La responsabilità dell’attore
Paola Bigatto e Renata M. Molinari L'Attore Civile,Titivillus, 2012
Abbiamo scelto di lavorare su *** perché ci siamo chiesti quale fosse il senso di questo lavoro che abbiamo deciso di intraprendere, se ci sia una missione, o se sia solo perché ci fa felici, e ci siamo chiesti il perché ci fa felici proprio fare questo.
Ci siamo chiesti se davvero raccontare storie sia la spinta più forte che sentiamo e quali storie ha senso raccontare.
Ci chiediamo quotidianamente se raccontiamo perché ne abbiamo bisogno noi o perché pensiamo che qualcuno abbia bisogno di ascoltarci, e pur non avendo una risposta sicura a nessuna di queste domande, consideriamo un valore lasciarle aperte davanti a noi per praticare questo mestiere con onestà.
E per adesso crediamo che sia quello a cui dobbiamo ambire.
Così, esponendo le loro motivazioni, due giovani attori, Stefano Cordella e Vanessa Korn, concludono la presentazione di uno spettacolo in fieri. E questo sguardo di due giovani attori sul loro mestiere mi sembra indichi con chiarezza una prospettiva con cui leggere (con cui ho letto) il libro di Paola Bigatto e Renata M. Molinari L’Attore Civile. Una riflessione fra teatro e storia attraverso un secolo di eventi all’Accademia dei Filodrammatici di Milano,Titivillus, 2012.
Perché queste parole di oggi si legano a interrogativi e scelte e riflessioni e pratiche teatrali che le due autrici rintracciano e fanno rivivere attraverso, appunto, un secolo di eventi.
E sono tanti gli eventi di queste pagine. Ogni momento scelto nella storia dell’Accademia (dalla rappresentazione della Virginia dellAlfieri davanti a Napoleone, alla ripresa della Città morta con cui Eleonora Duse inaugura il restaurato Teatro dei Filodrammatici), ricostruito e messo in scena in una sorta di percorso drammaturgico, si intreccia infatti con la storia di una città, con la storia di un Italia che si sta facendo, con la storia di una società che si interroga, di una vita teatrale che muta.
E incontriamo dunque Foscolo e Garibaldi , Alamanno Morelli e Giuseppe Giacosa, lattore Perelli che muore sulle barricate delle Cinque Giornate ed Ernesto Rossi interprete di Dante, Edoardo Giraud che recita monologhi per i suoi commilitoni a Bezzecca e lavora nel manicomio della Senavra e il magnetizzatore Pickmann, la stanca, affannata dolcezza umana della Duse e lemozione di una giovanissima Marta Abba nellaverla spettarice a un saggio scolastico
. E sempre seguendo il passo di un attore che si interroga sui segreti, il senso e le circostanze del suo fare (pag. 7). Se attore civile è un attore che sa prendere la parola, e che, attraverso i mezzi della sua professionalità, si pone come soggetto nella vita culturale del paese (pag. 25), se la parola teatrale è la parola-cosa di cui parla Mario Apollonio in un suo studio sullAlfieri, viva nel corpo dellattore e nel suo rapporto con il pubblico, si delinea un percorso pedagogico di cui riflessione su di sé, didattica teatrale e formazione civile, in un costante rimando, costituiscono gli elementi fondanti.
Nel diverso declinarsi di questa pedagogia, spesso autopedagogia, a seconda del variare di circostanze storiche ed esigenze sceniche (e le autrici parlano di volta in volta di attore giacobino, patriota, professionista, sensitivo, vate) si evidenziano, quasi un ininterrotto fil rouge, dei temi costanti.
Elemento chiave è quello della responsabilità in ciò che si fa e nei confronti del pubblico per cui lo si fa. Gli attori accademici, dilettanti allinizio della loro storia poi professionisti a tutti gli effetti, nascono e rimangono filo-drammatici (col trattino, come scrivono le autrici per riportare il termine al suo significato originario): amanti del teatro quale luogo dove coniugare cittadino decoro e onore dellarte. Se il teatro è momento di incontro , di condivisione e di reciproca conoscenza, spetta allattore farsi carico di un processo di crescita comune e di farlo con la piena padronanza degli strumenti necessari.
Di qui la centralità della scuola, agli inizi palestra di competenze per appassionati che non avevan appreso il mestiere sulle tavole del palcoscenico, poi addestramento di nuove reclute per le Compagnie drammatiche militanti , infine, quando nel 1885 il Teatro accademico viene aperto allesercizio pubblico, istituto didattico secondo le parole del presidente Andrea Sola non indegno di una città in cui la vita intellettuale ha sì largo sviluppo [
] che possa fornire un giorno allarte rappresentativa un eletto contingente di colti attori.
Particolare attenzione rivolgono quindi le autrici agli interventi e alle prolusioni degli uomini di teatro: drammaturghi come Giuseppe Giacosa, più spesso grandi attori come Francesco Augusto Bon, Alamanno Morelli, Amilcare Belotti, che dallattività sulla scena sono passati allinsegnamento per volgere la fame di recitare in fame di dirigere (Belotti).
Ci sono osservazioni sugli autori con cui confrontarsi, sulla scelta dei testi, addirittura sulla necessità di incoraggiare, eccitare, indirizzare, perché sorgano opere nazionali degne della maturità dei tempi (Morelli).
Si parla del rapporto tra chi recita e chi assiste: Bon sottolinea il legame speciale che si instaura (lattore ben imitando il vero, darà luogo ad agire allimmaginazione delluditore tanto da trasportarlo insensibilmente allillusione della verità. E questo tacito accordo, questo segreto patto dallimmaginazione prepotentemente voluto, abbraccia tanto lideale che il materiale della Scena.), mentre Ernesto Rossi vede attori e pubblico come ricreati reciprocamente e sottolinea negli attori la dolce soddisfazione e lorgoglio di aver compiuto un dovere.
Lattenzione si concentra dunque su ciò che lattore deve possedere e sviluppare per compiere appropriatamente questo dovere. Ed ecco che è necessaria meglio assai [
] della letteraria istruzione[
] quella che ne è il fondamento, quella che deriva [
] dallosservazione e dallo studio profondo e continuo delluomo sociale (Belotti). Di straordinaria modernità poi lattenzione al corpo e alla voce dellattore, come là dove Giacosa parla di una vocazione corporea della scena che non si deve confondere con gli attributi fisici della bellezza, della grazia, della forza, della pienezza o della soavità vocale , o dove Ofelia Mazzoni dice della parola che per ritrovarla [
] nella sua interezza di significato, quasi ridestando listinto geniale dal quale essa nacque, bisogna dirla, bisogna rappresentarla con la voce.
Unultima osservazione sul termine cura che ricorre in più contesti a indicare un atteggiamento di attenzione affettuosa e di rispetto, un agire costante e discreto per far vivere e crescere. Le autrici lo sottolineano nella prolusione di Andrea Sola la sera della riapertura del teatro il 31 ottobre1885, quando chiede per larte cure riguardose ed assidue. Lo rintracciano nellattenzione all altro che Giacosa dà come indispensabile per un attore ( Il sapere guardare e sostenere lo sguardo è la prima condizione del recitare), lo identificano con quel compianto femminile
più grande e più dettagliato, più dolce e più completo di quello che ne accordano gli uomini di cui Eleonora Duse circonda i personaggi da lei interpretati. Lo ripetono infine nella conclusione della loro ricognizione del passato che vuol costituire memoria per sviluppi futuri: come può una scuola di teatro esercitare il suo mandato di cura dellarte? Da qui si potrebbe partire per unaltra avventura, un altro racconto affidato ai personaggi delle storie che interroghiamo.
Donella_Giacotti
2012-07-29T00:00:00
Tag: attore (17)
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