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L'intervento alle #BP2017 Nuovi spazi, nuove creatività, nuove professioni, nuove creatività, Milano, 4 marzo 2017
Il movimento cui assistiamo in Italia e che abbiamo in particolare mappato lo scorso anno su Milano si rispecchia in esperienze simili che stanno caratterizzando gli altri Paesi europei (e non solo).
In generale, possiamo ricondurre questa riflessione ad una più ampia, quella sui business model delle imprese creative: una discussione che si trova al centro di vari progetti europei e percorsi di analisi portati avanti da network quali Trans Europe Halles e IETM e di cui comincia ad esserci anche una letteratura specifica (trovate alcuni link in calce).
La domanda che ci si sta ponendo è la seguente: come far evolvere lo spettacolo dal vivo e la sua produzione verso modelli più sostenibili (e forzatamente più marketing oriented) senza che vengano meno identità artistiche, valori intrinsechi e qualità della produzione?
Questi primi studi sottolineano l’assenza di un business model codificato o trasferibile da un altro settore alle imprese creative, ma ciò non significa che queste ultime non ne abbiano nessuno: sono state anzi molto abili nell’adattarsi ai cambiamenti della società e dei sistemi, forzatamente ripensando se stesse e le loro funzioni.
La trasformazione degli spazi segue esattamente questo tipo di linea.
Nell’analizzare l’evoluzione dei luoghi culturali a livello internazionale, all’interno dei singoli contesti possiamo notare dei caratteri ricorrenti:
⁃ la CRISI ECONOMICA è l’elemento di cortocircuito che ha generato i maggiori cambiamenti sia a livello pratico (tagli dei fondi) sia a livello ideale (ruolo dell’artista, rapporto con la comunità);
⁃ la SOSTENIBILITA’ è l’obiettivo dichiarato (ma non sempre raggiunto o raggiungibile) delle nuove strutture. La diminuzione o l’azzeramento dei fondi al settore indipendente ha rimesso in discussione se e quanto lo Stato potesse investire in cultura, spingendo forzatamente le organizzazioni culturali verso forme di finanziamento private, sponsor e entrate commerciali;
⁃ il RUOLO DELL’ARTISTA all’interno della società è continuamente rimodulato. In un contesto che sta vivendo cambiamenti molto forti (globalizzazione, nuovi media e tecnologie, diverso approccio alla cultura), l’artista è costretto a ripensare e ripensarSI nel nuovo contesto. L’uscita dai luoghi deputati o la creazione di nuovi luoghi più “vicini” allo spettatore è uno dei primi risultati;
⁃ il DIVERSO ATTEGGIAMENTO DELLO SPETTATORE che si muove in un contesto più ampio: le offerte di divertimento e cultura cominciano a sovrapporsi; la gentrificazione gioca un ruolo forte nel determinare ciò che è di “tendenza”; la minore capacità economica dei singoli li costringe a scegliere fra più attività sacrificandone alcune (fra cui la cultura) in vantaggio di altre (comunemente quelle che prevedono socialità);
⁃ la riflessione sui BUSINESS MODEL suggerisce che la soluzione ai problemi sia la commistione di linguaggi, la proposta di attività anche molto differenti fra loro, il mescolamento di “sacro e profano” pur di rendere sostenibile l’attività e apparire solidi nei confronti dei potenziali finanziatori.
A una prima occhiata potremmo concludere che l’Italia stia arrivando in ritardo a questo moto di cambiamento, ma non è proprio così: se l’evoluzione di questo processo nel nostro Paese segue sicuramente tempi propri, è vero che questi tempi corrispondono ad un’evoluzione dello spettatore e della fruizione culturale che non sono per forza simbolo di “arretratezza”. Inoltre, vedremo come alcune delle “reazioni” a questo fenomeno negli altri sistemi nazionali siano in realtà fenomeni che per l’Italia risultano al contrario piuttosto datati e già consolidati.
Ci interessa qui riportare alcuni casi che ci suggeriscono differenze di approccio o nuovi temi di riflessione rispetto all’Italia.
Grecia
In Grecia l’accento si pone sull’ARTISTA e la sua capacità di dialogo con il PUBBLICO.
Gli spazi teatrali indipendenti pre crisi, in particolare nella vitalissima città di Atene, erano fortemente connotati a livello identitario: vere e proprie “case” di specifici registi, attori e drammaturghi in cui si riconoscevano chiaramente le diverse correnti artistiche e le loro evoluzioni.
Il loro pubblico era fortemente fidelizzato e questi spazi caratterizzavano anche i quartieri dove si trovavano.
L’azzeramento dei fondi dovuto alla terribile situazione che il paese ha affrontato dal 2008 in avanti, ha fatto deviare la programmazione verso eventi commerciali e commistione di attività che però poco avevano a che vedere con l’identità originaria di quei luoghi. Apparentemente, c’erano dei “nuovi spettatori” che però non si costituivano in una massa critica fidelizzata, mentre il pubblico abituale, che avrebbe potuto anche rappresentare una risorsa per il sostentamento economico vista la forte adesione alla mission degli spazi, se ne allontanava progressivamente.
Contemporaneamente, sono diventati luoghi di culto gli spazi delle grandi fondazioni, come Onassis e Stavros Niarchos, che ad una programmazione artistica di qualità affiancano eventi di “lifestyle”, dallo yoga alla cucina, dallo sport alle attività con i bambini, dalla botanica ai grandi eventi festivi. Anche in questo caso, il pienone di pubblico non corrisponde a un’adesione a linee artistiche, quanto piuttosto a una fidelizzazione al tipo di luogo in se stesso.
Il sistema greco si trova ora a dover operare una “contro tendenza” per recuperare un più reale rapporto col proprio pubblico e ripristinare i collegamenti di senso fra l’operato artistico e lo spettatore: la risposta sta al momento nella creazione di residenze in quartieri decentrati di Atene o in città più piccole, dove attori, registi e drammaturghi lavorano esclusivamente a progetti realizzati con il pubblico e le istituzioni “adottano” una compagnia con lo scopo di influenzare direttamente la realtà culturale locale. Un processo che richiama quanto già successo in Italia negli ultimi quindici anni, anche se per ragioni differenti.
Paesi Bassi
Quasi opposto il caso dei Paesi Bassi, dove il movimento degli spazi sta avendo profonde conseguenze a livello di URBANISTICA e GENTRIFICAZIONE dei quartieri periferici.
I Paesi Bassi hanno vissuto un boom della costruzione di teatri negli anni Novanta, progressivamente andati in disuso con i tagli post crisi: tutti questi spazi vengono riconvertiti per altre attività, come già successo per altro in maniera interessante con molte vecchie chiese. Il loro cambio di destinazione appare inevitabile.
I giovani artisti non si riconoscono in questi luoghi “storici” e abbastanza istituzionali: la loro volontà è quella di approcciare il pubblico da un altro punto di vista, creando un preciso vincolo fra le nuove istanze artistiche e l’uscita dai luoghi deputati per incontrare lo spettatore nella sua vita quotidiana, possibilmente in quartieri periferici o poco serviti.
Ecco che nascono quindi gli spazi culturali “pop up”, come Toon ad Amsterdam: gallerie con caffè e librerie che diventano hub multidisciplinari, in un continuo incrocio di stili e mescolanze di linguaggi e fortemente orientati alle azioni site specifc. Gli artisti cercano di costruirsi un pubblico che si muova con loro, che si identifichi nella programmazione di questi luoghi e in chi li abita.
Il sistema si rivela fluido: gli spazi pop up hanno grande successo, diventano punti di riferimento per i turisti ed i visitatori creando tendenza in questi quartieri; gli affitti salgono rapidamente, aprono attività commerciali, l’attività artistica diventa motore per un cambiamento più profondo della città; a quel punto gli artisti spesso rivolgono la loro attenzione altrove, considerando “compiuta” la missione e ricominciando il percorso in nuove location abbandonate.
Con lo stesso principio, le grandi fondazioni si occupano di ristrutturare spazi ex industriali in quartieri disagiati: è il caso della Wester Gas Fabrik, comprata per un euro dai privati e totalmente riconvertita in centro culturale in una zona poco fruita di Amsterdam e che ora sta diventando invece meta turistica.
Spagna
In Spagna già si assiste invece al superamento della prima fase di questa evoluzione per cercare formule davvero SOSTENIBILI e che rispondano alle ESIGENZE DI SPESA dello spettatore.
Il pubblico spagnolo post crisi ha una capacità di spesa drasticamente ridotta rispetto ai decenni precedenti: nel momento in cui deve scegliere come impiegare il suo tempo libero e dovendo sacrificare qualcosa, la scelta ricadrà sempre su un’attività che preveda l’incontro e la socialità, piuttosto che la cultura in se stessa.
La conseguenza sul lungo termine si delinea come un preoccupante abbassamento del livello culturale della società, che sia il sistema culturale che le istituzioni vogliono invertire.
Negli scorsi anni, soprattutto a Madrid e Valencia, vengono riconvertiti grandi spazi abbandonati, gestiti a metà fra pubblico e privato, puntando alla commistione fra la programmazione teatrale o di arte contemporanea e l’ospitalità di eventi e attività commerciali. Vengono proposti business model complessi, fortemente legati all’idea delle smart cities, ma sebbene alcuni risultati siano positivi sono emerse immediatamente le criticità relative a come sostenere sul lungo termine i costi di queste strutture in mancanza di adeguate azioni che coinvolgano il pubblico. Alcune realtà indipendenti stanno ora lavorando con queste strutture per instaurare percorsi di residenza d’artista e lavoro sulle comunità locali.
Contemporaneamente, gli artisti indipendenti si riuniscono in spazi più piccoli, spesso fondando in cooperative e riconvertendo lentamente spazi abbandonati: è il caso de La Fabbrica del Cielo di Valencia, il cui collettivo riunisce discipline diverse ma stilisticamente vicine, puntando a mescolare gli spettatori per affinità. Lo spazio è un open space, aperto a diversi tipi di eventi ma anche solo come locale serale.
Si cerca il coinvolgimento del pubblico, che assume un ruolo sempre più “attivo”: sono questi gli spazi che sembrano destinati ad accogliere le nuove istanze della creatività spagnola.
Polonia e Bulgaria
Nell’area est europea, come Polonia e Bulgaria, il senso identitario degli spazi appare ancora forte: il focus si pone sul RECUPERO DEGLI SPAZI come CASE DEGLI ARTISTI.
Sono per lo più location ex industriali, edifici pubblici abbandonati, ferrovie o centri servizi in disuso: alcuni si trovano anche in pieno centro città, ma in tutti i casi l’obiettivo è dare spazio alla creatività e creare oasi culturali per le comunità territoriali.
Il modello applicato in questi casi continua a vedere la commistione di generi, lo spazio caffè o ristorante, l’ospitalità di eventi diversi, ma appare più come un’opportunità che come una scelta di business model per la sostenibilità: queste funzioni sono ricoperte per rispondere ai bisogni del pubblico più che per una scelta commerciale tout court.
Critico appare sempre il tema della grandezza degli spazi: più sono ampi e con diverse sale, più difficile appare non solo l’elemento economico, ma proprio quello identitario,
Interessanti è l’esempio di Manufaktura a Lodz, in Polonia: una fabbrica riconvertita in centro commerciale che ospita però anche musei, gallerie e performance. Una buona gestione degli eventi, specie del settimanale vernissage d’arte contemporanea, ha fatto sì che il pubblico del centro commerciale, assolutamente non “formato”, si fidelizzasse però allo spazio e all’idea di seguire cosa vi accade.
Regno Unito
A proposito di FUNZIONI e COMUNITA’ LOCALE, particolare è l’esempio degli Idea Store nel Regno Unito. Paese che per tradizione ha un forte attaccamento all’arte e allo spettacolo dal vivo, sostenuto anche da percorsi scolastici dedicati, il Regno Unito vede ancora nei suoi teatri dei presidi culturali forti, abitati dagli spettatori locali ma anche dai turisti stranieri: sono luoghi che hanno saputo evolversi presentando attività differenti e che da sempre sono riusciti ad avere un lato commerciale coerente con la propria identità, risentendo meno dell’ “urgenza” di cambiamento qui analizzata.
Ciò non toglie che l’evoluzione della fruizione da parte dello spettatore si registri anche in questo Paese, prendendo però forme differenti: gli Idea Store, per l’appunto, sono biblioteche ad alto tasso tecnologico, con ampia possibilità di consultare documenti da casa o dall’ufficio, compresi quotidiani, librerie musicali e corsi di formazione online. Accompagnando il lettore/fruitore dal concetto tradizionale di biblioteca “cartacea” al supporto media mantengono viva la loro funzione culturale e a questa affiancano una serie di eventi che contribuiscono anche a mantenere il loro ruolo nel contesto cittadino: reading, piccole performance, incontri con autori, attività per bambini ma anche incontri su temi legali, salute, prevenzione, andando incontro alle necessità di una società multietnica e molto variegata come quella inglese.
Trans Europe Halles
Trans Europe Halles, rete europea degli spazi nati per impulso delle comunità locali, è un punto di vista privilegiato per guardare a luoghi che sono nati quasi sempre con BUSINESS MODEL MOLTO STRUTTURATI e che prevedevano sin dall’inizio una commistione fra cultura e commerciale, fra programmazione e servizi offerti al territorio, con un’apertura verso l’imprenditoria.
Il trend si ben evidenzia soprattutto per la richiesta, sempre più frequente, di unire elementi di business (come il coworking) all’attività culturale originaria: è solo una fase di passaggio o davvero fa parte dei bisogni della comunità, delineando nuove strade di attivismo ed imprenditoria?
Due esempi dal network in questo senso sono Tabacka, in Slovacchia, che ha riconvertito parte della sua struttura per ospitare un centro di imprenditoria creativa per le giovani generazioni, e l’Institut for X, ad Aarhus, nato come piattaforma per far lavorare insieme giovani designer, artisti, artigiani e creativi.
Questo tipo di spazi riescono ad essere sostenibili anche grazie ad un buon utilizzo degli strumenti di marketing e comunicazione odierni, su cui viene posta una particolare attenzione. In questo senso, appaiono come luoghi molto più strutturati sebbene nascano anche in rottura e controtendenza con le istanze locali più istituzionali.
Conclusioni
In tutti i casi brevemente analizzati, positivi o negativi che siano, emerge come al di là di grandi ambizioni di programmazione o complesse riflessioni su business model e sostenibilità, l’elemento cardine per la sopravvivenza di questi spazi siano ancora l’artista, la qualità di ciò che viene presentato, la coerenza identitaria.
Come sempre, inutile parlare di struttura se non c’è contenuto, ma questo contenuto va più che mai ripensato e rimodulato non tanto in funzione delle esigenze economiche, quanto di quelle del pubblico: solo un seria analisi del perché e per chi viene fatta una determinata attività può fare da efficace bussola per luoghi che mirano a diventare nuovi presidi culturali.
Una volta risolto il dubbio amletico, il business model sarà forse molto più facile da identificare.
Per approfondire:
Creative Business Model of TEH: http://teh.net/resource/creative-business-models-report/
Transforming abandoned space through the art: http://teh.net/resource/transforming-abandoned-spaces-arts/
Toolkit for cultural centre professionals and not only: http://teh.net/resource/toolkit-cultural-centres-professionals-not/
Creative strategies of sustainability for cultural centre: http://teh.net/resource/creative-strategies-sustainability-cultural-centres/
I am granted therefore I create: https://www.ietm.org/en/publications/i-am-granted-therefore-i-create
To sell or not to sell?: https://www.ietm.org/en/publications/to-sell-or-not-to-sell-an-introduction-to-business-models-innovation-for-arts-and
Creative Spaces http://selecta.blogs.upv.es/files/2015/05/3C4_SPACES.pdf
Tag: spazi (29)
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