Se la Basilica Palladiana diventa l’isola di Prospero. Dal Ciclo di spettacoli classici a un nuovo festival per Vicenza

Con gli spettacoli di Bob Wilson, Aleksandr Sokurov, Balletto Civile, Anagoor, Teatro del Lemming

Pubblicato il 17/10/2016 / di / ateatro n. 159

Ci vuole coraggio a cambiare dopo 82 anni e 69 edizioni. E per quanto suoni un po’ eccessivo chiamarla “numero zero”, come si legge nel catalogo, quella da poco conclusasi a Vicenza è senza dubbio un’edizione che segna il punto di ripartenza per una delle più longeve manifestazioni teatrali del nostro Paese, il Ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico. Fa bene il nuovo curatore artistico Franco Laera a usare con cautela la definizione di “festival” e a prendere tempo, parlando piuttosto di «un processo di cambiamento che deve avere il suo tempo di sperimentazione». Ma insomma questo sembra essere l’orizzonte progettuale: un grande festival che metta in dialogo tutte le arti, performative e non, da una parte con le straordinarie architetture della città veneta e dell’altra con i fermenti culturali del presente. Conversazioni è perciò il titolo di questa edizione rifondativa, che ha coinvolto altri spazi urbani oltre l’Olimpico, come il Teatro Astra e soprattutto la Basilica Palladiana, dove la videoproiezione dello storico Hamlet: a monologue di Bob Wilson (presente l’autore) ha inaugurato la manifestazione. Uno spettacolo prismatico e molto intimo per il maestro statunitense, che lo interpretava nel 1995 come un lungo flashback in forma di monologo. Una sorta di viatico per il suo nuovo progetto di messinscena: l’Edipo tiranno proprio per il Teatro Olimpico nella prossima edizione del festival. Com’è noto, la tragedia di Sofocle, con le musiche di Andrea Gabrieli, fu lo spettacolo inaugurale del teatro palladiano nel 1585, e anche perciò suscita fin d’ora grande curiosità l’esito di questa lungimirante commissione che riporterà Wilson in Italia.

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Uno degli obiettivi più interessanti e ambiziosi di Laera è quello di stimolare il confronto creativo degli artisti con i due luoghi simbolo della città, evitando l’indifferenza di tanti spettacoli che fanno sentire anacronistico e ingombrante il luogo storico o archeologico che li ospita, o che lo umiliano usandolo come sfondo per il proprio “evento-selfie”. Il dialogo con lo spazio palladiano, e in particolare con le scenografie dello Scamozzi, non è certo agevole. Lo dimostrano i tentativi, dagli esiti modesti pur con qualche eccezione, dei precedenti cicli, da ultimo diretti da artisti tanto diversi come Eimuntas Nekrosius e Emma Dante. Quest’anno i lavori di Michela Lucenti, Aleksandr Sokurov e Moni Ovadia hanno cercato più decisamente di cogliere le suggestioni del luogo, di entrare in discorso con statue, timpani, fughe prospettiche, di rivolgersi per così dire, oltre a quelli degli spettatori, anche agli sguardi marmorei che dal peristilio racchiudono la platea.

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Con Before Break i danzatori di Balletto Civile si interrogano sui momenti che precedono il punto di rottura, sullo stato che viviamo interiormente nella gestazione di un profondo cambiamento. Liberamente ispirato alla Tempesta di Shakespeare, lo spettacolo conferma la grande inventiva e libertà di Michela Lucenti nel creare immagini e “situazioni” spettacolari che toccano – e stavolta anche fisicamente – gli spettatori, dilatando le azioni fino alla cavea, ai primi gradoni, alle sette vie della Tebe scamozziana. La formazione variabile di Balletto Civile è qui al suo massimo regime. Gli undici danzatori creano figure metamorfiche e parodiche, tra Hieronymus Bosch e i cartoons americani, tra i freaks e Charlot. Gli Ariel e i Calibano si moltiplicano, nature opposte che convivono in ciascuno. Un Ariel con la giacca a lustrini inventa modi sempre nuovi di avanzare, disarticola le diverse parti del corpo facendovi trascorrere i movimenti, mentre le musiche dal vivo eseguite da Julia Kent e Nicola Pinelli occhieggiano a Gershwin, al foxtrot. La scena del mare in burrasca è resa con una serie di equivalenze perfette: il capitano con il salvagente scivola in una break dance, due gruppi di danzatori tirano da una parte e dall’altra del palco una grossa fune, e perfino i marmi del teatro sembrano muoversi e ondeggiare.

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Un altro segno ben leggibile nel nuovo corso vicentino è l’apertura nei confronti degli artisti del territorio. Ecco dunque spettacoli di Naturalis Labor, Teatro del Lemming Anagoor, Patricia Zanco. Il nuovo lavoro del Lemming – W.S. Tempest – ci riporta all’opera shakespeariana ma letta come un naufragio che avviene nella mente del protagonista. Siamo nel salone grandioso della Basilica Palladiana. Come sempre Massimo Munaro chiede agli spettatori di lasciare borse, giacche e cellulari all’esterno dello spazio scenico per entrare in una realtà altra – quella del teatro – che proverà a confonderci e perturbarci. Il Lemming lo fa costruendo visioni che alternano delicatezza e incisività, prossimità e distacco, scegliendo brani intensi dell’opera per cucire un’originale lettura del testo che ne risalti i nuclei archetipici e una drammaturgia che coinvolga il pubblico.

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Gli attori cercano il contatto con gli spettatori, li interpellano, li guidano, li sfiorano, li scuotono. Poi si allontanano per allinearsi lungo una parete di fondo della Basilica, tornano correndo, declamano con il megafono un inserto antifrastico contro il teatro di ricerca. Difficile dire se il gruppo rodigino riesca nel suo intento di «fare appello a delle forze oscure, primigenie, inconsce, notturne, che non si comprendono con la logica diurna e che ci chiedono di abbandonarci alle emozioni». Certo l’immagine conclusiva è molto suggestiva: il corpo nudo di un’attrice viene rivestito con i fogli prima vergati a mano e ora bagnati e appiccicati alla sua pelle, come se nel naufragio della mente ci rimanessero attaccati solo i sogni, della cui sostanza sembra fatta questa marionetta evanescente. E in fondo Munaro trova nella riflessione metateatrale una soluzione possibile del rapporto con il luogo storico: «L’isola di Prospero per noi è questa Basilica, è Vicenza, è il teatro».




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