Nomi cose teatri: la rete del Nuovo Circuito Teatrale
Riflessioni sul tema della distribuzione e cronache fra Napoli e Caserta
In Campania è nata da qualche mese una nuova rete informale. Lo NCT (Nuovo Circuito Teatrale) si propone di promuovere o creare servizi di distribuzione, promozione e comunicazione. Il progetto, finanziato dal bando delle fondazioni di origine bancaria Funder 35 e da Fondazione Con il Sud nel 2015, coinvolge soggetti storici e organizzazioni giovani, con sede a Napoli, Caserta e in altri centri della regione: Teatri Uniti, Start Interno5, Piccolo Bellini, Baracca dei Buffoni, Teatro Elicantropo, Teatro Area Nord, Teatro Civico 14 e Godot Art Bistrot. Fra gli obiettivi principali: favorire la circuitazione sul territorio regionale di gruppi emergenti e la valorizzazione di spazi medio-piccoli.
Il problema della distribuzione è molto sentito. Negli incontri delle Buone Pratiche di Vicenza, Siena, e Castrovillari e nell’incontro di Milano dedicato alla programmazione pubblica (vedi anche “Oltre il decreto”), più voci lo hanno indicato come il problema del teatro italiano. Lo è sempre stato, per la verità: già Raffaele Viviani diceva “il mio problema non è il pubblico ma l’anticamera per arrivarci”. La situazione è peggiorata con la crisi economica, che ha avuto ripercussioni concrete e precise sul mercato: teniture più brevi, cachet ridotti o azzerati, organici, paghe e durata delle scritture ridotti in conseguenza e altro. Tutti fattori – gli ultimi in particolare – che paradossalmente favoriscono l’aumento della produzione: bisogna pur lavorare, ci si inventa il lavoro e l’ offerta di spettacoli, magari piccoli, aumenta.
Le compagnie teatrali italiane nascono “di giro” per motivi storici ed economici, ma il nomadismo è, o diventa, anche un fattore antropologico: anche quando sono “stabili”, anche quando hanno una casa, gli attori italiani sono nomadi nel DNA. Girare sempre meno non provoca solo nostalgia, sull’onda del “non ci sono più le tournée di una volta”. E’ un trauma collettivo e individuale, colpisce anche chi quelle tournée non le ha vissute e ha conseguenze che vanno anche al di là del fattore economico.
Oggi girano un po’ di più i gruppi affermati, oppure di moda. Poi gira chi può scambiare: scambiare non è peccato, è comprensibile e spesso necessario, ma poi c’è chi scambia spudoratamente. E naturalmente girano più di tutti le proposte di maggiore “chiamata”: cosa questo significhi oggi non è sempre facile da valutare, visto che non mancano le ascese, le cadute e le sorprese. Sono gli spettacoli “di chiamata” appunto, magari effimeri. Sono spettacoli qualche volta decisamente commerciali, quasi mai dichiaratamente: nemmeno essere commerciali è peccato, ma confessarlo comprometterebbe la sovvenzione dal FUS. Sono queste proposte che finiscono per caratterizzare le programmazioni dei circuiti regionali: è così da tempo, ma la valutazione quantitativa e la cosiddetta qualità indicizzata previste dal Decreto 1° luglio 2014 hanno accentuato questa tendenza. Il MiBACT investe poco sulla distribuzione. Ha posto l’obiettivo della multidisciplinarietà senza riflettere sul termine e dimenticandosi che – qualunque cosa fosse – aveva un costo. E quando investe, lo fa a partire dai risultati numerici. Dal canto loro le Regioni, che sul tema hanno inequivocabili competenze (rafforzate dopo il 4 dicembre), fanno ciascuna a suo modo, prive di indirizzi.
Un altro paradosso è frutto delle caratteristiche dei progetti promozionali che un po’ ovunque, che siano nazionali o locali, sono prioritariamente orientati alla produzione più che alla diffusione. Sostengono l’”emersione” – un obiettivo importante e meritorio – ma poi non accompagnano il decollo e il consolidamento. Così la forbice tra domanda e offerta si allarga sempre più e tutti i discorsi sull’audience development rischiano di restare chiacchiere: almeno così risulta dai dati Istat sul calo della spesa degli italiani nei consumi culturali.
Non mancano però i tentativi di reagire. Il mercato non è più unico da molto tempo. Per reagire a questa contrazione apparentemente ineluttabile della distribuzione nascono reti e alleanze, si studia la creazione di nuovi possibili circuiti, si mettono a punto nuove formule e articolazioni per differenziare l’offerta nei teatri e per stimolare la crescita e la differenziazione del pubblico.
Le nuove forme della distribuzione sono state al centro dell’incontro Cortocircuito teatrale e percorsi condivisi, che si è tenuto sabato 12 novembre al Teatro Bellini di Napoli. La riflessione si collocava all’interno di una rassegna di quattro giorni, Nome, Cose, Teatri, che richiamava l’acronimo del Nuovo Circuito Teatrale, organizzata dal 10 al 13 novembre per dare visibilità ai soggetti più giovani della rete, con cinque spettacoli affiancati da altri tre scelti con un bando destinato a realtà emergenti a livello nazionale.
La rassegna era organizzata fra il Teatro Area Nord di Napoli e il Teatro Civico 14 di Caserta, due spazi diversi e molto interessanti. Area Nord è un presidio ormai riconosciuto della periferia napoletana, a Piscinola. E’ diretto da Lello Serao e gestito da Libera Scena Ensemble, una compagnia storica della scena partenopea; fa parte della rete dei Teatri di Napoli, un progetto del Comune e della Regione Campania per interventi nelle aree periferiche della città. Lo spazio, di proprietà comunale, ha due sale: la più grande però – che potrebbe avere 700 o 800 posti, pensata probabilmente per spettacoli musicali – non è aperta al pubblico per problemi di agibilità e costi per il recupero sono enormi. Questa condizione le dà un’aria un po’ triste e abbandonata, ma non ne impedisce l’uso come spazio di servizio (che è forse la strada di una futura ristrutturazione), con attività di prove della compagnia stabile e di tre gruppi “in residenza”, selezionati su bando. La seconda sala, della tipologia “a gradinata ripida” con 130 posti, ha capienza e caratteristiche tecniche più che idonee per programmare teatro e danza contemporanei. La stagione 2016/2017 – un po’ per celia un po’seriamente – è intitolata Teatro edificante, un aggettivo “costruttivo” per identificare un’attenta selezione di proposte di teatro contemporaneo, nazionali e regionali, significative per innovazione linguistica e rilevanza tematica: dodici spettacoli con due giorni di tenitura ciascuno, rivolti al pubblico del quartiere e in arrivo dal centro grazie anche a un servizio navetta. Fra le presenze “costruttive”, Astorri/Tintinelli, Carullo/Minasi, Oscar De Summa, Juan Mayorga diretto da Cerciello, Pietro Floridia, Colella diretto da Lagi, Danio Manfredini, Mariano Dammacco.
Lo spazio X del Teatro Civico 14 è stato ricavato con eleganza minimalista e colorato di nero e giallo, in una ex palestra, nella prima periferia residenziale di Caserta. E’ aperto dal luglio 2016. Il nome Civico 14 l’ha ereditato da una precedente sede, in funzione dal 2009 nel centro della città. Il nuovo spazio ha una sala per spettacolo minuscola e raccolta, con una cinquantina di posti, ma si caratterizza per una pluralità di spazi che hanno consentito di ampliare l’offerta di servizi e le attività: un ingresso molto gradevole, spazi per prove e formazione e un locale con 15 postazioni per il coworking. Un’articolazione che nonostante la scala in miniatura, autorizza gli organizzatori a definirla un “hub creativo”, un “centro policulturale” dedicato tanto alla creazione che all’accoglienza, e “che si schiera contro l’indifferenza, in continuo sostegno della libertà e dell’arte in ogni sua forma”. Non sono solo buone intenzioni: in sette anni nel precedente spazio, i cartelloni hanno ospitato una media di 40 spettacoli l’anno, per adulti e ragazzi, oltre a corsi e laboratori. La collaborazione fra la compagnia stabile, Mutamenti/ Civico 14, e numerosi altri gruppi impegnati in diversi ambiti artistici “produce un confronto e una contaminazione costante di saperi e professionalità diverse”. Uno spazio vivace anche nell’autofinanziamento.
Dal Comune a Civico 14 non arriva nemmeno un euro. Il Comune di Caserta deve essere in difficoltà davvero gravi o proprio non è interessato al teatro, visto che ha concesso il Teatro Comunale al Teatro Pubblico campano su bando, a fronte di un affitto, e ha chiuso qualche anno fa anche lo storico festival Settembre al Borgo.
Sono numerosi i comuni d’Italia che si sono ri-appropriati e hanno deciso di gestire il proprio teatro, direttamente e in collaborazione con i neonati circuiti, a partire dagli anni Sessanta e in crescendo negli anni Settanta e Ottanta. Oggi la tendenza a “esternalizzare” la gestione si sta qua e là trasformando in una sostanziale dismissione: è sempre più frequente – e preoccupante – che i comuni si sottraggano alle responsabilità e ai costi di gestione dei teatri, per ridurli a potenziale fonte di reddito. Su questo punto si confrontano scuole di pensiero diverse all’interno della pubblica amministrazione e sarebbe utile condividere esperienze e riflessioni, e magari anche i testi di alcune delibere in controtendenza.
Tornando a Caserta, anche nella prestigiosa reggia – dove un festival ce lo si aspetterebbe – non succede gran che, ma in questo caso è questione di politiche nazionali e della Sovrintendenza.
Negli spettacoli in rassegna, fra quelli presentati dai gruppi aderenti al nuovo circuito, Come una bestia della Baracca dei Buffoni, una delle poche compagnie sostenute dal MiBACT per il settore del Teatro di Strada, e che gestisce una piccola sala, il Teatro A’ Casarella di Arzano; e Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori di Teatro Civico 14 e Murìcena Teatro. Sono due lavori rappresentativi di un teatro innovativo, comunicativo, problematico e di facile distribuzione con riferimento ai teatri piccoli e medi, porprio la tipologia su cui rassegna e incontro si interrogavano.
Come una bestia di Orazio De Rosa è un monologo liberamente tratto da Sei una bestia Viskovitz! di Alessandro Boffa, interpretato da Antonio Perna, che incarna una sequenza di sgradevoli ma simpaticissime bestie: uno scarafaggio arrampicatore sociale, uno scorpione killer, una spugna stanca di bere, un pappagallo innamorato. Queste bestie nevrotiche e irriducibili – che naturalmente siamo noi – sono esilaranti, grazie al bravo protagonista, formatosi all’Accademia del Teatro Bellini qualche anno fa, al racconto molto ben strutturato sul piano drammaturgico e registico e all’intreccio di clownerie, comicità e teatro di figura. Uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti, per tutti –non solo per ragazzi, ma quindi anche per ragazzi, che fa tesoro dell’esperienza “di strada” della compagnia, sia nel riferimento alle tecniche sia nell’immediatezza comunicativa. L’impianto scenico di Francesco Rivista è una scatola funzionale, con pannelli e fondali che cambiano a seconda dei personaggi. Per un rilancio o una reinvenzione della distribuzione le scene sono importanti, non solo per motivi economici, ovvero per i costi di realizzazione, trasporto, montaggio. Finita l’epoca della grandeur scenografica, che ha avuto esiti indimenticabili, si tratta oggi sempre più di inventare dispositivi efficaci in grado di sviluppare pensieri estetici: è una delle sfide del teatro contemporaneo.
Chiromantica ode di e con Roberto Solofria e Sergio Del Prete ha riunito in un unico spettacolo alcune pagine memorabili di teatro napoletano degli anni Ottanta, da Enzo Moscato ad Annibale Ruccello, da Giuseppe Patroni Griffi a Francesco Silvestri. Una sorta di gabbia diventa il luogo di amori illusori e illusorie telefonate. L’amore en travesti, l’abbandono e “le viscere ammalate di una brutta, sporca, lurida, chiavica città” sono il filo conduttore delle vicende di Rosalinda Sprint, Jennifer, Gina, Tuna, Bolero e Grand Hotel, le protagoniste di questo viaggio fra realtà, sogno e chiromanzia. Un’ora di appassionata full immersion in questo mondo e nella sua lingua potente, molto ben interpretato – sopra le righe quanto serve – accompagnata dalle musiche originali di Paky Di Maio.
L’incontro nel Sottopalco del Teatro Bellini di Napoli ha riunito intorno a un tavolo i rappresentanti delle organizzazioni aderenti al circuito e operatori di diverse generazioni come Angelo Curti (Teatri Uniti), Giulio Baffi (Associazione Nazionale Critici di Teatro), Gabriele Russo (Teatro Bellini), Ilaria Cecere (Bus Theater), Gabriele Gesso (Morks).
L’associazione Morks, che si occupa di volontariato e interventi sociali, e quindi un soggetto esterno al settore, ha fatto da catalizzatore del progetto, che è sociale oltre che teatrale. Come capofila per il bando Funder 35, coordina l’incontro. Si discute della possibilità di offrire una circuitazione variegata e costante. Il documento di convocazione sottolinea che “nuove creatività, nuove professioni e nuovi spazi performativi si aprono la strada nel tessuto sociale ed economico della Campania e bisogna mettere a fuoco una riflessione sulle professioni e sui cambiamenti nel campo del lavoro culturale e del pubblico”.
La presenza di punti di riferimento storici del teatro napoletano, come il critico Giulio Baffi, porta a fare un punto sullo stato dell’arte della scena e della drammaturgia napoletana e campana. I toni sono assai critici (e autocritici). Inevitabile però che si torni – come sempre, come ovunque – sulle politiche nazionali (Decreto, Codice dello Spettacolo, referendum) e su quelle locali: si parla molto dei ritardi della Regione Campania nell’erogazione finanziamenti: sono ritardi di anni, molto superiori alla media nazionale, che paralizzano anche, o forse soprattutto, le organizzazioni maggiori, spingendole anche a comportamento discutibili o inaccettabili, per esempio vincolare i tempi dei compensi a quelli dei contributi. Con riferimento al Decreto e alle sue evoluzioni possibili, ci si chiede se in futuro il NCT possa ottenere dal MiBACT un riconoscimento in quanto circuito o come progetto speciale con riferimento agli obiettivi sociali e promozionali. Il Nuovo Circuito non vuole proporsi come “alternativo” al Teatro Pubblico Campano, se mai come complementare. Se non c’è polemica, o almeno il livello di polemica è tale da non escludere il dialogo, la critica però è implicita: si ritiene infatti che il circuito storico non abbia politiche efficaci, o non ne abbia affatto, rispetto ai gruppi emergenti e agli spazi piccoli e medi.
C’è chi dà una risposta creativa, come il Bus Theater, che è insieme un gruppo e un autobus a due piani trasformato in grande teatro viaggiante: 25 posti a sedere nella versione al chiuso e un pubblico potenzialmente anche molto numeroso in quella all’aperto, aprendo la fiancata. Il Bus Theater non presenta solo spettacoli di tutti i generi e per tutte le età, ma è anche veicolo di promozione, incontro, coesione.
Il Bus, che per ora non aderisce a NCT, che però è una struttura ancora in fase di assestamento e aperta, è anche la metafora e la rappresentazione efficace di una visione dinamica, rispetto a un’idea tradizionale, statica, del concetto di circuito: un “nuovo” circuito non dovrebbe essere solo un insieme di spazi di spettacolo, ma raccogliere altri possibili e diversi luoghi, progetti, per esempio i festival. Se il problema della distribuzione resta centrale, non è facile individuare con chiarezza obiettivi economici e organizzativi sostenibili, e a maggior ragione il NCT intende riflettere su altri possibili servizi e iniziative comuni. Nell’incontro si tocca anche il tema dell’evoluzione che si osserva un po’ ovunque nella gestione dei teatri, sempre più multifunzionali e multidisciplinari, un altro terreno su cui lavorare assieme.
Fa una bella impressione che queste riflessioni siano ospitate in un teatro come il Bellini, che più tradizionale e “all’italiana” non si può: con i suoi stucchi e i suoi colori sembra una porcellana di Capodimonte. Il Bellini si è dotato di una seconda sala, il Piccolo Bellini, funzionale e molto piacevole, che è diventato un punto di riferimento anche per alcune delle esperienze innovative della città. Nel Sottopalco c’è il bar che ospita l’incontro, di recente è stata potenziata la libreria, grazie a un accordo con l’editore Laterza, che organizza a Napoli come in altre città d’Italia il ciclo di incontri Lezioni di storia.
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