Speciale archivi. La tradizione dell’Opera dei pupi come risorsa
Per un archivio dei Fratelli Napoli
Nella storia dello spettacolo teatrale il documento costituisce l’opera, o, se vogliamo, costituisce quell’oggetto mentale che ci permetterà di parlare di teatro o di spettacolo. Se poi ricordiamo come il teatro non è mai fatto soltanto di spettacoli ma anche di «modi di operare» che esistono nella ‘durata’ di chi lo fa e degli spettatori, risulta chiaro quanto l’estensione del termine ‘documento’ abbia contribuito alla legittimazione di una prassi di ricerca rivoltasi alla ricognizione del cosiddetto teatro materiale.
In Sicilia la trasmissione dei saperi è stata il risultato di una costante interferenza tra modelli antichi e moderni. La tradizione, che si presuppone essere anche conservazione, manifesta, invece, una singolare capacità di variazione e consente un ampio margine di manovra a coloro che la “agiscono”. In realtà non è il passato che produce il presente, ma il presente che modella il suo passato. Le pratiche culturali locali non sono quindi il lascito di un’epoca conclusa, ma sono essenza del cambiamento in un contesto di innovazione. Di questa intricata vicenda socio-culturale lo spettacolo dell’Opera dei pupi è testimonianza diretta appartenendo a quel tipo di pratiche educative che warburghianamente possiamo definire come «la sopravvivenza dell’antichità nella modernità». Gli studi di settore manifestano un nuovo e vitale interesse nei confronti del teatro di figura e il riconoscimento UNESCO del 2001 ha consentito di avviare su questo argomento un’analisi sia di tipo diacronico che sincronico e di approfondire, attraverso gli attori sociali coinvolti, i processi di istituzionalizzazione e di oggettivazione della cultura e di collegarli anche all’uso del teatro all’interno del vasto mondo della cultura siciliana.
L’Opera dei pupi, l’originale declinazione del teatro di marionette, è un’arte collocatasi nella storia della cultura popolare mediterranea a seguito di un concorso di eventi diversi. A Catania nel 1921, quando l’opira î pupi era una pratica teatrale diffusa, don Gaetano Napoli apre il suo primo teatrino, il Teatro Etna; da allora i Napoli rappresentano a Catania la sola famiglia di pupari di antica tradizione che senza essersi disfatta del proprio patrimonio si è mantenuta attiva sino ad oggi spiccando per rilievo artistico, complessità di mestiere e impegno impresariale (1). In Sicilia quest’arte ha avuto una fioritura legata alle canzoni di gesta in una prospettiva religiosa (Orlando viene quasi santificato sul campo) e con una coda popolaresca destinata a sottolineare gli aspetti buffi della vita quotidiana (Peppininu ne è un esempio efficacissimo).
C’è stata nell’Ottocento una virata verso la classicità e il patriottismo risorgimentale e c’è tuttora, grazie ai Fratelli Napoli, l’immersione dell’opera dei pupi nel teatro degli umani. Da Opera dei pupi si passa a Teatro coi pupi e le marionette usano il linguaggio teatrale. Fra i pupari odierni sono prevalsi gli eredi degli artigiani (e Gaetano Napoli era un grande artigiano) e i Napoli continuano a prospettare più vie di continuità rinnovata: il loro è un teatro antico e sempre nuovo, un teatro in viaggio tra mito e presente.
I documenti custoditi presso l’archivio (2) ci parlano di innovazioni strutturali (come la costruzione di pupi più piccoli e più maneggevoli, ridotti a 80 centimetri di altezza, ma identici a quelli tradizionali (3)), di nuove idee (le “attività viaggianti”) e di rivoluzioni (l’accantonamento della recitazione a braccio e la creazione di testi scritti, talvolta su soggetti diversi da quelli cavallereschi). Documenti capaci di formulare un racconto attraverso la combinazione di differenti artefatti e frammenti di materiali culturali in un coerente percorso narrativo: un centinaio di pupi (200 quelli di piccole dimensioni), quasi altrettante teste di ricambio, busti di maschi e femmine, armature e vestimenta, fondali, cartelloni, cieli e frontespizi di cui si dotano gli opranti e che oggi costituiscono l’arsenale dei Napoli.
Una realtà catanese che ha avuto il merito di aver originato due importanti filoni di artigianato pittorico: quello delle scene, i fondali in tela usati per gli spettacoli, e quello dei cartelli (sono più di 400 quelli che ancora oggi si conservano), i manifesti pubblicitari su carta da imballaggio affissi ogni sera per reclamizzare lo spettacolo, mezzi espressivi che meriterebbero uno sguardo a sé (4). Rosario Napoli prima e suo fratello Natale poi furono due dei più importanti pittori dell’Opera dei Pupi catanese e ancora oggi, in bottega, scene e cartelli si realizzano seguendo i dettami della tradizione e dando corpo all’immaginazione dei pupari.
La creazione di questo archivio – tassello fondamentale per completare una storia dei pupari catanesi già intrapresa nel 2008 da Bernadette Majorana – è espressione della volontà di salvaguardare una forma di teatro prezioso della nostra storia, ma serve anche a riflettere sul valore e il significato che lo spettacolo di figura riveste nella cultura di un territorio sotto il profilo sociale, artistico ed educativo. La costituzione e lo studio dell’archivio consentiranno di indagare almeno in tre ambiti: quello della recitazione catanese, finora mai preso in considerazione,(5) che sarà ricostruito partendo dall’analisi delle registrazioni audio e dai racconti degli stessi interpreti; quello artistico legato ai manufatti realizzati dai Napoli e, non ultimo, quello drammaturgico delineato attraverso lo studio di copioni e canovacci. Il lavoro condurrà non soltanto alla ricostruzione di un grande patrimonio culturale del performativo, ma alla fruizione dello stesso attraverso un archivio-mostra, in cui si intrecceranno testimonianza diretta e catalogazione, divulgazione e invito aperto ai ricercatori e agli studiosi, auto narrazione, micro e macro storia.
NOTE
1. Sul fronte orientale un’altra grande famiglia di tradizione pupara che continua a tramandare di padre in figlio quest’arte è la Compagnia Figli d’Arte Cuticchio di Palermo.
2. Un progetto appena attivato per iniziativa del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania vedrà l’avvio della catalogazione del patrimonio materiale dei Fratelli Napoli.
3. È Pippo, il figlio sellaio di Don Gaetano, a portare le prime innovazioni facendo divenire il cuoio delle armature un carattere singolare del patrimonio dei pupi dei Napoli.
4. Su questa rinnovata attenzione nel dicembre del 2014 è stata inaugurata la mostra Scene nuove per un teatro antico che raccoglie i fondali di alcuni spettacoli che Mimmo Cuticchio ha realizzato durante il suo percorso artistico, rivolgendosi ai pochi pittori ancora in attività (prima tra tutti la mamma Pina Patti), oppure ai nuovi artigiani provenienti da altre tradizioni (per esempio dalla pittura dei carretti siciliani), fino a rivolgersi ad artisti contemporanei.
5. L’analisi dei codici linguistici e della qualità della voce, proposta da A. Pasqualino e J. Vibaek (1984), è condotta infatti sulla recitazione di stile palermitano.
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