#Casematte 1. Da Limbiate a Genova
Il diario di viaggio del Periferico Tour negli ex manicomi
Case Matte, il viaggio teatrale in 8 ex-manicomi a cura di Teatro Periferico, è partito e ha già toccato due delle città in programma: Mombello di Limbiate il 5 e il 6 settembre, e Genova-Quarto l’11 e il 12 settembre.
Tre spettacoli: Atlante della città fragile, raccontato da Gigi Gherzi, Passeggiata teatrale nel manicomio con Claudio Ascoli di Chille de la Balanza e Mombello. Voci da dentro il manicomio di Teatro Periferico, un convegno a Genova dal titolo Voci negate, un incontro, sempre a Genova, dedicato alla raccolta di storie, mostre fotografiche a Mombello di Limbiate (del gruppo Free Camera, di Francesco Guerroni e della comunità del Montebello).
A Limbiate Gigi Gherzi legge alcune storie tratte dal suo libro. Gli spettatori hanno poi la possibilità di scrivere su alcuni fogli (contenuti in un’elegante cartella) pensieri, osservazioni, domande che le storie hanno suscitato. La cartella passerà poi agli spettatori delle città successive che potranno rispondere, commentare e aggiungere le loro osservazioni. Gigi racconta storie di precariato, di solitudini, di manicomio. C’è nel suo progetto non solo uno sguardo sulle fragilità dell’oggi, ma anche un rapporto con il pubblico che è fatto di interazioni discrete, ascolti, silenzi e ragionamenti condivisi.
Claudio Ascoli racconta la storia di tutti i manicomi e la storia di ogni manicomio. Parla della loro apertura, della rivoluzione basagliana, della città che entra nel manicomio, mostra le foto di Carla Cerati fatte proprio a San Salvi con i corpi piegati dei malati, gli sguardi bassi, le donne con le braccia bloccate nei vestiti come sacchetti, proietta un Super8 con gli abitanti di Firenze che festeggiano l’apertura del manicomio. Alcuni spettatori, durante la prima ora di spettacolo, vengono invitati a mangiare spaghetti cucinati al momento e li mangiano con un cucchiaio, così come facevano i matti, poiché forchette e coltelli erano vietati. Poi al pubblico viene chiesto di muoversi in uno spazio ristretto, Claudio fa fare la conta e infine chiede la disponibilità di uno spettatore a essere legato. È un percorso nella storia delle istituzioni psichiatriche, ma anche un lavoro che permette di percepire tutta la brutalità dell’internamento. Nella seconda parte dello spettacolo il pubblico esce all’esterno per una camminata nel parco e tra i padiglioni (che purtroppo vengono scorti da lontano, dato che la Asl ha chiuso le strade per raggiungerli), nella quale Claudio racconta la storia del manicomio di Mombello.
Parlare di memoria significa raccogliere un’eredità. Il manicomio è presente anche oggi nella società, ogni volta che una persona non è considerata tale, ma diventa un numero. Il concetto di manicomio, cioè l’internamento di coloro che non capiamo, di chi può metterci in discussione, di chi ci parla di un noi che non vogliamo vedere, è talmente radicato nel nostro modo di ragionare, che non ce ne accorgiamo nemmeno.
E infine Mombello. Voci da dentro il manicomio. Lo spettacolo ha costruito un suo pubblico negli anni. Una comunità di persone che interagisce, scrive, discute. A Limbiate, alle due repliche, vengono moltissimi giovani che si fermano anche dopo lo spettacolo. Vogliono parlarci, farci domande. Qualcuno ha familiari che hanno vissuto una condizione di malattia mentale, altri semplicemente sono venuti per conoscere qualcosa di cui non sanno nulla e con un gran desiderio di partecipare emotivamente a quella sorta di rito che è il teatro.
La prima parte dello spettacolo avviene dentro le stanze di un corridoio. Sono le mura del manicomio, il pubblico sta fuori e ascolta le parole immaginando cosa possa accadere al di là de muro. Nella seconda parte i malati escono e il pubblico si trova improvvisamente dentro. È l’elemento empatico che abbiamo scelto come ponte tra noi e il pubblico. Così come ci avevano detto le assistenti sociali e il personale del manicomio nelle interviste: “Nelle altre esperienze lavorative è diverso, non c’è questa vicinanza…”.
La stessa vicinanza sulla quale ha lavorato Studio Azzurro per la creazione della nuova sessione del Museo della mente, presso l’ex o.p. di Santa Maria della Pietà, a Roma (ci ritorneremo sopra presto, quando Case Matte passerà di lì): un grande video con matti che camminano avanti e indietro, collocato lungo un corridoio (guarda un po’, un corridoio…) e il pubblico può scegliere, semplicemente toccando lo schermo, con chi parlare. La figura toccata (bisogna toccare!) si avvicina e comincia a raccontare la sua storia. Poche parole, tanto per far capire di che si tratta. Se lo spettatore intende ascoltare il resto, ci cammina accanto, al malato, fino ad arrivare in una stanza nella quale lui continuerà a raccontare. Empatia.
Il giorno dopo partiamo per Genova. Il materiale viaggia con il camper: mixer, luci, piantane, cavi, dimmer, scenografia, teli per l’oscuramento… Il resto del gruppo si muove in auto. Ci fermiamo di notte in un sosta camper, vicino all’ex manicomio. Di giorno il camper ci segue dentro alla struttura, per risparmiare sui costi. Il viaggio è finanziato in gran parte dal pubblico: non si possono sprecare risorse.
A Genova incontriamo le opere di Mansueto Raggio. Ci accolgono Gianfranco Vendemiati e Massimo Casiccia, dell’Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, un’associazione di volontari che ha istituito nel 1992 il Museattivo Claudio Costa, in cui sono raccolte centinaia di opere provenienti da vari atelier di attività espressive e da artisti di art brut, tra cui, appunto, Mansueto Raggio. Vediamo i suoi Pinocchi ricavati da rami e legni incontrati sulla strada, colti nell’atto di correre e di scappare, i cartoni strappati che, strato dopo strato, rivelano volti. Raggio era piccolo (così ci raccontano), con un naso bitorzoluto, parlava pochissimo e viaggiava accompagnandosi ad un totem di legno con il quale spesso lo si sentiva ragionare.
Nell’ospedale sono ancora ricoverati un’ottantina di pazienti. Li incontriamo per tre giorni al bar, nei cortili. Gli approcci sono timidi. Ci relazioniamo con loro ma non osiamo coinvolgerli. Alcuni sanno dello spettacolo. Qualcuno spera che si possa anche mangiare qualcosa. Fanno domande. Ma non ce la sentiamo di farli assistere, dovrebbero essere preparati, così come è avvenuto a Mombello. Bisognerebbe farlo in accordo con gli operatori.
La Passeggiata di Claudio Ascoli raccoglie una settantina di spettatori. Claudio racconta la storia dell’ex manicomio di Quarto e conduce il pubblico attraverso gli spazi della struttura.
La mattina successiva, il convegno Voci negate<, un titolo che prende spunto da Corrispondenza negata, un libro in cui sono pubblicate le lettere che il manicomio di Volterra intercettava e sequestrava, sia che fossero lettere scritte dai ricoverati, sia che fossero lettere a loro dirette.
Sono presenti diversi psichiatri, oltre al regista Giorgio Laveri, del gruppo Il giardino del Mago, esperimento di teatro e cinema dall’ex O.P. di Cogoleto. Marco Ercolani, psichiatra territoriale, ci legge alcune pagine di Anime strane e Sento le voci. Discorsi di matti, che raccolgono racconti e monologhi dei suoi pazienti. Sono scritti di una bellezza tutta speciale: il linguaggio è intriso di un manierismo ripetitivo, usa metafore libere e apre all’immaginabile. Vengono poi proiettati video di un’esperienza di teatro sociale, a cura del Giardino del Mago. Il gruppo, che collabora con il Coordinamento per Quarto, lavora alla realizzazione di cortometraggi: i pazienti non agiscono mai il ruolo di pazienti, che invece vengono interpretati da attori amatoriali e i temi scelti non sono legati alla materia psichiatrica. Il teatro sociale ha come obbiettivo il benessere del paziente e prescinde dalla questione estetica e il pubblico di riferimento è diverso da quello del teatro d’arte: familiari, operatori, altri pazienti, raramente un pubblico generico, ma perché escludere che i pazienti possano lavorare sulla loro condizione? Talvolta è persino terapeutico. Marco Ercolani racconta di un suo paziente che decise di scrivere e recitare uno spettacolo sulla sua vita. Lui dovette farne la regia: il paziente attore-autore e lo psichiatra regista. Ci lasciamo con una relazione di Roberto Boccalon, delI’Istituto di Psicoterapia Espressiva, Scuola di specializzazione in psicoterapia, che ci parla del rapporto stretto tra psichiatria e teatro: per la psichiatria il processo creativo è uno strumento utile per la comprensione stessa della follia.
“Spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto attorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente.”
(Carl Gustav Jung)
Gigi Gherzi ripropone Atlante della città fragile, il pubblico aggiunge pensieri a quelli scritti dal pubblico di Limbiate. Alla fine del tour sarà interessante fare una lettura di tutti i commenti raccolti nelle varie città.
Qualche ora dopo, lo spettacolo Mombello. Voci da dentro il manicomio, in un corridoio recentemente ristrutturato dell’ex manicomio. Lo spettacolo vede di nuovo il tutto esaurito. Il pubblico si lamenta un po’ della condizione faticosa: ci sono pochi posti, gli spettatori stanno molto stretti e parecchi finiscono per doversi sedere a terra. Alla fine dello spettacolo ritorna nei commenti un’espressione già sentita più volte: “Sembrava… reale”. Ci ragioniamo. Non c’è una ricostruzione fedele degli ambienti, la composizione delle azioni sovverte totalmente le unità di tempo e luogo, le azioni ( che qui hanno lo stesso ritmo, benché ognuna di loro abbia nella realtà ritmi molto diversi) vengono spezzate, interrotte, combinate in modo casuale… tuttavia l’aver scelto azioni quotidiane, seppure di una quotidianità speciale, quella manicomiale, evidentemente conferisce allo spettacolo un aspetto reale.
La nostra permanenza si chiude con un incontro dedicato al tema della raccolta di storie. L’intento è quello di creare anche a Genova un gruppo che si occupi di raccogliere memorie sull’ex manicomio. Sono presenti alcuni familiari. Ci viene in mente, che abbiamo raccolto poche storie da familiari? “Perché”, ci dice un familiare presente, “quando ci scontriamo con il dramma della follia, subiamo un momento distruttivo, al quale segue una lenta ri-costruzione. Ci vuole del tempo, ci si vergogna, ci si interroga sulle proprie responsabilità, la malattia viene vissuta come una deficienza di se stessi, come una tara genetica”. Affrontiamo nello stesso incontro anche la questione delle cartelle cliniche, unico documento ufficiale che racconta la storia clinica dei pazienti (ma spesso nelle cartelle sono conservate anche le loro lettere) e che permette anche di calcolare la presenza numerica dei ricoverati. Quelle di Limbiate sono state messe in sicurezza nell’ospedale di Garbagnate, ma dove sono le cartelle cliniche di Genova? Una parte sono conservate a Bortoli, in un magazzino della Provincia, ma un secondo gruppo sta vicino ad Alessandria, presso un’associazione che si occupa di archivi. Ci viene detto che l’ex manicomio ha un contenzioso aperto con la Corte dei conti perché l’appalto avrebbe dovuto essere fatto per un’associazione della Regione. Quando torneranno tutte le cartelle cliniche a Genova? Le cartelle sono materiale fragile, subiscono una facile usura. Quanto tempo passerà prima che vengano prese in esame? E qual è la normativa che stabilisce chi può accedervi? E questa normativa viene sempre rispettata?
Torniamo in camper nella notte, un bicchiere di vino e poi a letto, perché il giorno successivo si caricherà di nuovo il materiale. Il camper riparte per Reggio Emilia alla volta del Museo della psichiatria.
Km percorsi: 260
Numero spettatori presenti: 378
Tag: casematte (11), Teatro Periferico (20), teatro sociale e di comunità (97)
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