Dai barrios di Buenos Aires alla Biennale di Venezia

Il teatro di Claudio Tolcachir

Pubblicato il 08/07/2011 / di / ateatro n. 140

Iniziano oggi le corrispondenze di Giada Russo dalla Biennale di Venezia (strutturata quest’anno in una serie di residenze laboratoriali, nell’ambito del “diario online dei giovani critici” coordinato da Andrea Porcheddu.

Claudio Tolcachir alla Fondazione Cini (foto di Giada Russo).

Argentino, classe 1975, Claudio Tolcachir è una delle figure di spicco dell’’ultima generazione di teatristas appartenenti al circuito indipendente di Buenos Aires. È un artista a tutto tondo che recita, scrive, dirige, insegna e coordina il proprio gruppo teatrale, Timbre 4, fondato nel 1998 e divenuto un importante punto di riferimento della scena culturale della città.
Proprio nel 2001, anno della crisi economica argentina, Tolcachir trova una casa per la sua compagnia, il Teatro-Escuela Timbre 4, che comprende due spazi – in Avenida Boedo 640 e in Avenida México 3554 -– situati all’’interno del medesimo stabile nel quartiere operaio di Buenos Aires. Il teatro indipendente ha disegnato una nuova mappa teatrale, parallela a quella ufficiale e commerciale di Corrientes, che si dipana tra sobborghi, strade di periferia, case chorizo, appartamenti, ex depositi. Timbre 4 è uno dei tanti spazi di questa città invisibile. Già dal nome, che riproduce il numero del campanello, dichiara la propria condizione indipendente e alternativa.
Dai barrios della Buenos Aires off, Tolcachir si consacra al pubblico europeo al Festival d’Automne nel 2010 con la pièce La omisión de la familia Coleman, primo quadro di una trilogia sulla famiglia e sulla società. Applaudito in più di venti paesi, Tolcachir arriva in Italia nel 2008 a Vie Festival di Modena e, passando per il Piccolo di Milano e il Mercadante di Napoli, approda quest’anno alla Biennale di Venezia con un laboratorio rivolto a giovani attori.
I suoi testi, ironici e acuti, attingono a piene mani dalla realtà argentina, con i suoi traumi e le sue risalite. Ci sono ovunque – negli oggetti, nei personaggi, nelle storie – i segni della perdita e dell’abbandono; ma, ogni tanto, si apre qualche spiraglio: solitudini che, intrecciandosi, trovano un proprio luogo nel mondo. L’evoluzione della drammaturgia del teatrista argentino, dal primo all’ultimo spettacolo della trilogia, è portavoce e testimone del cambiamento politico e sociale del paese e di una risvegliata fiducia del periodo post-liberale.
Da Coleman a Tercer cuerpo fino al El viento en un violin, il giovane artista porteño mette a nudo i limiti e le fragilità dell’essere umano, attraverso personaggi irrisolti, dai contorni sempre sbiaditi. Non è un caso che sia proprio Beckett l’’autore a cui Tolcachir fa costantemente riferimento per mettere in scena vicende senza capo né coda, dove i ruoli sociali si capovolgono e non restano che surrogati di parole, dialoghi assurdi come la vita stessa. Tolcachir inventa un teatro emozionale (diverso dal teatro intellettuale di Spregelburd) che si appella all’’esperienza esistenziale di ogni spettatore: tragicommedie dove il realismo critico attinge sempre più al fantastico.

Giada_Russo

2011-07-08T00:00:00




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