#DossierDistribuzione | Il ruolo dei Circuiti Regionali nel nuovo Codice dello Spettacolo dal Vivo
Il documento e i dati diffusi da A.R.T.I. (Associazione delle Reti teatrali italiane. I Circuiti)
Ruolo dei Circuiti Regionali nel nuovo Codice dello Spettacolo dal vivo
I Circuiti associati in ARTI-Associazione Reti Teatrali Italiane, condividono pienamente le proposte presentate dal documento della Federazione dello Spettacolo dal Vivo alla VII Commissione del Senato nel corso dell’audizione del 22 novembre 2016, ma sentono l’esigenza di sottolinearne alcuni aspetti che li riguardano direttamente, per offrire al legislatore il punto di vista degli operatori impegnati nella distribuzione.
Del resto, la parola “spettacolo” (dal latino spectare) esprime già nell’etimo la specificità dell’opera teatrale rispetto ad altri prodotti dell’ingegno: non è compiuta senza che il pubblico vi partecipi.
Il pubblico è un co-protagonista, parte del processo creativo, perché contribuisce a rendere unico ogni spettacolo, diverso ad ogni recita. E’ un’esperienza che non ha solo un valore culturale, ma anche civile e sociale: per questo deve essere accessibile a tutti, con facilità, a prezzi sostenibili e non solo nei grandi centri urbani. Un teatro con le luci accese che propone contenuti di qualità rappresenta un presidio insostituibile per moltissime comunità periferiche e centri minori.
Da queste semplici considerazioni emerge l’importanza dei Circuiti, o Reti Teatrali regionali, le strutture di interesse pubblico che garantiscono la diffusione degli spettacoli in grandissima parte del territorio italiano e investono con continuità sulla promozione della cultura teatrale e sulla formazione degli spettatori.
Chi siamo
I Circuiti di interesse pubblico finora riconosciuti dal MIBACT sono 18 e, pur con differenti fisionomie statutarie, operano in piena sintonia con gli indirizzi culturali delle Regioni, che spesso ne sono i soci fondatori, li sostengono e li controllano con appositi strumenti legislativi.
La programmazione avviene in collaborazione con le Amministrazioni Comunali che in molti casi sono socie dei Circuiti, e/o con i soggetti da esse delegati alla gestione dei teatri (Fondazioni, Associazioni, Residenze). L’enorme patrimonio storico e architettonico di teatri disseminato in Italia viene in gran parte mantenuto vivo grazie all’attività dei Circuiti.
Per offrire al legislatore una visione chiara della portata, culturale ed economica, del settore, sono stati raccolti e analizzati, in maniera omogenea, i dati più significativi relativi ai maggiori 12 Circuiti riconosciuti dal MIBACT; gli organismi considerati coprono i seguenti territori regionali: Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Puglia, Sardegna.
La funzione distributiva è quella prevalente e si svolge in maniera professionale, capillare e diversificata (prosa, danza, musica, circo contemporaneo) in 730 teatri e spazi attrezzati, esterni o interni, che ospitano attività di spettacolo.
La distribuzione non è mai scissa da una continua attività di promozione e formazione del pubblico, che ha garantito la tenuta del sistema e addirittura un incremento degli spettatori nei territori presidiati dai Circuiti anche in una fase di generale flessione dei consumi culturali.
Nell’anno 2015 i Circuiti considerati hanno realizzato complessivamente 6.330 recite, investendo € 25.876.824 nei compensi alle compagnie teatrali, della danza e della musica, senza considerare i costi dei servizi, con un’erogazione media a cachet di € 4.087.
Nello stesso anno, i medesimi Circuiti hanno ricevuto complessivamente dal FUS € 5.864.200, ovvero circa 1/5 di quanto essi hanno erogato alle compagnie. In altre parole, l’attività distributiva delle Reti regionali riversa sulla produzione teatrale italiana 5 volte ciò che riceve dallo Stato.
Questo risultato si deve non solo ai contributi delle 12 Regioni considerate e delle centinaia di Amministrazioni Comunali (per la precisione, 429 Comuni) coinvolte nei progetti culturali, ma anche alla gestione virtuosa e all’efficienza organizzativa, che garantisce ai Circuiti una notevole capacità di autofinanziamento, con percentuali decisamente insolite negli enti culturali. Si tratta di strutture snelle, dove le spese medie di gestione non superano il 20% del bilancio e il numero medio di addetti è di 13 unità.
La tendenza alla riduzione dei contributi e all’aumento della burocrazia, purtroppo in atto da troppi anni, ove confermata, non troverebbe molti margini di ulteriore razionalizzazione delle risorse, ma costringerebbe i Circuiti a ridurre in maniera esponenziale le attività.
La maggiore voce di entrata è rappresentata quasi ovunque dagli spettatori, che nel 2015 hanno garantito complessivamente 1.477.762 presenze a teatro, un risultato tanto più sorprendente se si considera che l’operatività avviene in teatri di medie dimensioni. Gli spettatori hanno sostenuto un costo medio di € 11,19 a biglietto, una media comprensiva di grandi spettacoli, che avrebbero un prezzo di accesso molto più elevato se non fossimo in presenza di organismi che perseguono unicamente l’interesse pubblico. La partecipazione degli spettatori ha generato incassi complessivi pari a € 16.549.714, che generano circa € 1.650.000 in diritti agli autori.
Per comprendere la dimensione economica complessiva del settore, si consideri infine che, solo sommando i bilanci degli organismi considerati, senza calcolare l’indotto dei consumi sul territorio, si arriva a un volume di risorse totale per l’anno 2015 di € 49.193.184, che dimostra la capacità dei Circuiti di moltiplicare quasi 10 volte il contributo dello Stato.
Le proposte
I risultati appena enunciati dimostrano che le proposte che seguono non sono l’appello di un settore in crisi, che invochi un sostegno dallo Stato per far fronte ad emergenze negative. Sono invece il contributo, in aggiunta all’ottimo documento di Federvivo già agli atti della Commissione VII del Senato, di un settore rimasto in ombra -forse troppo-, che funziona come potente moltiplicatore di opportunità economiche e culturali e come modello di lavoro territoriale in rete, cooperativo e non competitivo. Un settore che, se valorizzato superando alcune criticità, si potrebbe espandere con effetti molto virtuosi a vantaggio dell’intero sistema e soprattutto dei cittadini.
A questo fine, si ritiene che la funzione della Rete teatrale regionale debba essere valorizzata a partire dalle Definizioni della legge stessa, in maniera analoga con quanto approvato per la Film Commission nella nuova Disciplina del cinema e dell’audiovisivo. Si tratta di riconoscere l’identità delle Reti come “le istituzioni, riconosciute dalle Regioni o Province autonome, che perseguono finalità di pubblico interesse nella distribuzione e nella promozione dello spettacolo dal vivo, favoriscono la formazione del pubblico e il sostegno alla creatività dei giovani artisti nei territori di riferimento, in collaborazione con gli Enti Locali”. Sarebbe utile prevedere, come è nella attuale normativa, che i Circuiti possano operare, in aggiunta, anche nelle Regioni limitrofe, qualora esse lo richiedano essendo sprovviste di un organismo ad hoc.
Inoltre, pur sapendo che la normativa di dettaglio sarà affidata ai decreti attuativi del Codice, si ritiene che nel testo non possano mancare, espressi con la necessaria chiarezza, alcuni principi indispensabili per la tenuta dell’intero settore.
In primo luogo, il principio dell’equilibrio, a cui non si può derogare senza produrre ingiuste distorsioni che, qualora si protraggano, possono compromettere gravemente tutta la filiera.
L’equilibrio, o meglio il riequilibrio, è necessario fra il settore della produzione e quello della distribuzione, che sono strettamente interdipendenti, pur in una rigorosa reciproca autonomia. E’ di vitale importanza anche per gli operatori della produzione poter contare su una solida infrastruttura di Reti pubbliche regionali, che agiscano per garantire in ogni area del paese l’incontro fra l’iniziativa dei produttori, la creatività degli artisti e le più vaste fasce di pubblico.
A tal fine, si dovranno affermare la trasparenza e la leggibilità non solo, come è ovvio, dei criteri di assegnazione delle risorse ai vari soggetti sostenuti dal FUS, ma anche dei criteri del cosiddetto “spacchettamento” fra le categorie finanziate, in particolare fra la distribuzione e la produzione, che finora sono apparsi poco comprensibili e, per così dire, aprioristici rispetto al numero dei soggetti idonei in ogni categoria.
A tale equilibrio si dovranno ispirare gli organismi di rappresentanza: in particolare, ove il nuovo Codice, in analogia con quanto approvato per il Cinema, prescriva una sede nazionale per analisi dei dati, consulenza, predisposizione di indirizzi e criteri di assegnazione delle risorse (Consiglio superiore dello spettacolo dal vivo), non potrà mancare un’adeguata rappresentanza delle Reti pubbliche regionali per formulare proposte e pareri inerenti alla distribuzione e peculiari ad essa.
Occorre anche ribadire nel Codice il principio dell’equilibrio territoriale.
Il decentramento culturale è inscritto nella storia e nella geografia del Paese e la circolazione delle opere teatrali ne è un corollario. Purtroppo la distribuzione è stata oggettivamente depauperata dal decreto ministeriale del luglio 2014 applicato per il triennio 15/17, non solo dal punto di vista economico per la sostanziale riduzione del contributo statale, ma anche per effetto della regolamentazione della produzione, che incentiva la stanzialità degli spettacoli riducendone fortemente la diffusione.
Osservando da vicino i risultati delle attuali regole di erogazione del FUS, risulta evidente che il Codice dovrà ribadire il principio dell’equilibrio fra i criteri qualitativi e quelli quantitativi, con particolare riguardo al rinnovamento della scena e ai giovani artisti. E’ giusto premiare i risultati relativi al pubblico e al suo incremento, finalmente abbandonando la prassi della spesa per consuetudine anziché per meriti verificabili; tuttavia tale indicatore non può disincentivare il sostegno alle giovani compagnie e l’apertura alle esperienze meno consolidate, che spesso trovano nei Circuiti l’unico canale per la sperimentazione, la crescita e il riconoscimento economico del lavoro. Inoltre, il criterio dell’incremento delle percentuali di occupazione dei teatri e del numero di presenze, se prorogato, rischia di risultare antimeritocratico perché penalizza gli operatori che hanno avuto percentuali di partenza più alte. Per una maggiore equità, sarebbe necessario almeno calcolare il potenziale di espansione in base alla cittadinanza che costituisce il bacino dei teatri stessi; si possono trovare teatri con diverse centinaia di posti anche in centri che hanno avuto una parabola demografica discendente, ma non per questo devono vedersi negare l’offerta di spettacoli di qualità.
Se davvero si vuole incrementare la fruizione, occorre maggiore riconoscimento per l’attività di promozione e formazione del pubblico, un ambito in cui gli indicatori sono largamente sottostimati o mancano del tutto.
Le oltre 6.000 aperture di sipario nel corso della stagione sono solo un aspetto del ruolo dei Circuiti, che profondono un impegno generoso nel dialogo permanente fra teatro e pubblico, attraverso approfondimenti, laboratori, attività estive, letture teatrali nelle biblioteche e negli spazi di aggregazione sociale, iniziative per i bambini e le famiglie.
Insostituibile è l’attività con le scuole e le Università, un campo in cui si realizzano molti progetti con risorse troppo limitate. Nella recente riforma scolastica, per la prima volta il teatro trova spazio tra le discipline formative, un’innovazione che non può rimanere solo un enunciato. Perché si concretizzi il binomio scuola-teatro, occorre fare un deciso passo avanti, istituendo un apposito Fondo, anche con il coinvolgimento del MIUR e individuando nelle Reti regionali il soggetto attuativo più idoneo per coinvolgere le scuole in ogni area del Paese, in collaborazione con gli Enti locali, e per contribuire alla formazione degli insegnanti.
Infine, la multidisciplinarietà è stata una conquista molto attesa dai Circuiti. Non solo perché possono arricchire la loro offerta culturale con altre discipline, ma perché il linguaggio espressivo del teatro contemporaneo è sempre più caratterizzato da una forte contaminazione fra i generi.
E’ tuttavia mancata finora la coerenza necessaria. Fra gli 11 Circuiti che hanno scelto di aprirsi alla multidisciplinarietà, nel 2015 molti non hanno ottenuto alcun incremento del contributo FUS. La conseguenza, dato l’obbligo di realizzare un numero minimo di spettacoli in ogni disciplina, è che si sta producendo una riduzione di offerta per le discipline già in essere, in particolare per la danza, che incontra maggiori difficoltà nella programmazione, pur essendo un’eccellenza italiana.
Occorre favorire, attraverso i principi del Codice, il superamento delle attuali gabbie disciplinari, le rigide suddivisioni burocratiche fra i generi e i minimi numerici prefissati: altrimenti ci saranno tanti cartelloni che giustappongono spettacoli di prosa, musica e danza, ma non si avranno opere originali, pensate per essere multidisciplinari, con un’espansione progettuale e creativa che interpreti meglio la realtà del nostro tempo “meticcio” e contribuisca davvero al rinnovamento della scena teatrale italiana.
Roma, 25 gennaio 2017
Tag: circuiti (19), distribuzione (19), il rapporto Stato-Regioni (36), Residenze (34)
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