#BP2016 | Indicatori

Le criticità del decreto: è stata una vera razionalizzazione?

Pubblicato il 29/02/2016 / di / ateatro n. #BP2016 , 157 , Passioni e saperi

Premetto per chiarezza che noi – ARTESTUDIO – siamo fra quelli esclusi dal MIBACT e che hanno fatto ricorso. La nostra domanda si riferiva all’ art.43 promozione teatrale, sezione inclusione sociale. A nostro avviso il decreto contiene errori di impianto così come contestiamo alcune valutazioni della Commissione, nel nostro caso non consultiva, ma decisiva. Tutto sarà valutato nelle sedi opportune, vediamo. Sia come sia una prima considerazione è che una protesta di questa portata – faccio teatro dal 1978 – non si era mai vista. Cento ricorsi al TAR, audizioni alla Camera, richiesta di accessi agli atti, intere categorie sul piede di guerra, teatranti riconosciuti che non fanno nemmeno la domanda ritenendo il decreto inadeguato alle vicende dell’arte teatrale. Il MIBACT minimizza, la Commissione indica qualche cauto suggerimento per il 2018, ma nell’insieme mi pare non ci sia l’intenzione di riconoscere che le criticità del decreto sono molte e importanti. Forse una presa d’atto sarebbe stata più utile. A chi e a cosa giova questa situazione così drammatizzata?

Gli indicatori
Gli indicatori servono a misurare qualcosa, questo il punto. Cosa voleva misurare il MIBACT con questo nuovo decreto e come. A nostro avviso gli algoritmi sono stati pensati assieme ad altri curiosi indicatori – vedi quel limite astruso di 15 soggetti all’articolo 43 che oggi tutti vogliono superare ma che di fatto vale per tre anni – per costruire una strettoia attraverso la quale accedere o restare esclusi in un campo culturale, probabilmente per sempre, non ricevendo contributi economici per tre anni dall’unico soggetto istituzionale di fatto rimasto ad erogare fondi verso lo spettacolo dal vivo nel nostro Paese. L’idea del MIBACT dunque era quella che nel linguaggio economico corrente si chiama razionalizzazione. Mobilità al posto di licenziamento. A nostro avviso questo è l’errore di fondo – se errore c’è stato – ovvero il senso del decreto. Si doveva partire al contrario da una mappatura del reale, certamente verificando attività, progetti, etc, andare verso un riconoscimento puntuale dei soggetti che operano nello spettacolo dal vivo sul territorio e infine procedere ad una valorizzazione di questo lavoro. Si è fatta la scelta opposta: il MIBACT ha inteso il decreto come un bando dove fare una selezione dei soggetti e una concentrazione delle risorse secondo una propria idea artistica prospettica, e non come una delle azioni di sviluppo generale della politica culturale. Non è significativo aver mantenuto o migliorato i pochi denari che il Governo italiano mette nel FUS, significativo è cosa si fa con quei denari.

Il MIBACT col decreto di luglio ha inteso omologare l’attività teatrale e dello spettacolo dal vivo attraverso la leva finanziaria che è stata intenzionalmente utilizzata, non già per sostenere la produzione artistica, ma per orientarla e selezionarla, contro le finalità di incentivazione, diffusione e sviluppo della produzione artistica che questa attribuisce al FUS.
Questo spiega in alcuni casi la violenta e inspiegabile eliminazione dei soggetti richiedenti. La parola d’ordine che si è venuta a formare in testa all’azione del decreto è stata: razionalizzare, ovvero tagliare, verrebbe da dire non importa come. Si gestisce – con un garbo da parte del MIBACT e della Commissione che cela invece una qualche preoccupazione – la questione con il fatto che quando c’è una selezione qualcuno – l’escluso – protesta. Ma in questo caso è in gioco l’ennesimo passaggio dal culturale all’economico. L’ economico è un indicatore che funziona?
Con l’idea dei “crediti” abbiamo visto come si è ridotta la scuola nel nostro Paese. Gli indicatori dovrebbero essere uno strumento utile a studiare e fotografare una realtà, non a manipolarla.
Il paradosso è che si potevano ascoltare con più attenzione le voci dei teatranti, le categorie di rappresentanza, evitare forzature – con una triennalità, il punto qualificante del decreto, purtroppo tutta da verificare, che riconosce i soggetti ammessi solo anno per anno, ma che invece esclude per tre anni quelli non ammessi – e scongiurare una guerra scespiriana per un motivo così sciocco e piccolo e inutile come il teatro in Italia.
Grazie per il vostro tempo
RICCARDO VANNUCCINI, ARTESTUDIO, compagnia teatrale di Roma.

Riccardo Vannuccini, ArteStudio.




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