Una sfida alla crisi: compagnia stabile e affinità elettive

Che cosa è successo al convegno di Prato

Pubblicato il 21/05/2011 / di / ateatro n. 135

Una giornata di lavoro a Prato
Ridotto del Teatro Metastasio
Sabato 26 marzo, 10/13,30-15/19

Dal documento di convocazione
E’’ convinzione diffusa se non comune che il lavoro di ensemble, e quindi la costituzione di un gruppo di attori riuniti intorno a un progetto o a un programma di lunga durata, costituisca il principale strumento del lavoro teatrale, ma la pratica del teatro italiano dal dopoguerra ad oggi non ne ha favorito l’affermazione. (…) Anche per questo il Teatro Metastasio di Prato e il Teatro Stabile della Sardegna (che a partire da questo obiettivo hanno avviato un progetto di collaborazione), lanciano un primo appuntamento a Prato sulle problematiche artistico-pedagogiche e organizzativo-amministrative che questa scelta pone. La necessità di favorire la formazione di un nucleo permanente di attori come cuore del lavoro teatrale, strumento imprescindibile di qualità e di crescita, è importante anche per il significato occupazionale che riveste, come tassello fondamentale di una “riforma” globale del teatro italiano, resa ancora più necessaria dai tempi di crisi. (…)

Un iniziativa del Teatro Metastasio di Prato-Stabile della Toscana (direttore Paolo Magelli, direttore organizzativo Massimo Luconi) e del Teatro Stabile della Sardegna (direttore artistico Guido De Monticelli)
Coordinamento: Mimma Gallina
Intervento introduttivo Andrea Porcheddu
Organizzazione: Teresa Bettarini/Teatro Metastasio

L’incontro si articola sui seguenti temi:
Esperienze e ipotesi di stabilità
Metodo e metodi, riflessioni sulla formazione
Pratiche e politiche organizzative

Sintesi della giornata di studio
(e proposte operative)

Il Teatro Metastasio di Prato-Stabile della Toscana e il Teatro Stabile della Sardegna hanno organizzato il 26 marzo scorso una giornata di studio e discussione sul tema della “stabilità” delle compagnie teatrali: esperienze, ipotesi, metodi e economia del lavoro di ensemble.
La partecipazione – più di 100 fra registi, attori, organizzatori e giovani studenti di teatro – e la qualità della discussione ha confermato l’importanza che gli operatori attribuiscono a questo tema, che riacquista centralità nella fase di difficoltà economica e politico-organizzativa che stiamo attraversando, in cui più che mai è necessario ridefinire regole e avviare una riforma complessiva del sistema teatrale.

Ha introdotto i lavori il critico Andrea Porcheddu (intervento integrale e altri documenti su http://www.teatrostabiledellasardegna.it/index.php/component/content/article/19-2010/203-prato-26-marzo-2011.html), sono intervenuti i presidenti e i direttori dei teatri promotori (Umberto Cecchi, Paolo Magelli, e Massimo Luconi per il Metastasio, Maria Grazia Sughi e Guido De Monticelli per il Teatro Stabile della Sardegna), l’assessore alla cultura del Comune di Prato Anna Beltrame, Alessio Bergamo (regista), Giancarlo Cauteruccio (regista, Kripton-Teatro Studio Scandicci), Ivana Ceccherini (regista), Maria Grazia Cipriani (Regista-Teatro del Carretto) Alessia Corniello (regista), Veronica Cruciani (attrice, autrice e regista), Angelo Curti (presidene teatri Uniti), Mimma Gallina (organizzatore teatrale, che coordinava l’iniziativa), Alessandro Garzella (regista, Sipario Toscana-TS di Innovazione, Cascina), Sonia Kovacic (Teatro Gavela, Zagabria), Cesare Lievi (regista, Teatro Giovanni da Udine), Riccardo Mallus (regista), Michele Mele (regista, Nuovo Teatro Nuovo Napoli-TS di Innovazione), Marcella Nonni (Le Albe Ravenna, TS di Innovazione), Angelo Pastore (direttore CTB, TS di Brescia), Cristina Pezzoli (Regista), Armando Punzo (regista, Compagnia della Fortezza, Volterra), Carmelo Rifici (regista), Maurizio Schmidt (regista), Franco Ungaro (direttore Koreja, TS di Innovazione) Massimo Verdastro (attore), Pamela Villoresi (attrice). Erano presenti in sala fra gli altri anche Marcello Batoli, Patrizia Coletta, Massimo Castri, Angelo Savelli, Luisa Schiratti.
Si sintetizzano di seguito alcune indicazioni emerse, che ci si augura possano costituire suggerimenti operativi e offrire spunti di riflessione per i tavoli di discussione politico-sindacali delle prossime settimane, anche con riferimento alle modifiche dei decreti ministeriali e alla discussione sull’utile dell’ENPALS.
Il Teatro Metastasio di Prato-Stabile della Toscana e il Teatro Stabile della Sardegna sottopongono tali considerazioni per discussione e approfondimenti alle rispettive associazioni (dei Teatri Stabili Pubblici e Privati) e alle altre associazioni aderenti all’AGIS, oltre che trasmetterle ai partecipanti e divulgarle via web.

La stabilità delle compagnie, ieri e oggi

Il tema in discussione non era la “stabilità” nel suo significato più articolato (intesa come intreccio complesso di attività produttiva e di gestione in un rapporto organico col territorio e in una logica di promozione del pubblico e di funzione pubblica), ma la “stabilità della compagnia” – la continuità dell’impegno professionale e la “durata” dei percorsi e dei progetti quindi- che dovrebbe esserne una componente sostanziale. Non è raro invece che si riduca a un aspetto secondario, se non formale e burocratico dell’attività delle organizzazioni formalmente riconosciute come “stabili”, mentre è spesso perseguita con maggiore convinzione e risultati – se pure con grande fatica – nelle organizzazioni indipendenti.
Eppure l’importanza del nucleo artistico si ricollega ai fondamenti e ai momenti più significativi del teatro e alla tradizione italiana e – secondo la critica più attenta – trova una nuova vitalità in tendenze e esperienze recenti. Nell’introduzione e nel corso della discussione si è accennato all’evoluzione che ha attraversato, nel corso di molti anni, il metodo della “regia critica” che ha accompagnato la nascita e la maturazione dei Teatri Stabili in Italia; non si tratta di contrapporre artificiosamente regista e attore (o mettere in discussione il ruolo dei maestri della regia), ma di constatare un progressivo ritorno alla centralità dell’elemento performativo, che riguarda molte esperienze recenti interne agli Stabili, l’evoluzione dei registi emersi negli anni Settanta e Ottanta, come gli esiti più originali del lavoro dei nuovi gruppi, secondo la critica più attenta.
Nonostante tanto l’evoluzione del gusto che l’economia sembrino spingere in questa direzione, queste esperienze convivono con una diffusa, perdurante tendenza alla “confezione” di spettacoli in senso spesso molto convenzionale, tanto dal punto di vista dell’impianto scenotecnico che della formazione (e della logica) del “cast”. La difficoltà di modificare i modi di produzione è strettamente dipendente dall’impossibilità di orientarsi nelle dinamiche di un sistema e di un mercato troppo disturbati per poter essere correttamente analizzati e indirizzati (si pensi alla difficoltà di definire la specificità delle funzioni dei diversi soggetti, alla valutazione degli elementi di chiamata, al peso della convenzione nella formulazione dell’offerta, all’assenza di valutazioni socio-economiche nella definizione dei prezzi, all’iperproduttività e ipertrofia dell’offerta), ma è una delle cause che allontana il teatro dalla collettività e dalla realtà.


Modelli, differenze, rischi

Nell’incontro (come nella relazione e nei materiali introduttivi), sono state portate esperienze interne a teatri stabili (il Metastasio di Prato, il Teatro Stabile della Sardegna, Il CTB, il Teatro Nuovo di Napoli, Koreja di Lecce, Sipario Toscana di Cascina, le Albe di Ravenna) e testimonianze di compagnie (Teatri Uniti, Kripton e il Teatro Studio di Scandicci, il Teatro del Carretto) e di singoli registi e operatori (come Cesare Lievi, Carmelo Rifici, Veronica Cruciani, Crisitina Pezzoli, oltre a un contributo scritto di Gabriele Vacis). Tentando una sintesi di pratiche molto diverse fra loro:

– i modelli di stabilità realmente perseguiti (che offrono occupazione, se non esclusiva, prevalente agli elementi coinvolti: ed è il caso dei due teatri promotori), riguardano tendenzialmente nuclei quantitativamente ristretti, da 4 a una decina di elementi al massimo con possibili eccezioni;
– a questi si affiancano in alcuni casi aree più vaste di riferimento: attori o altri collaboratori individuati formalmente, attraverso provini o percorsi formativi, e che possono essere interpellati in via prioritaria per specifici progetti. (Questa modalità può essere interpretata come l’evoluzione di una tendenza diffusa, e che ha in gran parte sostituito la compagnia propriamente detta dagli anni ’80: la tendenza di singoli registi di basare la propria attività su un “parco” più o meno vasto di attori –una compagnia informale ma spesso molto caratterizzata- composta da elementi interpellati di volta in volta in rapporto alle necessità di progetto);
– non sono mancati ensemble numerosi che hanno operato con continuità per più stagioni, ma soprattutto in quanto funzionali alla realizzazione di precisi e articolati progetti artistico-registici (è il caso di esperienze anche recenti del Piccolo, che ha praticato in diverse forme e con diverse composizioni la costruzione di nuclei relativamente continuativi). Sono davvero rari invece i casi di progetti teatrali che si fondano su nuclei numerosi, impegnati in prospettive di continuità;
– le compagnie – o i progetti di compagnia! – dichiaratamente “stabili” possono coinvolgere elementi prevalentemente giovani e selezionati ad hoc e non solo di attori (ma registi, drammaturghi, scenotecnici, o anche artisti provenienti da altre discipline): è il caso dell’esperienza tentata da Antonio Latella al teatro Nuovo di Napoli e in parte del Metastasio, o caratterizzarsi come complessi consolidati nel tempo: le testimonianze in questa direzione (Teatri Uniti, Il Teatro Stabile della Sardegna, Le Albe, il Teatro del Carretto, Koreja), hanno sottolineato la maggiore flessibilità, la forza (ma anche la fragilità) originarie dei gruppi e i percorsi attraverso cui hanno potuto consolidarsi, soffermandosi sulla necessità di individuare modalità di ricambio, rinnovamento, circolazione;
– si sono ricordati i casi – frequenti: a volte nati per valutazioni di opportunità, poi sviluppatisi con convinzione, altre volte costitutivi di progetti artistici complessi- in cui teatri stabili pubblici, privati e di innovazione hanno scelto di sostenere, spesso farsi totalmente carico di nuclei/gruppi pre-esistenti (ne ha parlato Angelo Pastore per il CTB)
– una forma analoga (o più leggera), può essere considerata quella della residenza, una possibile sintesi fra la necessità di indipendenza, ma anche di sostegni produttivi e logistici che offrano prospettive di continuità; le residenze “artistiche”, costituiscono anche la possibilità di vitalizzare luoghi periferici, moltiplicare le occasioni di confronto.

Al di là dei modelli, una riflessione rilevante potenzialmente anche sul piano operativo, ha riguardato le funzioni di direttore artistico, direttore di compagnia e regia, che non sempre coincidono o dovrebbero coincidere in un apolitica “di compagnia”.

Se questa distinzione sembra pertinente nelle strategie di un’istituzione (della stabilità riconosciuta), fra le particolarità che segnano qualche punto a vantaggio della forma del gruppo indipendente (che spesso permane in organizzazioni più strutturate), è la possibilità di lavorare su convinzioni e contenuti condivisi; un intreccio indissolubile di scelte ideali e pratiche teatrali è alla base di sodalizi di lunga durata, come di esperienze recenti: il lavoro con le comunità, nelle periferie, sulla differenza, sulla e nella società che cambia (l’accento su questi temi ha caratterizzato numerosi interventi). E’invece molto difficile che in un teatro pubblico si cerchino e accettino artisti scomodi, in grado di interpretare la realtà al di là di conformismi e compromessi.

Sono stati elencati anche i possibili e frequenti rischi insiti nelle diverse forme di stabilità: i limiti che impone alle scelte di regia (che trovano in un organico definito risorse ma anche vincoli), la possibile impermeabilità dei nuclei (assenza di ricambio e di esperienze diverse per i componenti), la ripetitività e prevedibilità degli esiti con possibili ricadute negative sul pubblico e sul mercato. Si è anche segnalato il rischio (un’’arma a doppio taglio) che si aggreghino elementi giovani e giovanissimi per motivi puramente economici.
Ma mettere l’’accento sui rischi non significa rinunciare all’’obiettivo, tanto più per un teatro stabile pubblico, che nella scelta decisa e prioritaria di dotarsi di un nucleo stabile non esaurisce i propri progetti artistici.

Sintetizzando, e senza ritenere che esistano modalità uguali per tutti, è convinzione comune che – in un’organizzazione teatrale stabile e in una compagnia indipendente che intenda proiettare la propria missione nel tempo – debba essere praticata la continuità del nucleo artistico come condizione imprescindibile di qualità nel risultato scenico, costruzione progressiva di un’identità artistica, formazione del pubblico.
La continuità della compagnia offre inoltre la possibilità di praticare politiche di repertorio (altrimenti precluse), con una serie di vantaggi nelle strategie organizzativi e economiche: razionalizzazione dei tempi di prova/recita, flessibilità nelle teniture in sede, rapporti più equilibrati e flessibili col mercato, maggiori possibilità di accesso al mercato estero, possibili contenimenti sostanziali dei costi del lavoro.
Malgrado queste valutazioni, le esperienze italiane di effettiva stabilità sono estremamente fragili e ancora incredibilmente lontane dai modelli stranieri. Quelle riferite sono infatti in gran parte esperienze a rischio, minate dalla povertà del sistema italiano, inaccettabile e incompatibile con qualunque processo di crescita e valorizzazione del teatro italiano.

Stabilità e formazione permanente

La formazione teatrale in Italia presenta gravi vizi strutturali: a una “formazione di base” diffusa e confusa (in un sistema di intrecci fra accademie e laboratori che tende a mischiare professionalità e amatorialità), corrisponde l’incapacità di accompagnare il giovane attore nel suo percorso professionale. Queste contraddizioni sono inevitabilmente recepite all’interno dei gruppi. Nel processo di costituzione e crescita progressiva di un gruppo è imprescindibile attivare pratiche di ricerca e forme di apprendimento avanzato. Su questo punto le normative ministeriali e regionali hanno contribuito ad alimentare squilibri e equivoci, spingendo gli stabili pubblici verso la costituzione di scuole di formazione di base, cui si sovrappone la pratica diffusa di laboratori. Tutto questo in assenza di adeguati approfondimenti e di una discussione sulle metodologie, le finalità, i destinatari.
Ma a teatro – in particolare in un teatro che torna alla centralità dell’attore – la formazione non può mai considerarsi completa, deve essere una pratica permanente e necessaria, e non può caratterizzarsi solo come percorso individuale, ma anche e soprattutto come consapevolezza di gruppo. E’infatti il gruppo il luogo di possibile approfondimento non solo delle tecniche proprie del singolo attore, ma anche delle poetiche. Dalla discussione (Schmidt, Bergamo, Mallus, De Monticelli, Magelli, Rifici, Cruciani), è emerso come prioritario il problema della formazione e dell’aggiornamento continuo dei nuclei già professionalizzati, è in questa direzione che si dovrebbe orientare in via prioritaria la politica formativa delle strutture stabili.

In concreto: proposte per la valorizzazione della “stabilità della compagnia”

La riforma generale di cui il teatro italiano ha assoluta necessità, deve ricostruire un’alleanza fra lo Stato, gli operatori e i cittadini, siano essi spettatori attivi o potenziali, e fondarsi su una profonda discussione sul significato del teatro nella nostra società, come valore e come servizio.
Il ritorno alla “stabilità della compagnia” può essere forse il tema centrale intorno al quale costruire metodologie artistiche, organizzative ed economiche virtuose (aperte a tutte le variabili che la combinazione dei fattori consente).
Centralità della compagnia (quindi degli attori, ma anche dei tecnici, dei registi, di scenografi e costumisti, degli organizzatori: del fattore umano insomma), significa che il “lavoro” deve essere considerato uno dei nodi principali di qualunque riforma.
Su questo punto ci sono alcuni equivoci da sfatare e qualche equilibrio da ristabilire. Il lavoro in teatro, da parte degli enti, dei politici, anche dell’opinione pubblica, è spesso considerato un “non” lavoro (soprattutto se si riferisce a elementi giovani), associato a grandi apparati e a ipotesi di spreco (se si tratta di istituzioni) o a guadagni individuali spropositati (se si pensa al singolo artista di fama). E’necessario costruire una consapevolezza diffusa (da parte della pubblica amministrazione e dei cittadini) rispetto ai giusti costi di una produzione teatrale di qualità.
E’ necessario stabilire criteri per la definizione di rapporti equilibrati nei costi del lavoro, che tengano conto dei fattori anzianità/qualità e compenso/durata dell’impegno. Le forme tradizionali dei rapporti di lavoro in teatro (non solo CCNL ancorati a un unico possibile modo di produrre e organizzare teatro, ma le consuetudini, il “mercato degli attori”, la definizione dei cachet), non hanno né ricercato né favorito questo equilibrio, nel corso di decenni.
Anche le disposizioni ministeriali, assieme generiche e gravose, non hanno spinto verso un’effettiva “stabilità”. Le prescrizioni dei decreti MIBAC di fatto certificano la “non” stabilità dei nuclei artistici e tecnici (recepiscono un dato di fatto), mentre prescrivono un numero particolarmente impegnativo (soprattutto per le realtà medio-piccole), di giornate lavorative: l’accento – e i parametri – non sono tanto sulla qualità dell’occupazione (che non può prescindere da una almeno relativa continuità di impegno per ciascun lavoratore e si traduce in qualità degli esiti), ma sulla quantità, tradotta in giornate contributive. Questo parametro, recepito come principale o esclusivo indicatore della consistenza occupazionale, è una delle cause indirette delle tendenze dispersive e iperproduttive che caratterizzano il sistema.

In rapporto alla centralità del lavoro, si ritiene che possano e debbano essere introdotti precisi incentivi alla stabilità. Alcune idee:

sul piano contrattuale: attraverso una messa a punto degli aspetti normativi e salariali, che favorisca tempi lunghi di impiego e, fatti salvi compensi minimi adeguati, consenta la sperimentazione di nuove modalità di rapporto;
sul piano dei contributi ministeriali e regionali: attraverso una revisione del parametro delle giornate lavorative, a favore di una precisa valutazione della effettiva continuità e qualità del lavoro artistico e di corretti equilibri fra costi del lavoro e costi di allestimento;
la discussione interna alle organizzazioni teatrali dovrebbe costruire un contesto favorevole alla trasformazione dei modi di produzione e distribuzione: per esempio con la condivisione e al confronto di modelli e esperienze (anche sul piano contrattuale ed economico), la differenziazione delle figure direttive, l’immissione negli organici di professionalità funzionali al consolidamento della stabilità, come quella del dramaturg e altro.

Fra le “nuove regole” che si ritiene vadano meditate, un aspetto fondamentale è costituito dalla necessità che si pratichi la formazione continua, con veri e propri piani di aggiornamento tecnico, l’approfondimento di metodi e discipline (secondo le necessità e le vocazioni di ciascuno), dedicate non solo all’integrazione di elementi giovani, ma all’aggiornamento permanente anche dei professionisti più esperti, alla mobilità e a scambi a scopo formativo.

Un aspetto irrinunciabile di una riforma complessiva del lavoro a teatro, è inoltre costituito dall’estensione ai lavoratori dello spettacolo, sia stabili che precari, degli strumenti di protezione sociale (richiesta comune di sindacati e AGIS). Non solo perché i lavoratori (e le imprese) dello spettacolo hanno diritto come gli altri a forme di sostegno alla precarietà nei momenti di crisi, ma perché è una condizione per riorganizzare il lavoro nel settore.
L’ENPALS. Per quanto riguarda questi ultimi due punti – formazione e ammortizzatori sociali – come per possibili incentivi alla continuità occupazionale, un sostegno concreto non dovrebbe competere tanto al Ministero e gravare sul FUS, quanto all’ ENPALS. L’equilibrio gestionale (e la dispersione contributiva), ha portato l’ENPALS ad accantonare un utile che qualcuno stima in un miliardo e mezzo di euro (o, da altre fonti, un miliardo e trecentomila euro). Come ha sostenuto anche il presidente dell’AGIS, Protti al convegno “Enpals, le tre facce della medaglia” (Roma, Cnel, 18 febbraio 2011), è giusto oggi che queste risorse tornino almeno in parte nelle disponibilità dei lavoratori e delle imprese. E’ importante che nelle trattative che le associazioni di categoria avvieranno con l’ENPALS, la promozione del lavoro sia al primo posto. Suggerimenti precisi – da verificare sul piano delle modalità – possono consistere nell’abbassamento progressivo di oneri contributivi rapportato alla durata del contratto (o in premi che “restituiscano” risorse a chi pratica contratti di lunga durata), e nel sostegno ai progetti di formazione interna ai teatri stabili e alle compagnie (per esempio nella concessione di borse di studio ai lavoratori – come avviene i Francia e in altri paesi europei – e in contributi finalizzati alle imprese). Va inoltre messo a punto un pacchetto di incentivi fiscali e previdenziali, e vanno definiti criteri certi nel decreto ministeriale, finalizzati all’occupazione e a progetti di accompagnamento al lavoro di elementi giovani.
Infine, è importante all’interno del sistema teatrale, ripensare al senso profondo delle coproduzioni, che si è perso negli anni con il ricorso eccessivo, spesso solo alla rincorsa di “parametri”. Il titolo della giornata di studio rimandava ad “affinità elettive”: il senso profondo della coproduzione sta nella conoscenza e nella stima, nel confronto fra artisti e metodi, nella crescita artistica e, certo, anche nelle maggiori possibilità che la condivisione di costi offre. Una coproduzione non strumentale, fondata sulle compagnie, può favorire l’incontro fra professionisti e operatori e costituisce un antidoto alla possibile chiusura dei gruppi.

I temi trattati non riguardano solo l’area della Stabilità, ma tutte le organizzazioni teatrali che basano le proprie modalità operative sulla centralità del lavoro e la continuità della compagnia. Si auspicano altre occasioni di incontro, e la costituzione di un gruppo di lavoro trasversale, in sede AGIS, che posso approfondire a portare avanti queste indicazioni.

Mestastasio-Teatro_Stabile_di_Toscana_-_Teatro_Stabile_di_Sardegna_(a_cura_di)

2011-05-21T00:00:00




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