#BP2016 | La generazione perduta

La questione meridionale dal punto di vista dei giovani

Pubblicato il 29/02/2016 / di / ateatro n. 157

Se parliamo di Meridione dobbiamo affrontare la ‘questione meridionale’; può sembrare strano ascoltare termini che sembrerebbero appartenere al passato, ma non è così. Perché il sud Italia vive un processo di deindustrializzazione, denatalità, perdita generalizzata di posti di lavoro, emigrazione forzata soprattutto dei giovani con titolo di studio alto. Solo dalla Campania, dove la disoccupazione giovanile e femminile oscilla intorno al 60%, ogni anno partono 20.000 neolaureati.
Quindi per parlare di teatro del meridione l’attenzione non si deve appuntare su quel teatro ‘adulto’ che con molta fatica, aumentata con l’imperversare del decreto, cerca di proseguire un cammino iniziato da decenni.
Dobbiamo chiederci quale reali prospettive avranno le giovani generazioni, ragazzi per i quali non esiste una formazione professionale specifica per le arti della scena, ma che si devono affidare per lo più a scuole private o a sporadici corsi di formazione a regia regionale. Così come non esistono investimenti e tutele specifici per quelle giovani compagnie che cerchino di inserirsi nel mondo dello spettacolo.
Il Sud, la Campania in particolare, sta perdendo un’intera generazione, gli attuali under 35 costretti ad andare a studiare al nord, e poi incapaci di rientrare perché non esistono progetti di start up o di residenze per le giovani compagnie, non vi sono circuiti o teatri che possano accogliere creatività ed idee. Ed anche l’unico teatro nazionale del Sud al momento non sembra interessarsi alla creazione di reali opportunità per i giovani.
Ma se si prova a pensare al teatro italiano non si può prescindere dalle compagnie e dai teatri del Meridione.
Per questo è necessario porre nuovamente al centro una ‘questione culturale meridionale’. C’è la necessità di creare a livello centrale sinergie che favoriscano la riapertura di spazi, soprattutto nelle periferie, nelle quali il teatro, inteso non solo come teatro sociale ma come forma d’arte, è fondamentale per ricostruire un tessuto cittadino e di coscienza sociale.
Tutto questo, nel decreto, non sembra esserci. Rimane così affidato solo al nostro agire, alla nostra capacità di pensare e sognare il teatro quale necessità civile prima che individuale. Sta a noi, teatranti ‘adulti’, dare una prospettiva a quella ‘generazione perduta’ per la quale non abbiamo create percorsi formativi adeguati, non abbiamo aperto luoghi di prova e di spettacolo, e che sempre più si disperde in individualità anche di altissimo livello artistico, ma impossibilitate a lavorare nelle loro città.

Costanza Boccardi – Teatri Uniti




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