Tetrarecensione. Riflessioni sulla troppo umana passione
È la illustre prostituta Maddalena a condurci nella prima di queste quattro storie di argomento e matrice cristologico-sacrificale. Non si stagliano volontariamente in questa direzione, ma si è voluta rintracciare la comune spinta alla celebrazione di una passione tutta umana eppure santa. Il secondo spettacolo è una riflessione sulla antropofagia e sulla storia d’amore tra Anna e Tonino da Ruccello, scritta e allestita da donne; il dramma della mafia di una madre coraggiosa lascia il posto a una riflessione salvifica sul potere del teatro contro ogni violenza consumata a danno dei più piccoli, nonostante le madri.
Madeleine Suite e il volto di un Cristo musicato
È un «Seduttore che rende la rinuncia dolce quanto un peccato» il Cristo che strappa alla Maddalena l’amore di Giovanni, appena consumata la passione nel letto coniugale subito dopo il banchetto per le loro nozze. Madeleine Suite di e con Mariella Lo Sardo e le musiche per chitarra composte ed eseguite dal vivo da Ralph Towner è una produzione di Gigi Spedale per Querelle, ospitata nella stagione concertistica della storica fondazione Filarmonica Laudamo di Messina, trasgredendo la consueta programmazione musicale per aprirsi a contaminazioni teatrali. Il testo prende spunto da Maria Maddalena o della salvezza di Marguerite Yourcenar: «la prosa poetica della Yourcenar – rivela Towner – la sua scrittura cesellata, fitta di pensiero oltre che di azione, è stata di grande ispirazione nella composizione della musica».
Musica e interpretazione vocale sono pertanto composte in una unica foggia drammaturgica. L’attualità di un progetto che ha debuttato nel 2007 alla Casa del Jazz di Roma e che si rinnova in ogni replica riflette una necessità attualissima nell’esibire una beffarda e ironica verità, tutta femminile e lunare; sarà per questo che Maddalena si stupisce che possa finire la notte e sorgere un nuovo giorno. Pertanto «Dio è l’ultima risorsa per i solitari», un dolce vagabondo che incarna istanze eufoniche su celebrazioni di desolanti e reiterati “Dio-Io”. L’innocenza è carica di negatività – «ogni donna che ami non è che una povera innocente» – ma quando smette di amare può divenire strumento di seduzione e di vendetta. Così Maddalena trama un inganno perché seducendo Dio possa riavere il suo Giovanni. Tuttavia questo divino uomo diverrà presto assai simile alla prostituta con la quale condivide «l’orribile sorte di appartenere a tutti». La variazione musicale di Towner (compositore pluripremiato, che nel 1970 ha fondato il gruppo Oregon) descrive una disperata agognata salvezza, sottolineata dal maestoso abito indossato dalla Lo Sardo: Il costume, realizzato da Franz Prestieri è scenografia e insieme trama che avvolge il corpo della performer, sormontando le sensuali caviglie strette da lacci neri che incorniciano piedi nudi. Il Cristo di questa Suite salva, ma «dalla felicità».
L’Anna Cappelli di Fadia Bassmaji per l’ultima cena con Tonino
Ad annunciare l’entrata della quadruplice Anna, in Contaminata, sono le note di un Puoi farmi piangere canticchiato sulla voce di Caterina Caselli, nella versione italiana di un incantesimo tradotto in pianto, bella metafora che introduce nell’atmosfera di questo monologo per quattro donne. La “contaminata” Anna Cappelli di Annibale Ruccello, a cui si ispira il testo di Francesca Gerli per la regia di Fadia Bassmaji, prorompe rievocando le streghe pop di un cinematografico Hocus Pocus della Disney, con il celebre trio che allestisce un I put a spell on you: bocche irrequiete affamate bramano di celebrare un rituale legato ai dettami dell’antropofagia, mediata da una sensibilità drammaturgica tutta femminile. La seduta su valigie metafora di vagina-ventre-pentola tratteggia un ritmo composto da un coro greco, come suggerito dalla divisione del testo in quattro stasimi e quattro episodi.
Tuttavia il coro di queste Troiane postmoderne è costituito da una molteplice donna che vive la sempre attuale angoscia del non accontentarsi mai, indugiando in una metaforica e asettica sala d’attesa ideale, aspirando a raggiungere un sole mortifero. Il giallo e il rosso, l’aspirina e il caffè contengono nella loro insistente evocazione la claustrofobica dannazione di chi non intende rischiare; l’unica certezza è data pertanto da una bulimia asfittica e desolante. I costumi bianchi «anonimamente personalizzati» ricordano delle infermiere o delle spose minimaliste. La consapevolezza del corpo deriva dal metodo Laban di Maria Consagra, che le quattro attrici Virginia Zini, Livia Bonetti, Elisabetta Mossa e Federica Ombrato mostrano di avere introiettato. Maria Consagra ha peraltro intrapreso un progetto residenziale negli spazi di Casalgrande, dove ha preso vita l’allestimento prodotto da Quinta Parete. Le luci hanno rilevanza drammaturgica e coreutica, in una torbida tragedia che si erge sul pregiudizio, ancora attualissimo, del matrimonio e della donna amante, spesso subordinata a un capo di sesso opposto, di cui talvolta si innamora ossessivamente. Non resta pertanto che inscenare un sabba candido e purificatore, preludio del dionisiaco pasto del divino Tonino. Del resto, «la gente non ti vede. Ti guarda ma non ti vede». Sarà per questo che – recita Anna/Livia Bonetti – «c’è troppo silenzio quando parliamo».
Il Golgota di Peppino Impastato nella Madre dei ragazzi
Che «domare i cellulari come bestie feroci» sia un ottimo punto di partenza per introdurre alla cerimonia del rito teatrale è usuale modalità di intervento, ottima trovata per un prologo teatrale. Meno consono e provocatorio è invece proiettare immagini di videogiochi violenti su un fondale bianco: immacolato spazio di condivisione. La madre dei ragazzi è una pièce ideata e interpretata da Lucia Sardo per sensibilizzare la giovane opinione pubblica sulle vittime della mafia. In particolare, racconta la breve vita di Peppino Impastato, mediata dalla figura di una madre, che nella seconda parte dello spettacolo, attraverso una narrazione rispettosa del teatro civile, lo ricorda anche attraverso foto, video, testimonianze. È un processo che rimuove la sovrabbondanza di suoni, negatività, conflitti, «ferite del corpo e dell’anima», fino al ritorno nella «casa della madre», per essere accuditi e onorati.
Nel 2000 la Sardo ha interpretato Felicia Bartolotta Impastato – qui ritratta da Lelio Bonaccorso nella graphic novel edito da Beccogiallo dal titolo Peppino Impastato. Un giullare contro la mafia – nel film I cento passi di Marco Tullio Giordana. Nella primavera del 2014 ActorGym, con la direzione artistica di Vincenzo Tripodo, presenta lo spettacolo sulla madre dell’ironico e geniale giornalista di Cinisi, assassinato all’età di trent’anni: di fronte a lei, gli adolescenti di Messina nel Teatro Vittorio Emanuele.
Con la collaborazione di Aula Aut, collettivo di studenti liceali e con l’Associazione Nazionale Amici Attilio Manca, medico ucciso nel 2004, viene illustrato il martirio di una madre attraverso un garofano rosso. Il fiore tanto amato dal figlio Peppino diverrà simbolo di giustizia, metafora di liberazione sciamanica, molto più del suono di una campana tibetana che sancisce l’avvio della vicenda. La Sardo è energica e viscerale, incarna una maternità da baccante: un taglio su una camicina bianca da neonato; un finto ricamo e una fiaba africana; una danza circolare sormontata da un gigantesco carico di deformità e marciume; una traccia di sangue tatuata su un seno da un rossetto vivace. Il brano con cui si conclude il sacro ricordo vivo e propositivo della Sardo, accompagnandola tra il pubblico – mentre l’attrice distribuisce garofani rossi simulando l’immagine proiettata sul fondale in cui Felicia compie il medesimo gesto alle folle accorse in uno degli anniversari dell’uccisione del figlio – è più che appropriato, accompagnato dal suo ritornello su una fantomatica casa dal sole nascente, The house of the rising sun.
Tindaro Granata e la resurrezione terapica nel teatro contro la pedofilia
«Lo scopo del teatro è quello di valorizzare la parte umana», dichiara Tindaro Granata. «Dove c’è teatro c’è civiltà». Granata, talentuosissimo attore, autore e regista messinese, originario di Tindari. I caratteri dei personaggi che inscena Granata si distinguono per rapidissimi movimenti del corpo dell’attore, una deformità simulata in un arto o una maglietta usata come scialle danno vita a due personaggi di sesso opposto; uno schiaffeggio che evoca prima l’acqua e poi il vino calendarizzano il tempo che scorre nella storia della vicenda reale e in quella narrata. Con Antropolaroid,, spettacolo del 2011, Granata ha vinto diversi premi; di recente, si è aggiudicato l’edizione 2014 di Eurodram Playwriting per l’Italia insieme ai testi di Tino Caspanello e Massimo Sgorbani. L’istantaneità di un dispositivo tecnologico evocato nel titolo della vicenda connota una relazione violenta e nostalgica con il territorio d’origine. Storia personale e vicende di mafia s’intrecciano illuminate da un filo non allegorico ma reale che regge una lampadina e che sarà arma di un suicidio preannunciato.
Nell’ultima fatica di Granata, Invidiatemi come io ho invidiato voi, l’analisi sociologica delle relazioni familiari prende spunto da una vicenda di cronaca, la morte per emorragia di una bambina a causa di uno stupro subito dall’uomo che ha una relazione con sua madre. La scenografia, in cui campeggiano una tv e lo smarrimento di varie interpreti femminili, è sormontata da cornici in cui sono incastonate aperture, quasi allegorici macroschermi nei quali lo spettatore è invitato a collocare la sua personale visione dei fatti, o ad aggiungere un post, come dentro le finestre virtuali di un social network. L’assenza di un giudizio esplicito sui fatti da parte della regia è sostenuta dalla vivacissima interpretazione dei protagonisti e riproduce con geniale creatività una vicenda televisiva che lascia nell’artista una profonda angoscia. L’arte scenica prova in tal modo a redimere o forse solo a esibire un disagio che solo attraverso la condivisione collettiva del dramma può rendere giustizia ai fantasmi che divorano un’apparente normalità.
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