#BP2017 | Modelli e sostenibilità: una tassonomia

L'intervento alle #BP2017 Nuovi spazi, nuove creatività, nuove professioni, nuove creatività, Milano, 4 marzo 2017

Pubblicato il 19/03/2017 / di / ateatro n. #BP2017 , 160 , MilanoCORTEmporanea , Passioni e saperi

Da sinistra, Fabio Pascapè, Ilaria Giuliani e Andrea Rebaglio

Mi è stato chiesto di fare una breve relazione sul tema “Modelli e sostenibilità”, provando a redigere una tassonomia degli interventi, sulla base dell’esperienza maturata di Fondazione Cariplo.
La Fondazione, attraverso l’Area Arte e Cultura, interviene oggi -direttamente o indirettamente- sugli spazi in particolare attraverso tre bandi:
il bando “Patrimonio culturale per lo sviluppo” che promuove interventi di rifunzionalizzazione di beni architettonici tutelati ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e l’avvio, all’interno di essi, di attività di natura culturale, con ruolo prioritario ma non esclusivo e servizi (per esempio legati a ricettività, accoglienza, ristorazione, artigianato, educazione, formazione, divulgazione, ecc.) anche di natura commerciale, che siano funzionali a garantire la sostenibilità dei beni;

il bando “Partecipazione culturale” che sostiene progetti volti a restituire centralità ai luoghi della cultura, lavorando sull’incremento della partecipazione culturale e, in particolare, l’ampliamento, la diversificazione e la fidelizzazione dei pubblici di riferimento;
il bando “Cultura sostenibile” che aiuta le istituzioni culturali, anche nel caso di ingresso e gestione di un nuovo spazio, raggiungere un livello accettabile di sostenibilità economico-finanziaria attraverso la buona gestione delle proprie attività, l’estensione del proprio “mercato” di riferimento, il rinnovamento della propria offerta culturale.

Vi sono poi altri strumenti erogativi, connessi a grandi interventi della Fondazione (quali ad esempio il progetto “Welfare in azione” o il nuovo programma intersettoriale “La città intorno”, sulla rigenerazione delle periferie urbane), all’interno dei quali si collocano iniziative volte a costituire o rilanciare spazi per la comunità.
E infine strumenti erogativi più generalisti, che in qualche caso impattano sugli spazi e sulla loro gestione.
Ho deciso di prendere in considerazione esempi e tipologie che hanno a che vedere con la cultura, in modo prevalente o anche semplicemente accessorio. E che si riferiscono a iniziative relativamente recenti che hanno direttamente riguardato la Fondazione o che in qualche modo sono entrate in contatto con noi.

Va innanzitutto precisato che, rispetto al tema delle prospettive di sostenibilità di nuovi spazi, limitandoci alla nostra esperienza, ci sono una serie di elementi che vanno presi in considerazione e che influiscono in modo non indifferente.
Di seguito i principali:
1) La natura del progetto (pubblico – pubblico/privato – solo privato sociale o privato)
C’è una notevole differenza, in termini di prospettive di sostenibilità, tra le iniziative che partono con una sorta di “mandato” di tipo pubblico perché si ritiene che abbiano un’utilità sociale e quelle che hanno una matrice essenzialmente privata (anche quando riconducibili al privato-sociale e in qualche modo “abilitate” dall’ente pubblico)

2) La natura della proprietà, la durata e la modalità di affidamento

Hanno naturalmente un diverso impatto sulla sostenibilità una concessione gratuita ventennale e un affidamento tramite contratto di affitto. Come ha evidentemente un impatto sensibilmente diverso una concessione ventennale rispetto ad un affidamento triennale o quinquennale (specie sul fronte dei tempi di ammortamento di eventuali investimenti).
3) Lo stato di conservazione dello spazio
Anche questo aspetto, unitamente ai precedenti, può evidentemente influire positivamente o negativamente sulla sostenibilità di un nascente spazio.
4) La presenza di vincoli, non solo di tipo architettonico
In molti casi, relativamente agli spazi concessi, sussistono vincoli dettati dalla Soprintendenza -ma non solo- che posso sensibilmente limitare il ventaglio di servizi e attività che uno spazio può offrire.
Ci sono poi naturalmente altri aspetti, non secondari, tra i quali la localizzazione dello spazio, la sua dimensione, ecc.
Questo per premettere che una ricetta assoluta non esiste e che la sostenibilità di uno spazio dipende anche –e in modo decisivo- dalla presenza (e dal dosaggio/consistenza) degli ingredienti prima citati.
Ciò nonostante mi sono avventurato nella redazione di una tassonomia, basata su casi specifici, di mia conoscenza (o perché sostenuti o perché studiati da Fondazione Cariplo) e, rispetto alla nostra esperienza, ritengo che gli spazi possano essere raggruppati in 4 categorie ideali o idealtipi, a seconda della loro natura e della prevalenza dell’attività che in essi viene svolta.

* intesa come indipendenza dalla contribuzione a fondo perduto di matrice pubblica (e/o privata filantropica).

Spazi a prevalente vocazione sociale
Per l’avvio di iniziative come queste è spesso necessario un cofinanziamento pubblico o filantropico a fondo perduto (volto magari ad agevolare l’investimento per l’adeguamento degli spazi e lo start up delle attività) e, nella maggior parte dei casi, anche un sostegno di carattere continuativo all’attività.

Luoghi della cultura
Mi riferisco a quegli spazi la cui offerta è prevalentemente culturale, sia di tipo tradizionale che innovativo.
Questo tipo di strutture beneficia solitamente (ma non sempre) di un contributo pubblico, anche attraverso forme di convenzionamento e, in genere, parlando di questi luoghi, la nostra Fondazione usa il termine “sostenibilità” facendo riferimento al perseguimento di livelli più elevati di autonomia economico-finanziaria (e quindi, in prospettiva, una minore dipendenza dal pubblico e dal privato filantropico), attraverso l’introduzione di servizi, la differenziazione dell’offerta e, indubbiamente, il lavoro per un allargamento del pubblico.
Per non parlare sempre di teatro o spettacolo dal vivo, gli esempi che si possono citare su questo fronte, per rimanere su progetti recenti e che hanno beneficiato di un nostro sostegno, sono senza dubbio il MuBa (Museo dei bambini, alla Rotonda della Besana) e il Laboratorio Formentini per l’editoria (in Brera). Il primo nato più per impulso pubblico (una forte regia del Comune di Milano), il secondo per iniziativa del “privato-sociale” ma in entrambi i casi frutto di un accordo pubblico/privato.

Community hub a vocazione sociale
Mi riferisco a spazi, che nascono generalmente dal connubio pubblico/privato, in cui la cultura ha una funzione prevalentemente legata a obiettivi di coesione sociale e di rigenerazione urbana.
I community hub sono spazi ibridi che nascono dal basso, in genere da processi di progettazione fortemente partecipata, e solitamente si collocano in contesti periferici o comunque “difficili”: si potrebbe definirli dei presidi di welfare comunitario.
A titolo di esempio potrei citare il caso molto conosciuto delle Case del quartiere di Torino. Ma a Milano ci sono casi analoghi, come ad esempio il Mercato del Lorenteggio (sviluppato da Dynamoscopio nell’ambito del progetto Dencity) e la nascente Stazione Chiaravalle Project (promossa da Terzo Paesaggio), per citarne due che conosco bene perché sviluppati anche grazie al contributo della nostra Fondazione.
Sicuramente la possibilità di realizzare attività ad ampio spettro, a cavallo tra la cultura e il sociale (o l’ambientale, come nel caso di Chiaravalle), consente a strutture come queste un discreto livello di sostenibilità ma anche in questo caso mi sembra arduo poter parlare di prospettive di totale autonomia dal contributo pubblico o comunque da qualche forma di contribuzione filantropica continuativa: si tratta, come dicevo, di presidi di welfare, dei quali pertanto le istituzioni (pubbliche innanzitutto) devono necessariamente farsi carico.
Lo stesso caso di successo delle Case del quartiere (un esempio di sistema che ha già una certa storicità e sul quale si possono fare un po’ di considerazioni) prevede un sostegno, derivante da un accordo del Comune di Torino con la Compagnia di Sanpaolo, che comporta un contributo annuale della fondazione ad ogni singola struttura…

Spazi a prevalente vocazione imprenditoriale
Se per l’avvio di iniziative come queste può essere necessario un cofinanziamento pubblico o filantropico a fondo perduto (volto magari ad agevolare l’investimento per l’adeguamento degli spazi e lo start up delle attività), in generale queste strutture mostrano buone capacità di sostenibilità per via dei servizi che sviluppano e propongono.

Community hub a vocazione imprenditoriale
A prima vista potrebbero somigliare a dei Community hub del tipo precedente ma si tratta a mio modo di vedere di spazi che nascono più top down e si sviluppano intorno a modelli di tipo più imprenditoriale. Non sono necessariamente legati al tema delle periferie o dei quartieri difficili ma ciò non significa che anche progetti di questo tipo non contribuiscano a realizzare obiettivi di rigenerazione, come i precedenti.
Solitamente, questo genere di iniziative, sviluppa un’attività core di tipo marcatamente imprenditoriale (un ristorante, un pub, ecc.) e, accanto ad essa, pone in essere attività con maggiore vocazione sociale o culturale, finanziate attraverso l’attività core ma in un certo senso anche strumentali ad essa (l’una alimenta l’altra e viceversa).
Si pensi ad esempio ai casi di Cascina Cuccagna (la cui fase di avviamento, ma solo quella, si è realizzata anche grazie al contributo di Fondazione Cariplo) o di Santeria Social Club (avviato da una realtà privata che ha concorso a un bando del Comune di Milano).
Ripeto, la differenza rispetto al tipo precedente di Community hub risiede in:
iniziativa quasi sempre privatistica (privato-sociale);
impronta decisamente imprenditoriale;
costruzione più top down e quindi meno partecipata (aspetto collegato al precedente);
collocazione in zone non necessariamente periferiche o comunque tendenzialmente trendy.

Coworking / Factory / Incubatori
Anche se la denominazione non è felice, mi riferisco a quel tipo di iniziative, ormai molto diffuse che concentrano la propria offerta sulla filiera formazione/incubazione/accelerazione e alla messa a disposizione di spazi per il coworking.
In generale anche queste strutture hanno buone capacità di sostenibilità per via dei servizi che sviluppano e propongono. E per il tipo di partnership e collaborazioni che riescono ad attivare (la nostra Fondazione, per esempio, è entrata in contatto con molti di questi spazi/soggetti per fruire di servizi connessi specifici progetti; e di recente ha deciso di costituire una propria struttura, Cariplo Factory che sarà dedicata alla formazione professionale e all’accelerazione d’impresa).
Non a caso ci sono esempi, anche in questa città, di strutture nate e sviluppatesi senza la minima presenza di contributi né di natura pubblica né di natura privata filantropica (al punto che hanno ragioni sociali profit oriented): mi riferisco per esempio a Impact hub, coworking e spazio d’innovazione sociale tra i primi nati a Milano, più o meno contemporaneamente al Barra A di Avanzi. Per rimanere su quelli che in qualche modo hanno una vocazione sociale.
Ma potremmo citare spazi come Copernico destinato alla business community (e senza alcuna vocazione sociale) e tanti altri.

Per concludere: la mia proposta di tassonomia non vuole necessariamente essere esaustiva (anche perché si riferisce alla esperienza, estesa ma parziale, di Fondazione Cariplo). Ma mi auguro che, in qualche modo, possa essere utile alla discussione.

 

Andrea Rebaglio – Fondazione Cariplo




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