TransAmériques, l’identità di un festival. Con un’intervista al direttore Martin Faucher

Appunti di un giro del mondo teatrale

Pubblicato il 10/07/2015 / di / ateatro n. 155
Ceci n'est pas... (ph. Willem Popelier)

Ceci n’est pas… (ph. Willem Popelier)

Martin Faucher, direttore dal 2015 di FTA, il Festival TransAmériques di Montréal (teatro e danza dal Canada – ma in particolare dal Québec – e dal mondo), ha scelto come chiave di lettura del suo primo programma una frase di Antonin Artaud:

(ph. Sandrick Mathurin)

(ph. Sandrick Mathurin)

Un artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l’artista che ignora d’essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell’epoca per scaricarla del suo malessere psicologico, non è un artista.

Le precedenti edizioni, otto nell’attuale denominazione e forma (ma dal 1985 esistevano due appuntamenti separati per teatro e danza), dirette da Marie-Hélène Falcon, hanno dato al festival un’identità forte nel panorama internazionale, orientata alla ricerca contemporanea più avanzata, con grande attenzione anche al teatro italiano (Societas Raffaello Sanzio, Pippo Delbono, Danio Manfredini, i Motus). FTA conferma il suo interesse per la nostra scena. Martin Foucher vedrà alcuni spettacoli italiani al prossimo Festival d’Automne a Parigi e prevede di girare molto, rinunciando ad altre attività professionali, almeno per i primi due anni di mandato… e altri inviti dall’Italia non gli mancheranno di sicuro!
Faucher – attore, autore, regista, 52 anni, già collaboratore della Falcon – prosegue nella linea del festival, sbilanciandola verso un teatro consapevolmente politico. Funzione politica, contemporaneità, ma anche ricerca della bellezza sono i tre punti chiave della sua visione del teatro (e del festival).

Ceci n'est pas... (ph. Willem Popelier)

Ceci n’est pas… (ph. Willem Popelier)

Come si attua questa visione? L’attuale linea del festival si discosta dal passato?

In una continuità sostanziale, il programma ha presentato spettacoli in cui i confini fra arte e vita si confondono: questo è forse il segno più forte di questa edizione, a partire dallo spettacolo straniero di apertura con le trascinanti nonne coreane di Dancing Grandmothers.
E forse, più che in passato, si è dato spazio a forme di rappresentazione contaminate o anomale: come la lettura integrale dell’opera di Artaud (di Cristian Lapointe, Montréal), o le 10 brevi performance-provocazioni di Questo non è… di Dreis Verhoeven (NL). E spettacoli nati da laboratori nelle e sulle condizioni delle periferie di Montréal, work in progress di drammaturgia, e ancora cinema-teatro, letteratura e poesia. Forme aperte, interessanti per il processo di ricerca anche indipendentemente dai risultati, anche se rientrano in questa linea alcuni degli spettacoli più apprezzati dal pubblico, come By Heart di Tiago Rodriguez (PL).

Alla ricerca di collegamenti anche tematici fra gli spettacoli, mi è sembrato che un tema ricorrente fosse quello dell’”identità”, così caro ai canadesi del Québec.

L’individuazione di percorsi interni e i possibili collegamenti critici o tematici è stata lasciata al pubblico, e affidata agli incontri (previsti per tutti gli spettacoli) e ai diversi spazi di dialogo, che hanno visto una partecipazione molto attiva. Effettivamente il tema dell’identità ricorre in molti spettacoli, ma esplorato sul piano individuale (e spesso al femminile) e della “nuova” identità di una città in grande trasformazione come Montréal. L’attenzione all’identità francofona si concretizza nel sostegno alla scena di lingua francese.

What happened to the Seeker? (ph. Paul Mezei)

What happened to the Seeker? (ph. Paul Mezei)

In cosa consiste il ruolo del festival per la scena del Québec e come si attua.

Nel sostenere la creazione attraverso la coproduzione, condividere il rischio anche orientandosi (come già con le dieci coproduzioni di quest’anno, tutte nazionali: Tout Artaud, Solitudes duo, What happened to the Seeker?, Mur mur, Phos, Docteur B., Hyperterrestres, Plaza, Polyglotte e La chambre anéchoïque) su progetti che propongono nuovi linguaggi, forme singolari e anomale, che trovano difficilmente sostegni adeguati. In questo il festival può svolgere un ruolo importante in questa fase di “austerità” del paese, in cui – anche se i modesti finanziamenti al teatro non sono stati tagliati, o meglio non hanno osato tagliarli – le difficoltà economiche per le compagnie sono molto pesanti. Si potrà forse andare oltre la coproduzione, con attività che si sviluppino anche nel corso dell’anno (residenze concordate con i teatri, per esempio), e una maggiore attenzione al complesso del territorio regionale. Sul piano cittadino, già quest’anno l’area operativa del festival si è allargata più che in passato ai teatri in periferia.

Plaza (ph. Jeremie Battaglia)

Plaza (ph. Jeremie Battaglia)

E’ una tendenza – una trasformazione – che ha riguardato negli ultimi anni anche altri festival orientati alla scena contemporanea. E’ già possibile individuare prospettive, collegamenti a livello internazionale per i suoi quattro anni di mandato?

I festival possono essere punti di riferimento per sostenere il rinnovamento. FTA è naturalmente interessato a forme di partenariato internazionale, anche coproduzioni, compatibilmente col budget. Naturalmente è molto importante – visti anche i costi di trasporto verso il Canada – il sostegno degli Istituti di cultura e dei governi. Negli anni FTA ha individuato una particolare affinità con il Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, ma naturalmente altri collegamenti potranno svilupparsi.

Dancing Grandmothers (ph. Youngmo Choe)

Dancing Grandmothers (ph. Youngmo Choe)

I numeri del festival

Personale
impegnato nel corso dell’anno: 12 elementi.
impegnato durante il festival, edizione 2015: 30 in ufficio, 50 tecnici, 35 volontari, per un totale di 115 persone.
Budget: 3 milioni di dollari canadesi (2.173.000 €), dettagli non disponibili
Durata: 15 giorni (dal 21 maggio al 4 giugno)
Spettacoli: 25 di cui 9 coproduzioni, con un totale di 93 rappresentazioni.
Presenze: 44.604 spettatori.
Tasso di occupazione delle sale: 94 %, 13 spettacoli su 22 presentati in teatro hanno registrato il tutto esaurito.
Paesi di provenienza: 9 (Germania, Belgio, Canada, Corea del Sud, StatI Uniti, Francia, Israele, Paesi Bassi, Portogallo) 

Artisti partecipanti: 270 provenienti da 20 paesi

Direttore generale e direttore amministrativo: David Lavoie
Codirettore generale e direttore artistico: Martin Faucher.

Solitude Duos (ph. Denis Farley)

Solitude Duos (ph. Denis Farley)

Gli spettacoli
Con lo stesso criterio aperto che ha mescolato forme di spettacolo tradizionali e anomale, il festival affianca personalità e compagnie straniere e locali note o da poco emerse. Alla scoperta della scena del Québec e alla ricerca dei fili conduttori del festival, ho fatto inizialmente fatica a orientarmi nel programma, poi ne ho colto e apprezzato l’apertura, la curiosità, la scelta di non applicare gerarchie di valore alle diverse forme (limitandosi a indicare il genere (quasi sempre più generi: teatro + danza + performance + cinema..), e di ascoltare il pubblico, giovane e molto numeroso, negli incontri dopo gli spettacoli e presso il quartier generale del festival.

Dancing Grandmothers (ph. Youngmo Choe)

Dancing Grandmothers (ph. Youngmo Choe)

Ho seguito il festival nella settimana centrale, perdendomi qualche proposta come Dancing Grandmothers o il Tartufo di Molière della Schaubühne di Berlino con la regia di Michael Thalheimer, ma anche la lettura dell’opera di Artaud (anche perché è terminata parecchie ore prima del previsto!) e, -dovendo scegliere, ho privilegiato fra le proposte canadesi, quelle indicate (anche) come “teatro”.
Tre spettacoli canadesi mi hanno colpito per affinità: la firma femminile e il tema della ricerca di sé, affrontato con forme molto diverse.
Tu iras la chercher è un monologo che definirei « tradizionale », se non fosse ripetuto due volte, con variazioni di tono e di ritmo.
Un flusso di coscienza alla Virginia Woolf (e con molti altri precedenti letterari con cui fare i conti), in cui la protagonista, priva di connotazioni sociali o generazionali, racconta un viaggio immaginario all’inseguimento del proprio “doppio” (una proiezione di sé, un’aspirazione). Lo spettacolo ha associato nella creazione “una delle voci maggiori della drammaturgia del Québec”, Guillaume Corbeil, con “una delle teste pensanti” (riprendo dal programma di sala), regista ma anche attrice e direttrice di teatro, Sophie Cadieux. Questo incontro è la motivazione principale della coproduzione da parte del FTA. Quello che ho apprezzato di più nello spettacolo però è l’interpretazione di Marie-France Lambert.

Mur mur (ph. David Ospina)

Mur mur (ph. David Ospina)

Mur mur è la prima tappa della residenza drammaturgica di Evelyne de la Chenelière presso Espace Go. Si annunciava come una lettura ma è stato qualcosa di più, e di diverso e curioso.

Mur mur (ph. David Ospina)

Mur mur (ph. David Ospina)

L’autrice sta scrivendo su un muro del teatro (il titolo suggerisce mormorii e muri): la sua ricerca riguarda assieme la parola, la scrittura (la grafia contribuisce al “senso”), l’intervento sullo spazio teatrale e il coinvolgimento del pubblico, che con quel muro del foyer è chiamato a rapportarsi. Cinque attori riprendono lo stesso testo, offrendo tonalità diverse a una riflessione-racconto breve sul tema del proprio passato e del desiderio di reiventarlo, di modificare la propria storia personale.
What happened to the Seeker? sul piano dei contenuti è una presa di posizione (un po’ arrogante) di Nadia Ross – autrice, regista, attrice, produttrice – su quelli che negli anni Sessanta andavano a cercare se stessi in India, presso un guru.

Sul piano formale è un percorso in tre parti e forme (col pubblico diviso in gruppi): un’installazione interattiva in cui gli spettatori si misurano con la scelta, la storia (video), gli oggetti del “seeker”, un delizioso film di animazione, infine un brevissimo finale (dal vivo).
Altre due proposte affrontano il tema della trasformazione della città di Montréal per la presenza crescente di nuovi cittadini da diverse parti del mondo.

Plaza (ph. Jeremie Battaglia)

Plaza (ph. Jeremie Battaglia)

Plaza di Nini Bélanger e Project Mû prende il titolo dal centro commerciale di periferia, decisamente a buon mercato, dove si svolge. E’ un non-spettacolo, una provocazione al pubblico, convocato in un luogo piuttosto distante dal centro e dove molto probabilmente non è mai stato. Lo spettatore – moderatamente orientato da qualche cartello e da un video – è invitato a girare e osservare i diversi punti di vendita e di lavoro, i clienti e chi ci lavora (gli uni e gli altri, quasi tutti immigrati asiatici). Non succede niente: gli spettatori un po’ vagano, un po’ aspettano, sembrano trovare un ritmo collettivo, infine si disperdono. Poteva essere molto di più, ma è stato comunque suggestivo. Più che sul cambiamento della popolazione e il carattere impermeabile delle classi sociali nelle aree metropolitane, Plaza porta a riflettere su queste nuove “piazze” che non hanno più molto in comune con quelle antiche, nate per comunicare, oltre che per vendere e comprare.

Polyglotte (ph. Olivier Choiniere)

Polyglotte (ph. Olivier Choiniere)

Lo stesso panorama metropolitano caratterizza i lavoro di Olivier Choinière e della compagnia L’Activité con Polyglotte. Il regista-autore (con un curriculum molto interessante sul piano della ricerca di nuove forme) e il suo gruppo si sono stabiliti in un teatro in periferia e hanno sentito la necessità di misurarsi in concreto con i vicini di casa. Lo spettacolo nasce da un laboratorio con nuovi immigrati, ciascuno racconta la propria storia inserendola in una partitura collettiva : un esame di cittadinanza (come si diventa buoni canadesi), che prende spunto dai manuali di conversazione degli anni Sessanta (esilaranti).
Fra gli spettacoli stranieri che ho visto, alcuni erano molto coerenti con la linea di Faucher.
Tauberbach di Alain Platel e della sua compagnia, Les Ballets C de l B: «un inno alla bellezza, quella che turba o quella che troppo spesso si ignora … un’umanità dolce, l’esclusione e la differenza» (dal programma di sala). Punto di partenza sono la storia vera di una donna brasiliana schizofrenica che sceglie di vivere in una discarica di Rio (e il documentario che ha girato su di lei Marco Prado), e la musica di Bach, eseguita da un coro di sordi. Lo spettacolo è stato a Torino Danza nel 2014. Se sono previste altre repliche in Italia, non perdetelo.

5_byheart_paris03-rmagda_bizarro

By heart del portoghese Tiago Rodrigues: “a memoria” in francese e in inglese si dice “col cuore”, e questo strano non-spettacolo è davvero fatto col cuore : un atto d’amore per la letteratura, l’apprendimento e la trasmissione orale.

By Heart (ph. Magda Bizarro)

By Heart (ph. Magda Bizarro)

I riferimenti letterari e critici sono innumerevoli (Fahrenheit 451, Pasternak e soprattutto una conferenza di George Steiner sul valore dell’apprendimento “par coeur”), ma il punto di partenza è la nonna dell’autore, grande lettrice, che sta diventando cieca e chiede al nipote di scegliere per lei un libro da imparare a memoria. La scelta cade sui Sonetti di Shakespeare, e un gruppo di spettatori è chiamato in scena per imparare a memoria, il bellissimo Sonetto 30. Tiago Rodrigues dirige e commenta (in francese) leggero e allo stesso tempo profondo, un po’ goffo e molto simpatico.

Sul piano della ricerca di nuove forme e contaminazioni fra i generi ha sconcertato il pubblico (ma i festival servono a questo), Eternal di Daniel Fish (New York). Il tema che sta a cuore all’autore è il rapporto di coppia. Lo spettacolo consiste in un dialogo filmato di alcuni minuti ripetuto in tutte le possibili sfumature per due ore: due schermi distinti e affiancati, primo piano dell’uomo e della donna. Recriminazioni, cattiverie e fugaci gentilezze ripetuti nel chiuso di una stanza, o forse davanti a uno psicanalista, o un avvocato, comunque a un pubblico un po’ voyeur. Molto Bergman e un po’ Cassavetes, piuttosto banale il testo, eccezionali gli attori: Christina Rouner e Thomas Jay Ryan (sono rimasta fino alla fine – molti sono usciti – solo per godermi le variazioni).

7_ceci_nest_pas._cr_tap_img_7254

Anche Ceci n’est pas… dell’olandese Dries Verhoeven è una sfida al pubblico, sul piano della forma e dei contenuti. Dieci giorni, dieci provocazioni di pochi minuti, ripetute per alcune ore (ancora la ripetizione!), tableaux vivants collocati in una gabbia di vetro nel cuore della città. I temi erano “Questo non è…” l’amore, il futuro, la nostra paura. “Questo non sono io…” Passanti un po’ divertiti, un po’ sconcertati, qualche polemica. Efficace anche in i video del FTA.
La prossima edizione del festival, la decima, si terrà tra il 26 maggio e il 9 giugno 2016.
In parallelo al FTA, ma del tutto indipendente, si svolge a Montréal un fringe festival. E’ qui che si possono vedere i gruppi più giovani, e anche qualche gruppo straniero. Non sono riuscita a seguirlo, ma sul piano organizzativo è interessante segnalare il coordinamento dei numerosi appuntamenti fringe: le date non si sovrappongono e questo consente alle compagnie di organizzare tournée.

La scena dei festival canadesi

FTA non è un caso isolato. In Canada c’è un numero incalcolabile di festival: quelli più affini al FTA sono il Carrefour International de Théâtre a Québec, Push a Vancouver e Luminato a Toronto. Fra i più tradizionali, il festival dedicato a George Bernhard Shaw a Niagara on the Lake e il festival shakesperariano di Stratford (bus andata e ritorno da Toronto).
In Canada è nato e ha sede anche il celeberrimo Cirque du Soleil, che spicca sulla copertina del pieghevole turistico della regione della Mauricie. Ma qui nessuno sa della lunga permanenza milanese all’Expo, che del resto non viene neppure citata nel calendario pubblicato sul sito ufficiale della compagnia (peccato: perché chi segue il Cirque va a vedere sul sito dove può raggiungerlo).
Di passaggio da Ottawa mi imbatto invece in uno spettacolo di Robert Lépage, Les Aiguilles et l’Opium (Gli aghi e l’oppio), una nuova edizione di un’opera dei primi anni Novanta (prodotta anche ibn una edizione italiana): un “monologo affollato”, come dice l’autore (in scena c’è un solo protagonista – il bravissimo Marc Labrèche – ma per i ringraziamenti arrivano dieci persone). Il tema è la dipendenza (dall’oppio o dall’amore), e il testo incrocia le vicende biografiche parallele di Jean Cocteau (fra New York a Parigi), Miles Davis (fra Parigi e New York) e un canadese dal cuore spezzato, in fuga a Parigi. Tanto per il tema che per l’equilibrio instabile che caratterizza lo spazio scenico (un magico cubo mobile, splendidamente illuminato), sono già presenti temi e terreni di ricerca delle opere successive.

Per approfondire:
Robert Lepage nella ateatropedia.

Il dossier Canada su Hystrio 1/2007.




Tag: Antonin Artaud (16), festival (52), RodriguezTiago (2)


Scrivi un commento