Festival2014_9 Il libro e i suoi spett-attori: “autoteatro” in biblioteca
The Quiet Volume di Tim Etchells e Ant Hampton a Uovo
Il concetto di dispositivo può risultare utile per comprendere il funzionamento (e gli obiettivi) di alcune performance partecipative di gruppi come di Rimini Protokoll e Forced Entertainment, che spesso lavorano sull’intreccio e sulla frizione tra diversi dispositivi.
Per chi ama le definizioni, questa (dopo quella di Derrida) è quella di Giorgio Agamben:
Chiamerò dispositivo letteralmente qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare,
controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi. Non soltanto, quindi, le prigioni, i manicomi, il Panopticon, le scuole, la confessione, le fabbriche, le discipline, le misure giuridiche eccetera la cui connessione con il potere è in un certo senso evidente, ma anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia, l’agricoltura, la sigaretta, la navigazione, i computers, i telefoni cellulari e — perché no— il linguaggio stesso, che è forse il più antico dei dispositivi, in cui migliaia e migliaia di anni fa un primate — probabilmente senza rendersi conto delle conseguenze cui andava incontro — ebbe l’incoscienza di farsi catturare.
Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Roma, 2006)
Una definizione perfetta per accompagnarci nel tempio della parola, la Biblioteca…
The Quiet Volume, ideato da Tim Etchells (fondatore di Forced Entertainment) e Ant Hampton (Rotozaza) nel 2010 e visto alla Biblioteca Sormani di Milano nel programma del festival Uovo 2014, è una performance per due spettatori. All’ingresso della biblioteca ricevono un iPod e relativa cuffia, vengono accompagnati nella sala di lettura e invitati a sedersi uno accanto all’altro. Il primo dispositivo è dunque la biblioteca, con le sue modalità di fruizione, a cominciare dalla norma della lettura silenziosa e solitaria.
Ciascuno dei due spettatori ha di fronte alcuni volumi, a volte appositamente “preparati” per l’occasione. Il secondo dispositivo è dunque il libro. Le istruzioni che arrivano attraverso la cuffia, i gesti che fanno compiere, i brani letti, rendono via via lo spettatore più consapevole dell’atto stesso della lettura, sottolineando alcuni aspetti di un’esperienza ormai abitudinaria.
Contemporaneamente il libro diventa teatro, la pagina si fa scena, il dito che segue lo sguardo del lettore sotto ogni riga si trasforma in personaggio. Il dispositivo del libro e quello del teatro si sovrappongono sottilmente, illuminandosi e de-costruendosi a vicenda. Del resto la riflessione sulle modalità di comunicazione e interazione è un tratto comune a molte esperienze artistiche contemporanee.
Man mano che le istruzioni procedono, i due lettori-spettatori vengono indotti a violare il tabù della lettura solitaria. Per esempio, uno dei due indica sulla pagina del libro del suo silenzioso compagno (o compagna) il passo da leggere insieme, imponendogli tra l’altro la velocità di lettura con il movimento dell’indice sotto la riga.
Il dispositivo accende la sensibilità, amplifica le sensazioni periferiche, producendo continui slittamenti tra udito e vista, in un dialogo continuo tra quello che si sente e quello che si vede (o che viene “ordinato” di vedere).
Come i sensi, anche i ruoli s’intrecciano e sovrappongono. I due “spettatori” diventano attori in un duplice senso. In primo luogo in questo “autoteatro” escono dalla passività dello spettatore ma compiono essi stessi una serie di azioni (sono actores); in secondo luogo, i due “spett-attori” possono diventare oggetto d’osservazione per il pubblico “inconsapevole” costituito dagli altri frequentatori della sala di letture, che assistono al bizzarro rituale di due lettori dal comportamento a volte eccentrico, senza essere consapevoli di essere diventati spettatori (e senza alcun esibizionismo da parte degli “spett-attori”).
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