Una lunga marcia all’inseguimento di sé stessi

Il nuovo libro di Eugenio Barba La conquista della differenza. Bulzoni

Pubblicato il 20/05/2012 / di / ateatro n. 139

Il nuovo libro di Eugenio Barba, La conquista della differenza (con una nota introduttiva di Fernando Taviani, Bulzoni,, Roma, 2012), apparentemente raccoglie materiali disparati, sia pure montati con grande sapienza: conferenze, lezioni, lettere, visioni… e sembra un’opera composita, una raccolta di saggi e documenti altrimenti destinati alla dispersione. In realtà è forse il testo che meglio rispecchia il suo autore, anche più dell’autobiografico Bruciare la casa (Ubulibri 2009), inevitabilmente costruito come un autoritratto. Qui, invece, affiorano quasi a contraggenio, proprio perché non tematizzati, alcuni degli aspetti segreti di Barba, quelli che si percepiscono più nei suoi spettacoli che negli scritti teorici: un fondo gnostico, che riecheggia la divisione fra i figli della Luce e i figli delle Tenebre; un realismo duro e lucido fin quasi alla crudeltà; l’ inquietudine dialettica, che in Barba diventa attrezzo tecnico e insieme visione del mondo; la capacità affabulatrice nel rievocare figure e momenti della storia del teatro o la fantasmagoria metaforica per alludere a esperienze e realtà inesprimibili nella razionalità della conoscenza oggettiva; la passione pedagogica (anche se nei fatti non di pedagogia si tratta ma di trasmissione didattica di un modo di fare teatro, diventato ormai storico, che si è scelto come antecedenti i teatri asiatici o i grandi sperimentatori del Novecento: Craig, Stanislavskij, Mejerchol’d, Copeau, Brecht, Living e, naturalmente, Grotowski…).
Ma soprattutto (e questo è un tratto che coinvolge anche chi teatrante non è) esplicita e diffusa è qui la dimensione “politica”, nel senso di aver a che fare con la pólis. Partendo dalla propria condizione di emigrato pugliese nei paesi del Nord Europa e dall’ esperienza sua e dei suoi compagni di esclusi autodidatti che si sono conquistata “un’autonomia tecnica e artistica fuori dal sistema teatrale europeo”, Barba eleva qui a teoria generale la pratica vissuta esistenzialmente in anni e anni di lavoro, di esilio vissuto come dissidenza. Marginale ma non al margine, straniero ma non estraneo, distinto ma non separato, solitario ma non isolato (sono tutte opposizioni disseminate nel testo), l’’Odin Teatret ha sempre rivendicato con orgoglio la propria diversità culturale. Ne ha fatto un punto di forza. Il teatro diventa un luogo extraterritoriale, e perciò privilegiato, in cui è possibile elaborare la propria differenza e “trasformarla in una lunga marcia all’inseguimento di sé stessi”, in cui ciò che importa non è un’impossibile sintonia fra diversi, la facile consolazione della comprensione reciproca, ma l’incontro di chi agisce insieme “cavalcando la propria differenza (…) senza soffocare quella degli altri. (…) Il frutto della loro azione, quello sì, può essere comune e unitario.” Di qui nasce anche una diversa relazione con lo spettatore, che da consumatore passivo è chiamato a essere testimone partecipe.
Ma per trovarsi occorre contrastare la nostra tendenza al radicamento, essere stranieri anche a sé stessi, “opporre resistenza a quella voce seducente che dal fondo di ciascuno di noi sussurra: questa è la tua terra. Qui ti puoi fermare.” (Sembra un ricordo dell’ invito evangelico a perdere la propria vita per guadagnarla.) Solo così ci “radichiamo”: nella transizione continua, dove l’unica identità probabile non consiste in un nocciolo duro e spesso della personalità, ma nel modo in cui decliniamo le diverse, frammentarie esperienze, le stesse diverse voci e maschere che si agitano dentro di noi, le “nostalgie e [le] necessità personali”. L’identità, dunque, passa “attraverso la pratica dello sradicamento”. Dobbiamo sceglierci il nostro passato: la cultura non è fatta di tradizione accettata passivamente, ma di incontri e di relazioni, di valori incarnati nella prassi. Diventa allora realistica e non velleitaria “una presa di posizione (…) concreta e attiva contro una società che ha paura delle sue molte anime.”

Gianandrea_Piccioli

2012-05-20T00:00:00




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