Critical quiz: qualche risposta per due libri sulla critica teatrale

Per Clemente, David e Georgios

Pubblicato il 28/07/2014 / di / ateatro n. 150

Negli ultimi mesi si è continuato a discutere appassionatamente di critica, e di critica teatrale. Sono stato interpellato sull’argomento per due volumi pubblicati di recente, attraverso due brevi questionari. Riporto qui di seguito le domande e le mie risposte.

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Clemente Tafuri e David Beronio, Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni, vol. 5, Le Mani, 2014.

Clemente Tafuri e David BeronioAl di là di consigliare o meno la visione di uno spettacolo al lettore, in che misura la critica deve riflettere sull’arte e le sue funzioni, sulla teoria e sugli studi teatrali? Si tratta di aspetti da esplicitare e di cui rendere partecipe il lettore, o piuttosto di un’indagine riservata ad altri ambiti di studio?

Oliviero Ponte di Pino – La critica non è il “Mi piace” della rete, e nemmeno le stellette che alcuni media mettono in coda alle recensioni. Il critico non sostituisce il marketing dei teatri, non è il super-Io che ordina allo spettatore cosa deve vedere. Ci sono spettacoli molto belli di cui non mi viene voglia di scrivere, perché è già tutto così chiaro. Mi viene voglia di scrivere quando vedo spettacoli che mi interrogano, mettono in crisi le mie certezze, accendono la mia curiosità. Posso solo sperare che le mie passioni e inquietudini intercettino quelle dei creatori e accendano quelle dei potenziali fruitori. L’attenzione si allarga spesso al rapporto dell’esperienza teatrale con altre (anche appartenenti a generi e ambiti diversi), dal punto di vista sia diacronico (la storia del teatro, quella di ciascun gruppo o artista), sia sincronico, nel contesto del sistema teatrale, dal punto di vista estetico ma anche politico-sociale ed economico. Nel Patalogo, con il sito ateatro.it e con le Buone Pratiche del Teatro ho cercato di raccordare questi diversi piani.

Clemente Tafuri e David Beronio – La rete dà la possibilità di avere spazi pressoché illimitati per sviluppare riflessioni sull’arte e recensire spettacoli. Questa opportunità sembra rappresentare una soluzione alla mancanza di spazi sui quotidiani e più in generale alla crisi dell’editoria. In che modo si può gestire questo scenario caotico in cui chiunque, non sempre con le competenze necessarie, si propone come critico?

Oliviero Ponte di Pino – Non è solo un problema di quantità. E’ un cambiamento profondo, che non riguarda solo il piccolo mondo del teatro. La tendenza alla personalizzazione dell’informazione e al rapporto diretto tra creatore e fruitore è iniziata ben prima dell’avvento della rete: da decenni, su quotidiani e riviste, le interviste e le anticipazioni erodono lo spazio delle recensioni, incrinando l’autorevolezza del critico. La rete ha solo accelerato la dinamica. Una seconda deriva spinge verso la “morte dell’esperto”, soprattutto in campo culturale: su Wikipedia chiunque può compilare una voce su qualunque argomento. Il critico non ha più la legittimazione del piedistallo di una testata, ma deve conquistare ogni giorno la propria credibilità e rispondere agli interlocutori da pari a pari, perché così vuole il galateo del web. Terzo, l’economia e la dinamica della rete assottigliano il confine tra critica e marketing, informazione e pubblicità/promozione. Alla lunga c’è il rischio che si creino isole autoreferenziali, tribù di persone con gli stessi gusti. Qualunque forma di critica consapevole deve tener conto di questo contesto, e di tutti i suoi rischi, sfide, opportunità.

Clemente Tafuri e David Beronio – Quale dovrebbe essere, ammesso che ci debba essere, il rapporto del critico con l’artista e con i diversi materiali elaborati nel suo percorso creativo, al di là dell’ovvia relazione che si instaura tra l’opera conclusa e chi invece ne fa oggetto di approfondimento?

Oliviero Ponte di Pino – Ho avuto la fortuna di incontrare le opere di alcuni artisti, che erano più o meno miei coetanei. I loro spettacoli mi hanno emozionato e incuriosito e mi è venuto voglia di scriverne. Poi ho continuato a seguire questi artisti, cercando di inserire il loro percorso nel contesto teatrale, sociale e culturale. Da un lato c’è la riflessione sul singolo lavoro, sul rapporto tra intenzioni e risultati, sulla rete dei significati e dei riferimenti che mettono in gioco. Provo a seguire le dinamiche interne a ciascuna poetica, che evolve spettacolo dopo spettacolo. Infine ci sono le influenze e distanze tra i diversi percorsi, all’interno della “tavola di Mendeleev” dei teatri possibili. Al di là del “valore d’uso” di una recensione, uno sguardo esterno (che si spera competente, umile e articolato) può portare anche agli artisti un aumento di consapevolezza.
Quando ne ho avuto l’occasione, ho provato ad aiutare gli artisti che stimo. Le rare volte in cui ho avuto l’opportunità di organizzare rassegne o mostre, ho cercato di far conoscere il loro lavoro; ma lo ho anche difesi e sostenuti in momenti di difficoltà, e ho cercato di testimoniare la loro storia con saggi e interviste. A volte mi capita di entrare nel merito del lavoro artistico, mettendo a disposizione il mio sguardo su un processo creativo che deve mantenere la sua autonomia.

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Georgios Katsantonis Che cos’ è la Critica Teatrale per Lei ?

Oliviero Ponte di Pino – Intanto non metterei le maiuscole. Né alla critica né al critico. “Critica” per me significa semplicemente chiedermi che cosa accade quando mi trovo di fronte a un’opera: quali erano le intenzioni e il percorso degli artisti e quali i risultati, che cosa accade in scena, che cosa accade in platea, che cosa accade dentro di noi, che cosa si sedimenta nella memoria personale e collettiva. Insomma, non accontentarsi di un “Mi piace” o “Non mi piace”, ma usare tutti i miei strumenti culturali e tutta la mia sensibilità per rispondere alle domande che mi pone quell’opera.

Georgios KatsantonisSi nasce spettatore, che percorso si segue per diventare critico?

Oliviero Ponte di Pino – Lo spettatore nasce critico. Nell’antica Grecia, alla fine del ciclo delle rappresentazioni, il pubblico votava e sceglieva. Per un certo periodo, che coincide più o meno con il Novecento, il critico è stato il giornalista delegato (e pagato) da una testata giornalistica per recensire gli spettacoli. Era un giornalista che aveva solitamente una certa passione per il teatro, e non necessariamente una preparazione specifica: in questi caso, poteva essere un intellettuale come Antonio Gramsci, Ennio Flaiano o Cesare Garboli, oppure un cronista tuttofare, come tanti “Vice” che così firmavano le loro schedine. A volte sono state personalità che hanno dedicato la loro vita a questa missione: Silvio d’Amico, Renato Simoni, Roberto De Monticelli, Franco Quadri… Oggi, almeno sui giornali italiani, questa figura professionale è praticamente scomparsa (con l’eccezione di Renato Palazzi sul “Domenicale” del “Sole 24 Ore”), a causa della concomitanza di diversi fenomeni: il declino del pensiero critico (in generale), la tendenza a privilegiare il rapporto diretto con gli artisti (e dunque il proliferare di interviste che penalizza la recensione), e in generale la scarsa attenzione dei mass media per il teatro. In compenso è nata e si è sviluppata in Italia una variegata e folta schiera di critici online: in questo caso il critico, per così dire, si autolegittima come tale, e al tempo stesso deve confermare ogni giorno la propria autorevolezza nel continuo confronto con i lettori (con i quali può anche dialogare). Per certi aspetti il confine tra il critico e lo spettatore è tornato a farsi molto sottile.

Georgios Katsantonis Il critico può godere di uno spettacolo come lo spettatore oppure sempre prevale la responsabilità tecnico-professionale?

Oliviero Ponte di Pino – Il critico deve essere prima di tutto un appassionato di teatro. Se non lo fosse, farebbe un altro mestiere. Anche i teatranti e molti “semplici spettatori” condividono la passione per la scena, che però non anima necessariamente lo spettatore “generico”. Una seconda differenza è ovviamente la competenza specifica, che è frutto sia dello studio sia della costante frequentazione dei teatri (molti teatranti vanno di rado a vedere gli spettacoli altrui) sia della riflessione personale. L’altra grande differenza è che il critico rende pubblico il suo giudizio sullo spettacolo: questo gli impone una responsabilità verso gli artisti, verso il pubblico e verso sé stesso.

Georgios Katsantonis Non è possibile di definire una tipologia testuale precisa del logos critico teatrale perchè i criteri del giudizio critico variano secondo le posizioni estetiche e ideologiche e il parere che ogni critico ha per l’attività artistica e la regia. Ma esiste la nozione ‘’moralità’’ del critico nella sua personale lettura scenica ed analisi e al ruolo che assume nel definire una prospettiva teatrale come testimone dell’evento teatrale e come fonte di teatrografia.

Oliviero Ponte di Pino – Come in tutti i settori, anche in questo possono emergere ed emergono i conflitti di interesse, immoralità, prepotenze e ricatti. Però non dimentichiamo che la moralità del critico riflette semplicemente la moralità del contesto in cui opera, e le condizioni economiche (ovvero chi lo paga, come viene garantita la sua indipendenza: un problema che non si poneva per chi era pagato da un quotidiano, o ha un altro lavoro, ma si pone in termini molto diversi per chi opera in rete). Ovviamente chi giudica gli altri dovrebbe avere una funzione d’esempio, ma quando “si giudica chi giudica” è facile scivolare nel moralismo. Il “critico appassionato” è spesso anche un critico di tendenza, che segue con particolare attenzione il lavoro di alcuni artisti o tendenze, e spesso li sostiene anche sul versante organizzativo. Ciascun critico trova equilibri e compromessi, sulla base del proprio senso etico e delle condizioni date.

Georgios KatsantonisSecondo Artaud, Il teatro è materializzazione scenica e vive solo come tale. La rappresentazione teatrale deve essere fedele al testo dello scrittore, come sostengono i formalisti o invece il regista o la compagnia teatrale hanno la liberta artistica di trascrivere scenicamente il testo drammatico. E lei cosa pensa della tendenza moderna verso il Teatro liberato dal dispotismo del testo.

Oliviero Ponte di Pino – Fino a qualche decennio fa, la critica teatrale era essenzialmente critica del testo (e dunque critica letteraria), con qualche noticina finale sugli attori. L’attenzione all’evento scenico nel suo complesso da parte della critica (a partire da Franco Quadri e Giuseppe Bartolucci, per quanto riguarda l’Italia, ma anche da Roland Barthes) ha certamente cambiato il modo in cui percepiamo il teatro. La libertà di approccio a un testo non riguarda solo il teatro, è un dato acquisito da letteratura e filosofia. Una lettura “fedele” del testo è altrettanto ideologica di una lettura libera, e senza nemmeno la consapevolezza di esserlo. Il “nodo critico” è ovviamente il grado di libertà dell’interpretazione, ovvero il limite (se esiste) fino a cui può spingersi la deriva interpretativa. Da questo punto di vista, la pratica scenica può aiutare a trovare un punto d’equilibrio, valido in quel momento, per quel gruppo di artisti, per quel pubblico.

Georgios Katsantonis Il critico teatrale può fare da guida alla formazione del gusto del pubblico?

Oliviero Ponte di Pino – Una certa vocazione pedagogica è implicita in ogni operazione critica. E’ una pedagogia che può svilupparsi solo se esiste un dialogo tra il critico e i suoi lettori, ovvero se il critico ha la possibilità di costruire un “discorso” esteso nel tempo, che attraversa diversi spettacoli e diverse tipologie di spettacolo. Insomma, se la critica non si riduce a esternazioni estemporanee o magari ai tweet e alle stelline (o ai pallini) che proliferano anche sui quotidiani, ma se chi scrive ha la possibilità di motivare scelte e giudizi. Insomma, se ha l’opportunità di elaborare un pensiero con cui ci si possa confrontare.

Georgios KatsantonisL’ approccio critico dovrebbe essere differenziato secondo l’ oggetto di riferiment?

Oliviero Ponte di Pino – Ogni spettacolo chiama uno sguardo diverso. Da decenni non c’è più un solo Teatro, ma ci sono tanti teatri diversi per estetiche, poetiche, obiettivi, modalità produttive, condizioni economiche… Valutare tutte queste esperienze così diverse solo nella logica dello “spettacolo ben fatto”, con la matita rossa e blu per segnalare eventuali errori, non ha molto senso.

Georgios KatsantonisIl futuro ci fa pensare ad una inevitabile fusione tra tra critica dei giornali traslata verso quella online. La scomparsa della critica sulla stampa ha portato a creare forme di anarchia…. Questa è una delle strade possibili su cui si sta dirigendo la figura del critico che riflette i cambiamenti delle società. Questa fusione potrebbe portare alla scomparsa del critico. L’esplosione della critica sulla rete mette in discussione la perdita dell’autorità della critica professionale.

Oliviero Ponte di Pino – I primi a delegittimare l’autorevolezza dei critici, prima ancora dell’avvento della rete, sono stati i mass media, che in Italia hanno progressivamente e drasticamente ridotto lo spazio delle recensioni (non solo teatrali) e invece dello specialista (il giornalista o lo studioso con una competenza specifica) hanno preferito affidare il ruolo di critico teatrale a un intellettuale ritenuto più vicino ai gusti di un pubblico “generalista”. Su questa trasformazione si è poi innestato il boom della rete, che sta cambiando profondamente le dinamiche comunicative e culturali, innestando inedite dinamiche di partecipazione e condivisione. Oggi la percentuale di pubblico che orienta i propri consumi culturali sulla base di quello che legge in rete è sempre più ampia. Siamo in una fase di rapida transizione e non abbiamo ancora trovato il punto d’equilibro, se mai lo troveremo.




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