#bp2013 Destini Incrociati. Prima Rassegna nazionale di Teatro in carcere
Firenze/Prato/Lastra a Signa, 20-23 giugno 2012
L’esplicito riferimento al Castello dei destini incrociati di Italo Calvino ci fa pensare alla vita come un intreccio di relazioni scelte o subite, incroci, attraversamenti, perdite, conquiste. Il teatro tende a incrociare la vita degli uomini in maniera comica o drammatica ma sempre con pietas: rispecchia la vita, a volte la imita, spesso ne attraversa il senso o la sua mancanza di senso. Il teatro in carcere esalta questa caratteristica genetica del teatro; questo suo generare incroci di relazioni fra esseri umani. Qui entrano in gioco gli ultimi: gli immigrati dall’Africa come dai Balcani, i giovani educati dalla camorra, i giovani aggrediti dalle droghe. Molti di loro - per uno strano destino - incontrano Il teatro in carcere e scoprono una dimensione sconosciuta del proprio essere. Il teatro è una grande occasione di occuparsi di se stessi, dei propri sentimenti, dei propri conflitti interiori al di là delle maschere assunte pubblicamente nella vita libera. In carcere il teatro esalta una delle sue caratteristiche più affascinanti: quella di contenere nei suoi linguaggi una forma straordinaria di autobiografia. Il racconto di sé sta iscritto nel volto e nel corpo dellattore. Ma mentre nel teatro ufficiale si tende sempre più a omologare le voci, i corpi, le espressioni, in carcere si esaltano le differenze, le singolarità, una certezza rozzezza espressiva che diventa estremamente comunicativa. Nella costrizione degli attori e degli spettatori saltano tutti i canoni dello spettacolo teatrale normale. Nasce un teatro che va oltre la prosa e che utilizza linguaggi nei quali le culture e le lingue possono incrociarsi, creando nuove alchimie sceniche. Il teatro in carcere appare, nei casi migliori, come un’esperienza teatrale popolare e, insieme, di elevata qualità artistica. Di queste materie si è occupata la Rassegna Destini incrociati.
Destini incrociati, prima rassegna nazionale di teatro in carcere, realizzata dal Coordinamento Nazionale teatro in carcere e dal Teatro Popolare dArte col sostegno della Regione Toscana – che da circa quindici anni investe su questo tipo di esperienze – , il patrocinio del Ministero della Giustizia e del Ministero dei Beni Culturali e la collaborazione di Fondazione Sistema Toscana, si è conclusa il 23 giugno, dopo quattro giornate dense di appuntamenti, con un bilancio nettamente positivo. Infatti si può affermare che sono stati raggiunti i due maggiori obiettivi che gli organizzatori si erano proposti, in questo coadiuvati dalla commissione artistica composta da Gianfranco Capitta, Sergio Givone, Vito Minoia, Valeria Ottolenghi: offrire a tutti un panorama ampio delle esperienze di teatro in carcere e creare unoccasione di confronto e di scambio per quegli artisti che fanno del lavoro in carcere un momento centrale della propria attività creativa.
Altrettanto significativo il fatto che, sia attraverso gli spettacoli che nei video che negli incontri, i detenuti abbiano avuto la possibilità di prendere la parola – come appunto recitava il titolo del bel documentario di Gianmarco DAgostino e Marco Vichi, Oggi voglio parlare, proiettato nella giornata di apertura al Cinema Odeon di Firenze.
Dal 20 al 23 giugno, dunque, tra Firenze e Lastra a Signa, nelle case circondariali di Prato, di Sollicciano e Mario Gozzini, sono stati messi in scena 15 spettacoli da altrettante compagnie, con 5 prime nazionali, coinvolgendo 130 attori, in maggior parte (106) detenuti, oltre a due ex detenuti. Salvatore Striano, tra i protagonisti di Cesare deve morire dei fratelli Taviani ha interpretato al Teatro delle Arti, un provocatorio Genet a Nisida, in cui raccontava attraverso le parole de Lenfant criminel, scritto dall’autore francese nel 1948 per la radio, la sua storia di giovane e orgoglioso criminale, riscrivendone però il finale, perché può accadere che quel ragazzo trovi nell’arte un riscatto al proprio destino e diventi un attore conteso tra cinema e teatro. Va sottolineato che Destini incrociati è valsa a evidenziare la diversità delle scelte artistiche ed espressive delle varie compagnie presenti pur nel comune denominatore di un livello sempre alto di espressività drammaturgica. Basti citare il sorprendente, ironico Aspettando Godot, dei napoletani di Maniphesta Teatro, attivi nel carcere di Secondigliano, regia Giorgia Palombi, con un Beckett che sbuca dalla bara per andare alla ricerca di Godot insieme ai suoi personaggi-attori, o il più complesso Santa Giovanna dei macelli di Brecht, in cui Gianfranco Pedullà crea un movimento continuo nello stretto corridoio della Casa circondariale di Prato – entrate e uscite di operai-massa impegnati nella difesa dei propri diritti, oggetti di scena quasi delle macchine celibi, gli attori Rosanna Gentili (Giovanna) e Marco Natalucci (Mauler) come guide sapienti, musica dal vivo, diretta da Massimo Altomare, siparietti comici – per trarre da quel testo una storia del nostro presente.
Hamlets dream nasce invece all’interno del cantiere creativo del Laboratorio Metropopolare della Dogaia. In scena ci sono venti attori tra detenuti e artisti del collettivo, che raccontano la storia di Amleto, personaggio shakespeariano divenuto ormai mito senza tempo, rielaborandone alcune riscritture contemporanee: un racconto per immagini in cui i piani di lettura vengono continuamente ribaltati dal gruppo di lavoro formato da danzatori, attori, artisti visivi, detenuti e non.
Alla terribile esperienza dell’OPG – su cui è stata di recente realizzata un’inquietante inchiesta parlamentare – fa riferimento Lunga vita al drago, proposto dall’Accademia della follia di Trieste, guidata da Claudio Misculin, storie di ordinaria follia alla ricerca di quel momento in cui dentro un essere sembra rompersi allimprovviso una corda, come ha efficacemente scritto Maria Grazia Gregori per L’Unità. Padrino assai partecipe, Giuliano Scabia, geniale anticipatore di un’idea di creatività allinterno delle istituzioni psichiatriche.
Le dame, della Compagnia di Sollicciano, regista Elisa Taddei, parte dallOrlando Furioso, per provare a parlare della donna allineando una serie di episodi: Angelica e Medoro per una riflessione sullamore romantico; Olimpia e il mostro, come la società usa il corpo della donna; la maga Alcina, la capacità di certe donne di annullare e trasformare in vegetale gli uomini; Bradamante, il coraggio di affrontare e ribellarsi alla violenza domestica; la pazzia di Orlando, la sofferenza del tradimento e la tragedia della follia. Da un primo rapido bilancio, agli spettacoli hanno assistito circa 1500 persone, diversamente distribuite nei vari spazi.
Un cenno a parte va riservato ai video e ai film su singole esperienze: ne sono stati proiettati 14, di cui 2 in prima nazionale. C’è la testimonianza del primo laboratorio teatrale approdato sullIsola di Gorgona, sede di una colonia penale modello, che si distingue per la possibilità data a tutti i detenuti di poter lavorare e percepire uno stipendio coltivando la terra, allevando animali domestici e praticando l’acquacoltura non intensiva. Il video racconta i quattro giorni di prova dellAgamennone di Eschilo, che evoca la nascita del primo tribunale della storia dell’umanità. Dieci detenuti hanno chiesto di proseguire l’esperienza con un’attività teatrale continua.
Quel che resta del mio regno, è un inquietante Lear riletto con passione disarmante dai ragazzi dei carceri minorili di Palermo, Bologna e Milano, che sono anche gli autori del video.
È un lavoro svolto su un testo classico importante, che sembrerebbe distante dai ragazzi,ha spiegato Claudio Collovà, regista ed autore teatrale dal 1997 impegnato all’interno del Carcere Minorile Malaspina di Palermo. In realtà in quest’opera Shakespeare ci parla di conflitti familiari, delle tensioni che possono scaturire al suo interno e che spesso sono allorigine del disagio giovanile.
A completare il programma di Destini incrociati tre mostre fotografiche allo Spedale SantAntonio di Lastra a Signa, a cura di Teatro Aenigma/Compagnia Lo Spacco (Pesaro), Teatro Popolare dArte (Prato), Giallo Mare Minimal Teatro (Empoli), Il Carro di Tespi (Porto Azzurro), che hanno avuto 400 visitatori circa in tre giorni e Lessenza delle cose, opere pittoriche e scenografiche di Mario Cini, in collaborazione con la Fondazione G. Michelucci.
Nell’affollato incontro conclusivo A microfono aperto, coordinato da Gianfranco Capitta, tenutosi nel Giardino degli incontri del carcere di Sollicciano, sono, tra gli altri, intervenute Maria Pia Giuffrida e Ilaria Fabbri, a testimoniare con la loro presenza il sostegno convinto a Destini incrociati delle istituzioni che rappresentano – il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, la Regione Toscana – anche alla luce dei risultati raggiunti in questa prima edizione.
Molto significativi anche gli interventi dei detenuti che hanno voluto sottolineare l’importanza dell’esperienza teatrale nel proprio percorso di conoscenza e di crescita personale e interiore, ma hanno al tempo stesso auspicato che il loro impegno teatrale possa trovare una via per contribuire concretamente alla risoluzione di problemi vecchi e nuovi della condizione carceraria.
In tal senso il contributo dello scrittore Massimo Sgorbani è parso indicare un percorso possibile nella scrittura di un testo che nasca nel carcere su temi concreti di quel vissuto
un’ipotesi di lavoro per il futuro di Destini incrociati.
Gianfranco_Pedullà
2013-05-02T00:00:00
Tag: festival (53), teatro sociale e di comunità (97), teatroecarcere (14)
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