Giacomo Cuticchio: una sana semenza

Requiem per le vittime di mafia tra teatro e musica

Pubblicato il 17/05/2015 / di / ateatro n. 154

Giacomo Cuticchio ri-cerca il suono dei venti, come dichiara in apertura delle sue esibizioni musicali.
Ma nel caso del trentenne Cuticchio possiamo parlare anche di teatro nella sua etimologia più arcaica, quella legata al vedere, alla percezione sensoriale e alla fascinazione che da essa ne trae chi sia predisposto alla catarsi in senso aristotelico, un privilegiato e sensibile spettatore.
Il compositore è figlio d’arte ed è in scena con le sue musiche al Teatro Biondo di Palermo, per la Clitennestra scritta e diretta da Vincenzo Pirrotta, con Anna Bonaiuto. Clitennestra Millenium è stato composto ed eseguito da Giacomo Cuticchio e rievoca atmosfere già note a chi, in prossimità del nuovo anno, condivideva lo scorso dicembre un coraggioso concerto nel gelido Teatro Garibaldi di Palermo. In questa prossimità liminare, come il teatro è, ci veniva raccontata la genesi di una composizione, attraversando una insolita innevata Sicilia. È con la primavera che prende vita la narrazione per la scena.
Pirrotta si è formato stando a bottega da Mimmo Cuticchio; con quest’ultimo ha preso parte a spettacoli dopo averlo conosciuto durante gli anni frequentati all’INDA, la scuola del dramma antico di Siracusa, nella quale ha insegnato per qualche tempo anche Cuticchio. Dopo averlo scelto come maestro, Pirrotta decide di assecondare una sua personale poetica. Di recente è uscito Guasta semenza per i tipi di Mesogea. Il romanzo scritto da Pirrotta è dedicato idealmente a Vincenzo Consolo, il primissimo lettore di questo violento e orrorifico racconto. L’apocalittica storia di un carrettiere è scandita da molti riferimenti al mondo dei pupari e al cunto, la ciclica ricorrenza a sentenze dialettali in rima è d’altro canto presente anche nei testi teatrali di cui è autore, tra tutti Malaluna è quello a cui più ci sembra sia vicino. Sebbene talvolta si renda necessaria una interpretazione sommaria di parole strettamente legate alla forma vernacolare prediletta dall’autore, sebbene un glossario potrebbe agevolare la lettura in taluni punti, in tali altri e nella maggior parte del testo non viene negata, a chi legge, la possibilità di immergersi in un incubo grottesco e degenerato. Il frutto del cappero con la sua metaforica forma di cuore è presenza persistente e femminea e reca in sé una salvezza presunta, fino alla fine, ma certamente portatrice di questo seme corrotto e perverso, anticipato nel titolo e “portato a spasso nell’afa dell’inferno” tra le pagine del libro.
È differente da quella di Pirrotta la semenza innestata nella musica di Giacomo Cuticchio, eppure con lui ha in comune la discendenza d’area mediterranea e palermitana. Ciò che maggiormente colpisce nel teatro sonoro di Cuticchio è la dimensione di una latente positività, sebbene talvolta inserita in celebrazioni spettacolari tutt’altro che serene. C’è un Requiem per le vittime di mafia realizzato da Giacomo Cuticchio per il ventennale delle stragi legate ai nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e dal suo ensemble, che troviamo essere particolarmente significativo e di un’attualità sconcertante (certo strano aggettivo per descrivere una esecuzione musicale!). Il precedente Requiem, eseguito da Sollima nel 1993 nella cattedrale di Palermo, non possiamo raccontarlo con la stessa autenticità che invece quello di Cuticchio ci ispira, per una comune sensibilità anche anagrafica, questo lo abbiamo visto e ascoltato da adulti, per questo sentiamo necessaria la responsabilità di raccontarlo.

“Tuttavia le stragi di mafia – ci ricorda un artista siciliano oprante-puparo e compositore che vive oggi a Palermo dove della mafia si tace – non cominciano con Falcone e Borsellino ma forse con loro finiscono e poi cambia tutto”. La suite intitolata Falcone e Borsellino è introdotta da un cunto del 1982 di Mimmo Cuticchio e racconta l’uccisione del generale Dalla Chiesa e introduce il primo brano. Esso presenta delle note che si stagliano come rigide stalattiti, decise affondano l’aria come una voce afona che vorrebbe esplodere e urlare ma che rimane sospesa nel silenzio di un incredibile Cabaret 800 da Carmelo Bene (Vendittelli 2015), ma con le ragioni politiche di uno spettacolo-manifesto come Mysteries del Living Theatre. E non sarà forse un caso che il regista Jonas Mekas abbia voluto le musiche di Philip Glass per il suo lavoro sul Living che raccoglie gli anni dal 1966 al 2001, con l’omonimo titolo dello spettacolo. Glass è indubbiamente un importante riferimento musicale per Cuticchio e lo si avverte mentre le dita del compositore passeggiano decise sui tasti del piano.
II secondo tempo musicale si apre con la voce di Falcone e si spalanca a commossa speranza, pur sempre intrisa di sommesso tedio per esplodere nel terzo periodo musicale un fragore mimetico, in cui sembra sentire un fragore colmo di disperazione. A sottolineare il rigore celebrativo contribuiscono il corno di Mauro Vivona e i fiati di Nicola Mogavero. Le corde di Francesco Biscari e Alessio Pianelli ai violoncelli sottolineano la vivacità di una meditazione in note, rinvigorite da un compositore definito “minimalista mediterraneo”. Eppure ci sembra ricco e vigoroso questo corteo che ricorda attraverso le parole di Borsellino che “credere nell’umanità è un dovere”. Soprattutto ci sembra che oggi, attraverso il teatro si debba ricordare che la lotta alla mafia è “un movimento culturale e morale” che può abituare tutti “a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità”.




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InformazioniVincenza Di Vita

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