La scena di Buenos Aires

Appunti di un giro del mondo teatrale

Pubblicato il 21/06/2015 / di / ateatro n. 155

Pensavo che facendo base in uno dei quartieri più teatrali della città (Almagro), in otto giorni di overdose mi sarei fatta un’idea generale del teatro a Buenos Aires. Ovviamente mi sbagliavo: le sale ufficiali sono 14, quelle di teatro commerciale 22 e ben 156 quelle di teatro indipendente (mi immagino che questo numero comporti oscillazioni che dipendono da natalità e mortalità). Nel corso dell’anno si rappresentano circa 400 spettacoli (Milano in questo la batte, ma per via delle teniture brevi).

Javier Daulte,  La felicidad

Javier Daulte, La felicidad

Una delle differenze fra gli usi argentini e italiani sta nel fatto che le rappresentazioni si concentrano nel fine settimana (a partire dal venerdì, in qualche sala dal giovedì), con orari differenziati ma non facili da combinare. Questi fine settimana lunghi non dipendono solo da considerazioni sulle abitudini del pubblico, ma anche dal fatto che gli attori fanno quasi tutti altri lavori. Non c’è niente da vedere o quasi fra lunedì e mercoledì, e ancora meno nel corso del mio soggiorno a Buenos Aires per la coincidenza con la festa nazionale del Día de la Memoria por la Verdad y la Justicia, che cade martedì 24 marzo (vedi il blog mimmagl.wordpress.com). La ricorrenza non è infatti un’occasione per spettacoli sul tema – come pensavo – ma l’occasione per un ponte lungo, per stare con le famiglie, andare nei parchi, e già dal we precedente gli spettacoli si sono diradati.
Ricavo il numero delle sale, e soprattutto informazioni e chiavi di lettura, dal saggio di Cynthia Edul I racconti nati dalla recitazione. L’attore al centro della finzione. Uno sguardo sulla recitazione nell’Argentina di oggi (“Acting Archives”, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”).

La omisión de la Familia Coleman

La omisión de la Familia Coleman

La Edul, che dirige a Buenos Aires il festival Panorama Sur, descrive le tendenze, le personalità di riferimento, le istituzioni che hanno caratterizzato il teatro argentino alla luce della storia del paese, precedente e successiva alla dittatura militare (1976-79) che ha rappresentato per la cultura argentina non solo un trauma, ma una fase di stallo e arretramento. Un grande fermento caratterizza invece gli anni Ottanta ed è all’origine della vitalità attuale, che la politica neoliberista degli anni Novanta non ha represso. Anzi, forse ha indirettamente favorito: nell’intervista recentemente pubblicata da ateatro, Rafael Spregelburd collega il dinamismo e la libertà del teatro argentino all’assenza (o quasi) di finanziamenti e ai modi di produzione che ne derivano. Come Spregelburd, anche la Edul identifica la principale caratteristica della scena di Buenos Aires nel primato dell’attore, e nel metodo di lavoro di autori-registi che partono dalle pratiche di palcoscenico, dal lavoro con e degli attori: l’Argentina insomma non ha avuto e non ha i registi un po’ tiranni all’europea, anche se non mancano certo organizzazioni, spettacoli e maestri di riferimento dell’ultima generazione, come Alberto Ure, Ricardo Bartís, Alejandro Catalán, Eduardo Pavlowsky.

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Alla luce di questa riflessione rivedo con piacere Il caso della famiglia Coleman di Claudio Tolcachir e della sua compagnia Timbre4, uno spettacolo del 2005, da dieci anni in repertorio, rappresentato in ben 30 paesi del mondo (in Italia a Milano al Piccolo Teatro e a Genova al Teatro della Corte, io l’ho visto nel 2008 al Festival di Dublino).
E’ la storia tragicomica di una famiglia sgangherata, tre generazioni che si amano e si odiano, solitudini, egoismi, crudeltà, affetto nello spazio condiviso di una casa rifugio-prigione. La forza dello spettacolo sta anche nei formidabili attori formidabili, nei personaggi tutti un po’ pazzi e teneri e nelle relazioni che si creano tra di loro.

La omisión de la Familia Coleman

La omisión de la Familia Coleman

Con il tempo lo spettacolo non ha perso la sua efficacia: i Coleman conquistano la complicità degli spettatori anche in un teatro dove recitano per la prima volta, il Compesso La Plaza, una multisala che mescola generi e tendenze molto diversi (almeno questo si deduce dal cartellone e dai manifesti), con un pubblico borghese e curioso (anche a causa dei prezzi, alti per la media cittadina). Lo spettacolo regge diversi pubblici, ma forse non reggerebbe un altro cast, se non come punto di partenza per un lavoro lungo di improvvisazione e drammaturgia con una compagnia affiatata.

Emilia

E’ il metodo che Tolcachir ha proposto anche in un Tolcachir in seminario alla Biennale di Venezia (vedi anche l’intervista di Guiada Russo a Claudio Tolcachir), e che ritorna nell’ultimo spettacolo, rappresentato anche in Italia, Emilia, dove torna il tema della famiglia, assai frequentato nel teatro argentino: non si tratta naturalmente di famiglie “normali”, ma di famiglie improbabili, con ruoli incerti e identità confuse, che ricordano l’immaginario di Copi (Buenos Aires 1939-Parigi 1987), argentino trapiantato a Parigi: il grande autore e fumettista, oltre che attore, ha anticipato per temi, stile, gusto, versatilità questa generazione (che certo non è altrettanto trasgressiva).

Javier Daulte, La felicidad

Javier Daulte, La felicidad

Anche a Mendoza si replica uno spettacolo sulla famiglia con qualche tratto alla Copi, La Felicità di Javier Daulte, selezionato dal comune dopo un bando pubblico (anche in Argentina…!).
Vedo il lavoro nel bello spazio municipale polivalente Nave Cultural, lo dirige un regista del luogo molto apprezzato, Ariel Blasco.
Una coppia di genitori, morbosamente attaccati alla figlia (Rosa) e ossessionati dalla sua felicità, con l’aiuto di un cameriere-robot rapisce, narcotizza e manipola il cervello del ragazzo di cui Rosa è innamorata.
Per trattenerlo in casa i due si inventano un finto di colpo di stato e la conseguente resistenza.
Insomma, la famiglia è un posto pericoloso! E’ una commedia brillante, di impianto narrativo convenzionale, ma ben recitata e molto divertente.
Storie di famiglia anche per lo spettacolo Un infinito silenzio del Teatro Cieco, che dispone di una propria piccola sala e nella stessa sera propone anche una cena al buio: non un lavoro collegato alla cecità come disabilità, ma una ricerca sulla percezione: lo spettacoli si svolge al buio (come negli spettacoli del Lemming), ma non è molto di più che un’esercitazione di attori (vedenti e acerbi) per spettatori (disponibili).
Mi sarebbe piaciuto entrare in contatto con qualche teatro di comunità e di quartiere, un’altra particolarità, una componente vivace del teatro argentino (ne ha scritto su ateatro Giada Russo, e un suo saggio fra l’altro è inserito nel libro El movimento Teatral Comuitario Argentino. Reflexiones acerca de la experiencia en la ùltima decada (2001-2011), a cura di Romina Sanachez Salinas), ma sarebbero stati necessari tempi più lunghi.

Clac!

Una scoperta davvero piacevole è uno spettacolo per ragazzi pluripremiato nel 2014, Clac! Una obra de película (Ciac! Un’opera dedicata al cinema).
I protagonisti sono un regista che ricorda quelli degli esordi del cinema muto, un alieno-clown, una primattrice e un primattore. In una serie di scene e gag raccontano a grandi tappe la storia del cinema: la stessa storia d’amore si ripete prima muta, poi parlata, poi doppiata, poi montata….

Clac!

Clac!

Vedo lo spettacolo di Virginia Kaufmann, Cecilia Miserere (anche regista) e Martin Palladino (anche in scena) nel corso di una replica per famiglie del sabato pomeriggio, in uno spazio gradevole (e giusto per piccoli spettatori) della multisala polivalente Centro Cultural de la Cooperación, nella centralissima via Corrientes, dove si trova anche il Plaza: è la Broadway porteña. Lo spazio è molto articolato e attrezzato, con un’attività intensa, book shop e caffetteria, una zona di ospitalità, molto impegnato sul versante sociale (sulla linea della cooperazione) e dell’approfondimento culturale, connotato anche da iniziative di formazione del pubblico.

Nicanor Parra (foto Ernesto Donegana)

Nicanor Parra (foto Ernesto Donegana)

In una delle sale del Centro Cultural de la Cooperación si replica Patricio Contreras dice Nicanor Parra. Come Spam di Spregelburd, è “monologo affollato” (prendo in prestito la definizione da un’intervista a Robert Lepage), e sono interessanti anche la forma e i modi di produzione, particolarmente curati. Oltretutto nel recente soggiorno in Cile il fantasma di Neruda è stato una presenza costante e quasi eccessiva: un po’ troppo “vate” e decisamente esibizionista. Per fortuna nella poesia cilena c’è una corrente “anti-Neruda”, incarnata da Nicanor Parra, 101 anni, fratello della star Violeta, oltre che poeta, fisico e matematico. C’è chi lo considera il maggior poeta vivente di lingua spagnola (in italiano le sue Antipoesie sono pubblicate da Einaudi).
Patricio Contreras – attore molto dotato e autorevole – “dice” Nicanor, ovvero gli presta volto e voce: è ora deciso e polemico, ora ironico, e tenero nel ricordo della sorella morta suicida. Fra le poesie reperibili in italiano in rete e “dette” nello spettacolo, il questionario-manifesto Test (1968) e La poesia con me ha chiuso (1962), esempi efficaci di antiretorica.
Secondo gli autori dello spettacolo (anche in questo caso la locandina sottolinea l’équipe: oltre a Patricio Contreras, Diego Penelas, musicista, presente in scena, e Alejandro Tantanian, che cura regia, spazio scenico, luci ed è anche in scena come cantate), la poesia, e in particolare questa poesia, ha bisogno di essere detta, ascoltata, di uscire dalla pagina. Ma la poesia è anche musica, e la musica è una componente necessaria dello spettacolo: la voce umana diventa canto quando l’emozione chiude la gola e la parola disperata diventa canzone. Quando nella poesia prevalgono ironia e leggerezza, o quando la parola diventa decisamente politica, l’”assolo” di Contreras trova un efficace contrappunto nella presenza quasi giocosa di un coro composto dai tre giovani attori. Tartanian è assai noto nel teatro argentino e a livello internazionale, come attore, regista, autore, perfino cantante (come in questo caso): è un altro esempio interessante della versatilità dei teatranti argentini. La cura artistica e tecnica è riconducibile anche a questo multiforme ingegno, ma tutte le componenti del lavoro rispondono a una precisa ragione drammaturgica.

Clac!

Clac!




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