRE ricorda che 10 anni fa i network riconosciuti dalla Comunità europea erano 22, oggi sono 27, ma si assomigliano un po’ tutti. Bisogna distinguere i network dalle piattaforme, che sono aree in cui agiscono direttamente le compagnie o le organizzazioni. Invece i network sono aree “politiche”, in cui ci si confronta e si cercano linee comuni (IETM, per le funzioni che persegue, è un po’ una via di mezzo). A livello europeo l’Italia è in realtà molto presente, attiva nelle piattaforme, e se i progetti italiani che vincono come capofila sono meno di una volta, sono però numerosi i progetti prestigiosi (rispetto agli altri paesi) e molto numerose le presenze come partner. Non bisogna dimenticare la selezione fortissima e il peso delle risorse che ciascun paese versa alla comunità europea (le assegnazioni non dovrebbero essere in proporzione, ma nella realtà lo sono). I network molto complessi ci vedono meno presenti: forse noi sottovalutiamo l’importanza di partecipare alle reti culturali, soprattutto per le grandi compagnie che invece tendono a sottovalutare la dimensione internazionale, considerandola una semplice linea di finanziamento. Bisogna puntare sulle coproduzioni che si basano sulla costruzione di rapporti personali e che si costruiscono negli anni (ricerche ci dicono che la media è circa 5 anni, e in Italia non abbiamo sostegni adeguati per pensare con questi orizzonti temporali). L’attività dei network consente di costruisce fiducia “politica”, di far conoscere il tuo lavoro, di immetterlo pian piano nel mercato estero. Etre è un network che frequenta altri network, ma sarebbe utile che le reti – soprattutto quelle tematiche – fossero frequentate anche dalle compagnie singolarmente. Queste tendenze fanno si che gli altri Paesi abbiano un’immagine sfasata dell’Italia.
Oliviero Ponte di Pino per Ateatro conclude l’incontro con alcune riflessioni. Punto primo: la forma tradizionale di scambio, la tournée internazionale, è in netto declino, ma gli (scarsi) finanziamenti tendono ancora ad andare in questa direzione. Forme più efficaci e frequenti sono le coproduzioni, le collaborazioni nell’ambito di progetti europei, le reti, le piattaforme, gli sportelli. A metà strada ci sono i festival, che mantengono una funzione fondamentale per la conoscenza internazionale (anche in assenza di strumenti informativi a livello di sistema, che per esempio nel mercato dei libri esiste). L’ ”import” ha grandi problemi a livello di informazione, come si rileva anche dal ritardo culturale del teatro milanese e in generale italiano. Lo stesso vale per l’export. Un altro elemento sul quale siamo in ritardo è la formazione degli operatori, degli artisti, del pubblico. Non c’è una formula giusta per circuitare all’estero, ma il teatro italiano sconta di una sorta di atrofia: andare al Fringe di Edimburgo si rivela fondamentale perché ti mette a confronto con un mercato concorrenziale e ti aiuta a capire come funziona la comunicazione.
Cosa possiamo fare? Dare maggiore visibilità e chiarezza agli strumenti che già ci sono, stimolare politiche a livello nazionale diverse, trovare degli strumenti di informazione, comunicazione e formazione adeguati per far capire agli operatori italiani come ci si comporta nel mondo e dare strumenti adeguati anche agli operatori stranieri per conoscere il teatro italiano.
Tag: internazionale (16), ZonaK (7)
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