Il polis-spettacolo di Milano

Il testo per il volume Milano, città e spettacolo

Pubblicato il 23/08/2013 / di / ateatro n. 144

Quello che segue è il breve, illuminante testo che Paolo Rosa scrisse nell’estate 2011 per il volume Milano, città e spettacolo, a cura di Antonio Calbi, edito da Aim e Sassi editore, che resta di grande attualità.

“L’enorme potenzialità, in materia di cultura e spettacolo che esprime Milano ormai da molti anni fatica a emergere e a manifestarsi. Le tradizionali eccellenze che a lungo hanno positivamente segnato e reso riconoscibile la città sono in fase decadente (la Scala e il Piccolo Teatro; la moda e il design), non brillano più come punti di riferimento soprattutto verso quei giovani che, con i loro talenti e le loro disposizioni verso i nuovi linguaggi, dovrebbero rappresentare l’anima del rinnovamento. Per essi, dopo l’esperienza supplente e spesso antagonista dei centri sociali del periodo precedente, si fatica a identificare nuovi luoghi aggregativi e di accelerazione culturale, capaci di affrontare il profondo rinnovamento che questa fase di mutazione richiede. La conseguenza è che la città non restituisce un appeal sufficiente a trattenere, e tanto meno richiamare, le numerose intelligenze e talenti che un sistema di formazione, nonostante tutto ancora efficace, consegna alla vita della città. Molti giovani divengono emigranti culturali, altri si disperdono in attività arrangiate, altri ancora vanno a ingrossare le già numerose schiere di disoccupati e precari. Così, proprio in questa fase cruciale della nostra epoca dove, per far fronte alle molteplici emergenze che ci assillano, dovremmo poter contare sul talento e l’immaginazione di ciascuno, viene meno il contesto, l’habitat per produrre, accogliere e moltiplicare le proposte e le idee delle nuove generazioni creative in particolare.
Anche la cultura dell’impresa, che tradizionalmente è stata accanto e si è dimostrata sostenitrice dei momenti più fecondi della vita culturale milanese, sembra dispersa nei meandri post-finanziari e della perduta identità della propria produzione.
Eppure, in questo quadro nero, si avverte fortemente questa potenzialità. Scorre in modo carsico, quasi invisibile, permea la città di una presenza eterea quanto elevata qualitativamente. Professionisti e artisti riconosciuti a livello mondiale, organizzatori capaci esistono e altrove vengono apprezzati. Ciò che non emerge è la loro presenza come forza collettiva della città, come habitat virtuoso che innesca più efficaci possibilità, capace di riavviare il motore culturale che da sempre è identità di questo territorio. Identità basata sulla capacità di valorizzare il proprio patrimonio, ma soprattutto di avviare processi virtuosi d’innovazione non fini a se stessi.
Partendo da queste considerazioni dovremmo ribaltare quella tensione che finora ha spinto verso la ricerca dello spettacolo per viceversa valorizzare lo spettacolo della ricerca. È necessario e urgente attivare luoghi attrattivi, di convergenza e di confronto, capaci di essere produttivi, di generare senso; di mettere in valore talenti e qualità, di costruire quell’attitudine al giusto e al bello. Luoghi in grado di accogliere le differenze e di generare valore attraverso modalità collaborative e di condivisione, capaci di mettersi in rete, di orchestrarsi in un sistema di Stazioni Creative che irradi la città e la accenda dal centro alle periferie.
È fondamentale per questa idea di “spettacolo della ricerca” diffuso, dirigere la nostra attenzione sulla sperimentazione, sui gruppi, le associazioni che osano penetrare territori nuovi dell’espressione, della comunicazione, della poesia; che sanno incrociarsi con i linguaggi dell’innovazione sapendo rivitalizzare, alla luce di una mutazione che la tecnologia ha determinato, anche le più antiche discipline, le espressioni della memoria. Del resto, a proposito di memoria, non è proprio Milano che, con la spinta di Napoleone, fonda un’Accademia di “Belle Arti”, accostando la Pittura con l’Orto Botanico, la Scultura con l’Osservatorio Astronomico, l’Architettura con la Biblioteca? E più tardi diviene la Milano Politecnica (o molto prima se pensiamo a Leonardo) dove Cultura e Scienza entrano in simbiosi, dove Arte e Impresa si apparentano e viaggiano insieme e costituiscono l’asse identitario della vitalità della città sino a tutti gli anni Sessanta.
È la strategia dei progetti comuni, della reciproca utilità, dell’entusiasmo di avventurarsi insieme nella ricerca di un percorso, del contagiarsi una passione. Così lontano dalla funzione di servizio (svolto dalla cultura e dal talento dei creativi verso l’industria) o da quello sordidamente mecenatistico (svolto dall’impresa e anche dall’istituzione pubblica verso la cultura) che si è verificato negli ultimi decenni, spinti da un bisogno “spettacolare” di evidenza.
Abbiamo bisogno di apprezzare di nuovo la meraviglia della ricerca, dell’intelligenza, del coraggio, ancorati a nuovi valori, anch’essi in gran parte da ritrovare.
È uno spettacolo che non riguarda più solo il teatro, l’arte, la musica, la moda, il design, ma tutte quelle manifestazioni di mezzo, border, outsider, che utilizzano molteplici strumenti, che hanno vocazione per costituirsi in rete, che sanno parlare i nuovi linguaggi e sono attente al territorio, alle relazioni e alle collaborazioni.
Lì potrà risorgere una cultura nuova, adeguata e trainante per questa epoca.
Per far questo, per percepire questo polis-spettacolo prossimo venturo, occorrerà rinnovare lo sguardo di chi guida e orienta la città, renderlo capace di scorgere e valorizzare i numerosi segnali che sin’ora sono rimasti travolti nella nebbia dell’indifferenza (e Studio Azzurro su questo potrebbe stilare pagine significative per sé e per gli altri) e rigenerare l’attenzione e le sensibilità dei suoi possibili spettatori affinché rilevino e assumano il suo intenso fascino.
Il fascino di una bellezza che, evocando Platone, sappia esprimersi come materializzazione sensibile del bene.

Paolo_Rosa

2013-08-23T00:00:00




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