BP2011 MATERIALI Smarketing per il teatro

Come trovare i soldi per mangiare tutti i giorni facendo teatro?

Pubblicato il 20/02/2011 / di / ateatro n. 132

Lo smarketing non è una sorta di marketing alternativo: il suo obiettivo è che si vendano meno merci in questo mondo che consuma energia e materia come se avessimo a disposizione cinque pianeti.
Lo smarketing aiuta a ridurre la filiera, a far incontrare produttori e acquirenti, anche di cultura. Quando una piccola compagnia può chiamare il suo pubblico in una sala con twitter o con una newsletter senza bisogno di organizzatori, agenti e marketer, stando fuori dai cartelloni o creandone di autonomi mettendosi in rete con altri, quello è smarketing.

1. Come trovare i soldi per mangiare tutti i giorni facendo teatro
Certo, alle compagnie spesso servono locandine più chiare, siti più navigabili, schede più efficaci, comunicati stampa quantomeno decenti. Non serve essere bravi se non lo sa nessuno; ma questa è solo tattica,comunicare bene è indispensabile ma è insufficiente se non si guarda anche oltre. Molti si mettono la cravatta e vanno a cercare sponsor; è una pratica frustrante, spesso inutile quando i finanziamenti privati sono più lottizzati e scambisti di quelli politici.
Possiamo piuttosto conquistarci autonomia economica diretta riducendo la filiera. Il compito è enorme, ma i nuovi mezzi ci aiutano. – Dobbiamo contendere il pubblico all’ipnosi televisiva su quei comodi divani domestici,
– dobbiamo chiederci come integrare il corpo vibrante dell’attore coi media digitali (sia quelli ex-nuovi come il computer, sia quelli nuovi-nuovi che stanno arrivando),
– dobbiamo, ancora una volta, chiederci quali azioni teatrali fare negli spazi scenici deputati e quali nel territorio popolato dalle persone “normali”. Per questo occorre fare un paio di riflessioni sullo scenario attuale, partendo da alcune apparenti ovvietà.

2. Cambiamento della dieta mediatica.
Prima apparente ovvietà. La televisione in mezzo secolo ha eroso pubblico a tutte le forme di incontro sociale fuori casa. Vale non solo per l’attore, anche per il sacerdote, per il fisarmonicista di liscio, per l’agitatore politico, per chi cantava con gli amici in osteria… Questo cambio del consumo culturale è stato centripeto, ha uniformato drasticamente gli stili quotidiani e l’immaginario di ciascuno, diventando il fondamento (eterodiretto) dei valori e delle aspirazioni. Con internet per la prima volta diminuisce la penetrazione dei mass-media a vantaggio di un uso di massa dei personal media. In Italia proprio in questi mesi c’è stato il sorpasso (più ore su internet che alla TV). E’ vero che la penetrazione di internet riguarda solo la metà della popolazione, ma quella urbana cui può interessare il teatro è quasi tutta già connessa, esperta ed attiva. E’ presumibile che anche questo nuovo cambio del consumo culturale modifichi radicalmente gli stili quotidiani e l’immaginario di ciascuno, ma nella strada opposta a quella della TV, cioè centrifuga dall’uniformità alla poliedricità, dal controllo alla liberazione.
3. Tendenze in atto
Seconda apparente ovvietà. Gli scenari tecnologici futuri vedranno un sempre maggiore mix tra TV, PC telefonino ed altri strumenti personal (macchina fotografica, videocamera, software grafici, georeferenziatori, strumenti agili per scambiare testi…). Non è facile immaginarsi la quotidianità d’uso di questi nuovi animali che avremo in casa e in tasca, ma non è difficile vedere tre implicazioni a cui fare attenzione:
1. Diventiamo tutti nicchie; ciascuna nicchia può schiodare dai divani catodici un piccolo ma significativo numero di sederi e farli uscire la sera, almeno per alcuni giorni al mese. 2.
3. L’esposizione ai massimi tecnologici crea voglia di minimi tecnologici; in particolare, da quando si può downloadare praticamente tutto, diventa interessante l’unica cosa che non puoi scaricare attraverso un filo: il corpo in carne ed ossa ed il flusso comunicativo dal vivo con esso. 4.
5. Un telefonino in tasca diventa foto-video-audio-camera e può farci diventare tutti autori e giornalisti, in un mondo dove i contenuti sono generati dal basso. Questo comporta il parto sofferto ma generativo di nuove competenze, stili e gusti in una nuova alfabetizzazione popolare. 6.
Vale la pena di approfondire questi tre aspetti.

3,1 Sederi liberati dalla lobotomia Ricordate i tempi antichi, quando ancora si compravano i CD e i DVD? oggi l’accesso ai contenuti è sempre più economico, articolato e non controllabile dall’alto. Se il disco della pop star prefabbricata dalle major si può scaricare “a scrocco” se ne usura il branding, si rendono contemporanee tra loro le sue produzioni precedenti e quelle recenti, quindi diminuisce l’interesse di consumare il suo megaconcerto. Invece se una band emergente con un’etichetta indie si fa strada su youtube col passaparola, facilmente troverà un pubblico bastante a fare ogni anno un discreto giro di concerti medio-piccoli; potrà mantenersi accettabilmente senza dover fare troppi compromessi. Regalare ai fan le proprie canzoni in formato MP3 sarà una forma di relazione sostitutiva ed alternativa al marketing; senza intermediari, a costo zero; chi è interessato si autoseleziona, quindi addio al vecchio concetto di target; lo scambio è leale, winner to winner: o vinciamo entrambi o perdiamo entrambi. Così tu verrai al mio concerto e porterai nuovi amici. Rispetto alla pop star, la fidelizzazione (scusate questo orrendo termine) probabilmente dura di più nel tempo; nonostante ciò l’artista può evolvere dal proprio clichet e cambiare liberamente, perché le strade tra le nicchie possono incrociarsi, fondersi o transizionare.

3,1,1 Fanno molto teatro, i non teatranti

Il fenomeno per cui esci di casa quando scopri di appartenere a una nicchia, vale per tutti i casi di evento dal vivo: hanno sempre più successo le occasioni in cui si incontra fisicamente la persona che ha una certa fama in un gruppo sociale relativamente limitato.
Vale per la poetessa iraniana che fa i reading, per l’astronomo che spiega i quark, per il produttore di aranci che, invitato a Bolzano da un GAS, racconta a quaranta persone come li coltiva biologicamente, te li fa assaggiare e ti insegna a fare colle bucce una speciale marmellata buonissima che spalma sul pane tirolese. Attenti, tutto questo è teatro.
Diversi scrittori italiani girano il Paese perché vendono più nelle presentazioni del libro che in libreria; non guadagnano molto ma è una vita piacevole: mangiano bene, incontrano bella gente e il loro narciso gode a mille. Notatelo: dopo una decina di repliche hanno la battuta giusta, imparano i tempi di lettura, cominciano a “sentire” il pubblico, scoprono come cominciare ad effetto e chiudere in bellezza… a volte fanno anche tutti gli errori teatrali del dilettante allo sbaraglio e una consulenza non nuocerebbe; tuttavia è innegabile che sono in scena. Azzarderei il seguente postulato: è teatrale qualsiasi situazione dove ci sia un pubblico, un soggetto comunicante e non si usi Power Point.

3,2 Minimi tecnologici

In modo molto empirico negli anni ’80 avevo formulato la teoria dei minimi e massimi tecnologici, incrociando i lavori di Bruno Munari con la pragmatica della comunicazione (Watzlavick). Detta in breve: quanto più la nostra esperienza si apre al virtuale, all’astratto e all’intangibile, tanto più abbiamo bisogno di equilibrarla con esperienze materiche, fisiche e sensoriali. Elaborata nell’era dell’analogico per facilitare l’esperienza artistica in età evolutiva, oggi, con gli adulti dell’era digitale, funziona anche meglio.
3,3 Siamo tutti autori

Da anni si parla di User-Generated Content. Anch’io credo che sia il futuro, anche se all’inizio dei nuovi alfabeti si è tutti nuovi analfabeti. Wikipedia ha surclassato le enciclopedie tradizionali perché milioni di persone anonime la scrivono, aggiornano, controllano, correggono, traducono. Se in qualche paese la polizia picchia dei dimostranti, decine di cellulari la fotografano e in pochi attimi pubblicano notizia e foto sul world wide web: se siamo tutti giornalisti c’è più democrazia. In tasca abbiamo (o avremo fra poco) un telefonino la cui funzione è sempre meno quello di comunicare in voce. E’ una videocamera, una fotocamera, un registratore audio, una radio (per sentirla, ma anche un mezzo per parlare in diretta ad una radio), un rapidissimo word processor. E’ anche (attenti, che è importante) un navigatore satellitare che va in googlemap: io metto l’indice su un punto della mappa ed è un input che dice “qui”. Chiunque voglia saperlo, saprà che lì c’è un buon ristorante, un bel paesaggio,… o anche un evento di arte minima, un mob, una performance, un’azione di guerrilla theatre. Incrociate questa potenzialità col fatto che siamo tutti nicchie e troverete un aspetto molto territoriale dell’essere autori: ritrovarsi in molte decine (o alcune centinaia) in un posto x, decidendolo poche ore prima… così possiamo essere tutti autori non solo di un’opera ma di un evento. Questo grazie al cellulare che dice dov’è il theatrum.

4. E ti dico una cosa già detta
Le conclusioni non sono così originali come le premesse perché ci troveremo (già ci troviamo) a proporre filoni e generi che abbiamo già frequentato e che forse sembrano (nella ricerca teatrale) sorpassati.
Spesso quel cittadino che vorremmo come pubblico, sente piuttosto l’esigenza di fare l’allenamento dell’attore, vuole esperire l’emozione, la disciplina, il coraggio, l’empatia con gli altri corsisti e anche la coralità antropologica del teatro. Non dileggiamolo se c’è in gioco anche un bel po’ di narcisismo, la questione è proprio questo mondo di trasparenti in cui ciascuno subisce milioni di input, ma dei suoi output non frega niente a nessuno. Poi c’è la questione, anch’essa annosa, del “dove”; quando si è nella macchina scenica, tra i fari e con una buona acustica, il pathos è potente; ma la gente deprivata del proprio pathos è altrove, magari sono tutti cinquanta metri oltre il muro del teatro ad aspettare la metropolitana con l’aria nervosa e depressa: non ci vorrebbe proprio lì un po’ di teatro di strada…? non c’è teatro senza cittadinanza.
Potremmo andare avanti: l’animazione coi bambini, il teatro dell’oppresso, le performances d’artista, le pantomime carnevalesche; il nuovo gramelot di tutte le etnie che ci sono su un autobus; due burattini che si bastonano e (maledizione) riescono ancora a farci ridere…
Spesso cose già digerite, che “abbiamo già fatto”, che fanno dire a molti addetti ai lavori “uffa” nel déja vu ormai poco divertente: territori desertificati che abbiamo abbandonato, magari lasciando i meno colti di noi, o i meno furbi, a presidiarli. E’ davvero una questione di evoluzione culturale? non sarà banalmente una questione di età media?
5. … già detta da diecimila anni
Non può che essere una cosa già detta, perché l’arte nel novecento, culmine dell’età del ferro, ha molto indagato l’inizio dell’espressione umana, l’età arcaica quando le arti erano indifferenziate e tutto era teatro. Sono in molti a scrivere che oggi, uscendo dall’età del ferro (che ci ha accompagnato dalla fine della preistoria alla chiusura delle grandi fonderie) e passando all’età del silicio (il computer e i pannelli solari: il piccolo col cosmico, l’individuale col collettivo globale) si vada verso nuove forme di olismo e sincretismo, di nuova oralità molto simili a quella arcaica.
Torniamo a come pagare l’affitto e la luce. Come campava uno sciamano o un cantastorie? Una compagnia di guitti sul carrozzone? Un poeta greco o un griot? L’orchestra zingara e il burattinaio? Eppure mangiavano; certo non ingrassavano, ma avevano per pubblico gente più magra di loro. Erano in una rete di relazioni sociali complessa e ramificata e il reciproco sostentamento era nello scambio, cibo dell’anima in cambio di cibo del corpo. Nello scambio, non nel “mercato”, sembrano due cose diverse ma hanno un senso opposto, il mercato è un’ideologia, lo scambio è una prassi. Nel mercato, il cibo dell’anima è studiato dai marketer: due tette siliconate che l’allattano ingozzandola di vinavil, così resta incollata. Nell’era premoderna sapevamo quando l’anima ha fame. Oggi cosa alimenta l’anima? Quest’anima anestetizzata dal più brutto dei mondi possibili, nelle più brutte città della storia, cosa può consolarla, risvegliarla, ridarle senso, passione, entusiasmo? Forse la domanda da farsi è questa: non chiedere a quale target vendere il nostro prodotto teatrale, ma piuttosto cosa affama l’anima quel potenziale pubblico che al nostro spettacolo ancora non viene, col quale potremmo, vorremmo scambiare narrazioni.

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Marco_Geronimi_Stoll

2011-02-18T00:00:00




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