#BP2016 | Per una politica dell’occupazione nel settore dello spettacolo
L'intervento della rappresentante di Slc-CGIL
Leggere sul documento della commissione prosa che non hanno tenuto conto dell’occupazione mi ha colpito. Ovviamente non spettava certo ad una commissione tale valutazione. Peraltro mi associo a quanti hanno considerato sbagliato il fatto che la commissione abbia lavorato gratuitamente. Ma per quanto riguarda l’occupazione mi sono chiesta: è possibile che un Ministero trascuri un dato così importante? Ma questo è successo perché si è voluto colmare un vuoto legislativo con un decreto ministeriale. Credo quindi che dobbiamo invece ragionare nel percorso già definito che porterà al “Codice per lo spettacolo”. Questo settore ha bisogno di essere riconosciuto nella sua specialità un po’ come è successo nel tempo per l’agricoltura e l’edilizia, che hanno trovato strumenti diversi e specifici per le loro esigenze. Non avere una legge che disciplina tutto il settore rende difficile persino contare esattamente l’occupazione. Di solito si guarda ai dati Enpals o all’Istat ma in entrambi i casi non sono dati esattamente attendibili. Ma dal nostro osservatorio sappiamo che lo spettacolo è costituito da una percentuale relativamente ridotta di lavoro stabile mentre la maggioranza lavora in modo intermittente. La particolarità del settore è che questi lavoratori sono strutturalmente intermittenti e non possono essere definiti precari. La loro attività può svolgersi in condizione di subordinazione, autonomo con partita IVA, ma anche come titolare di impresa. In parte possiamo chiedere una maggior stabilità, che comunque si configura con contratti a termine, a part time verticale. Ma non potrà essere assoluta. Per gli artisti si sommano attività come l’insegnamento, le letture, il cinema, la pubblicità. Queste particolarità obbligano a trovare strumenti specifici. Invece, proprio perché non c’è neppure la definizione giuridica per gli artisti, si stiracchiano le norme pensate per altri settori, ma questo genera ulteriori disagi. Ad esempio l’ultima novità che introduce i voucher per lo spettacolo, stabilisce che in questo caso non è più necessaria la richiesta di agibilità. Persino l’Inps ammette che il voucher è uno strumento che crea distorsioni. In questo caso i lavoratori dello spettacolo avranno un danno di cui non avranno inizialmente contezza. Il Voucher determina un piccolo versamento contributivo alla gestione separata dell’Inps e non è legato alla prestazione oraria. Come si potrà costruire la vita contributiva del lavoratore? Questo dimostra la necessità di riconoscere quanto l’Europa chiedeva nel lontano 2007. Fotografare queste attività, trovare i giusti strumenti lavorativi, le reti protettive con un welfare che “vesta” queste professioni. Ma l’assenza di norme determina anche l’assenza di politiche che governino il settore, creando opportunità di lavoro dignitoso. Le risorse al settore non sono coordinate, come hanno rilevato più interventi. Arrivano in ritardo. Ma questo si riflette direttamente sui lavoratori che come diceva bene Massimiliano Civica vedono allontanarsi sempre di più i pagamenti. Proprio per quanto sopra, l’esclusione di diversi progetti sta comportando il mancato pagamento a chi vi ha lavorato; peraltro il fatto che i soggetti esclusi non potranno ripresentare domanda nel triennio rende possibile che fra due anni alcuni di loro non ci saranno più. Era assolutamente necessario un periodo di sperimentazione con clausole di salvaguardia. Poiché il Ministro ha affermato che l’importo del FUS non cambierà: nel caso che i numerosi ricorsi degli esclusi vengano accolti permane anche per quest’anno un’instabilita’ che riguarda tutto il sistema e determinerà ritardi ed incertezze sui fondi. L’assenza di una legge non permette quello sguardo lungo che la politica deve avere. Quindi in un paese che va poco a teatro, ai concerti e non legge, non si fa abbastanza per una vera formazione del pubblico. Per fare questo ci vogliono interventi che durano nel tempo e che devono vedere gli artisti, della musica, del teatro e della danza come attori centrali nei percorsi scolastici. Alcuni colleghi mi hanno detto che la musica ci ha messo 25 anni per diventare materia curricolare. Ma penso che la musica che si fa nelle scuole non sia sufficiente. Su questo tema si stanno aprendo delle possibilità ma a mio parere l’assenza di norme che riconoscano il ruolo professionale degli artisti, i percorsi di formazione (questo riguarda di più gli attori) rende complicato dare un vero servizio alla collettività.
Il ruolo del teatro, della danza, della musica è importante anche in quella che è una sorta di formazione continua del cittadino. La promozione del pensiero, del pensiero critico è fondamentale in una società democratica. La stessa formazione necessaria per il lavoro è più semplice in soggetti che hanno una cultura medio/elevata.
All’interno di un testo di legge è, come dicevo urgente e necessario, coordinare le risorse, tutte. Decidere anche il ruolo che deve avere il FUS, che peraltro deve aumentare le risorse visto che chi ha il contributo si lamenta che non basta e i molti settori che non hanno accesso stanno chiedendo insistentemente l’accesso. Dentro questa discussione a mio parere va deciso se il ruolo delle risorse pubbliche dello Stato oltre al sostegno può diventare una leva per capovolgere situazioni come quella della Calabria. Se insomma il FUS esiste per permettere il diritto all’accesso alla cultura per i cittadini, per tutti i cittadini. Per discutere di questo è necessario confrontarsi mettendo insieme tutti i soggetti: danza, teatro, musica. Perché le contaminazioni sono evidenti e il grande fantasma della lirica viene evocato ogni volta che si parla delle risorse. Come sindacato accettiamo la sfida. Il problema non è: sono troppe 14 Fondazioni Lirico sinfoniche, ma qual’e’ il modello che vogliamo guardando al diritto di accesso alla cultura. La domanda che pongo è: un’Italia a due velocità non è determinata anche dalla profonda differenza anche nel campo del l’offerta culturale?
Tag: lavoro (64)
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