#BP2016 | Le disabilità dei matti, rivissute criticamente in uno spazio d’arte, divengono competenze che i sani vorrebbero acquisire
L'intervento di Alessandro Garzella alle #BP2016 Teatro Sociale e di Comunità la formazione degli operatori. Scuole e idee a confronto, 5 novembre 2016, Civica Scuola di Teatro Paolo Grass
Ci fosse tempo sarebbe interessante approfondire il senso artistico della ricerca che si sta sviluppando fuori dai circuiti del sistema e le tante traiettorie che la diversità proietta rispetto ai contesti della formazione. Educare ai valori e disvalori della differenza, partendo dall’angolatura particolare che presenta il mito del difforme nell’espressione d’arte, è sicuramente un pensiero complesso che forse varrebbe la pena indagare in altro modo. Non potendo in pochi minuti sviluppare una riflessione critica non resta che informare sui motivi dell’esperienza che si fa.
ANIMALI CELESTI è un’associazione teatrale che mischia attori professionisti, non attori, utenti di vari servizi, educatori, allievi e, nella particolarità del Teatro Stalla, nella comunità bergamasca di Verdello, animali e addestratori.
In Toscana, nell’ambito del Corso di Laurea per Tecnici di Riabilitazione Psichiatrica dell’Università di Pisa, dal 2004 in poi, conduciamo una docenza titolata “discipline dello spettacolo in contesti di marginalità e disagio mentale”. Moltissimi studenti hanno partecipato e partecipano a questa esperienza (credo unica in Italia per un dipartimento universitario di Medicina) e una decina di loro si sono laureati con una tesi specifica su questa particolare disciplina, acquisendo, con una partecipazione continuativa a stage, laboratori e tirocini didattici, competenze valutate attraverso analisi su diversi aspetti della metodologia del gioco del sintomo: la rabbia, il gioco, l’erotismo, la creatività e così via. Nella sostanza il Corso di Laurea e i tirocini professionalizzanti che noi svolgiamo in convenzione con l’università orientano un riabilitatore psichiatrico all’ascolto del proprio e dell’altrui corpo, all’espressività extra verbale, al controllo emozionale e alle possibilità che offre il teatro alle comunità di recupero e cura: dal piano più banale della relazione sociale fino alla valorizzazione artistica degli aspetti sani della malattia. Questi corsi, che noi vogliamo aperti all’accesso di svariate tipologie umane, rappresentano una straordinaria palestra di educazione all’ascolto e, talvolta, di valorizzazione delle identità più strampalate, verificandosi spesso che le disabilità dei matti, rivissute criticamente in uno spazio d’arte, divengono competenze che i sani vorrebbero acquisire.
Questo singolare processo d’apprendimento non si verifica solo per gli studenti o per gli educatori, ma anche e soprattutto per gli attori che, messi a contatto coi parossismi veri, dapprima percepiscono nitidamente la frattura tra falsità e finzione, poi, se non cedono alle pressioni ricattatorie, ai vittimismi, alle esaltazioni, o ai narcisismi, comprendono l’ascolto di quella particolarissima condizione esistenziale che usualmente definiamo psicosi o delirio o pazzia.
Ancor più sorprendente, nei contesti avanzati, è ciò che accade ai matti quando vige la possibilità dell’autoselezione che noi imponiamo a tutte le committenze per una nostra etica professionale. Non a tutti, quindi, ma solo a chi il teatro fa veramente bene, nel senso che ne valorizza aspetti espressivi che la realtà sociale sottovaluta o reprime. Nella nostra esperienza l’autoselezione elimina più o meno la metà degli utenti iniziali. Chi rimane vive intensamente un contatto con attori professionisti che, attraverso il gioco del sintomo, percorrono le bizzarrie più strane, più rischiose e anche oscene. Dapprima ai matti accade che le competenze tecniche degli attori incuriosiscono, anche perché i difetti, o tic o psicosi, nella consapevolezza del gioco teatrale, divengono altra cosa, assumendo spesso aspetti davvero impensati. Succede allora, ma parlo di piccoli gruppi e di tempi molto estesi, quello che noi chiamiamo reciproco contagio: Il matto – attraverso la coralità di una forma di teatro che gioca con le sintomatologie represse dalla famiglia, dalla comunità e dalla psichiatria – è come se attraverso la rappresentazione prendesse distanza dalla parte malata della malattia per rivitalizzarne gli aspetti più sani. Osserva gesti, sente grida, comportamenti comunemente ritenuti inconsulti, li vede riprodotti con cura meticolosa nei processi della creazione artistica e lui stesso, coadiuvato dal gruppo, prova a riattraversarne il senso e il valore. L’invisibilità del teatro assomiglia molto alle sue ossessioni ma in qualche modo, nello spazio tempo della scena, impara a distinguerne le valenze e le opportunità.
Ciò che in queste dinamiche può accadere all’attore sul piano della formazione è forse più intuitivo: se ha la stoffa necessaria e l’umiltà dell’ascolto e la passione percepisce la grazia del delirio e delle deformità, ribalta ciò che comunemente si pensa sia diversità e follia. Dapprima battaglia con le mostruosità del grottesco ma poi s’accorge che l’alterità di quel mondo pretende una dose massiccia e lieve di poesia e d’interiorità. Non c’è poi così tanta differenza nei modi di comunicare pensieri saggi e folli, tranne per la necessità corporea d’esprimere la propria bizzarria e unicità. Allora l’attore entra in rapporto con l’irripetibile, smette di scimmiottare più o meno verosimilmente difformità che non sono sue, e comincia a scavare, per gioco, dentro sé, frugando tra le nevrosi personali, fino a scovare i modi per riconoscere che la follia, anche “tecnicamente” abita la parte sana di tutti noi.
Si può ben comprendere quanto la presenza degli animali possa aiutare questi processi di conoscenza. Il contatto con gli istinti e le pulsioni, la verità dell’attimo e la riproduzione di un artificio che mantiene l’essenza della verità e del mistero, con gli animali, diventa una prassi scenica dovuta. Scompare, ancor più che coi matti ogni possibile falsità anche perché gli animali percepiscono esattamente l’interiorità di ciò che ognuno sente. Segnalo che dal prossimo anno l’esperienza di Verdello sarà aperta ad un piccolo gruppo di giovani attori che intendono seguirne la specificità.
Io non so che formazione possa essere questa. Non so se un valutatore aziendale possa apprezzare la presenza meno repressa dell’inconscio. Forse il nostro è solo un processo di formazione all’arte, o di riscoperta espressiva di un contatto con l’irrazionalità. Forse è il modo per capire quanto la mission di includere gli esclusi, in questa società, sia veramente paradossale. Quanto poca sia la distanza tra cura e malattia, tra le realtà della vita e quelle di un mestiere fatto con passione, quanto gli attrezzi della maestria siano fragili e provvisori, specie se la socialità si separa dal sacro, diventando l’arte di sbarcare un lunario, magari predicando che ci si forma o ci si abilità alle conformità del mondo o alle leggi imposte dal mercato.
ANIMALI CELESTI teatro d’arte civile
info@animalicelestiteatrodartecivile.it
Alessandro Garzella
Animali celesti teatro d’arte civile
Tag: teatro sociale e di comunità (97)
Scrivi un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.