Elogio della provincia
La Compagnia degli Evasi o del teatro del corpo e del sogno
In un momento di crisi (di idee e di risorse) del teatro, fa piacere fare delle scoperte in territori geograficamente insospettabili quanto a fenomeni darte scenica di un qualche livello. Il territorio è quello della provincia della Spezia, per l’esattezza Castelnuovo Magra, nel cuore della Lunigiana, dove non sono mai emerse realtà aventi forza artistica nazionale.
Gli Evasi nascono nel 2002 dalla volontà di Matteo Ridolfi, Alessandro Vanello, William Cidale, Davide Notarantonio, Elena Mele e Alessandra Carnacina e successivamente Paola Lungo. Autodefinitisi da sempre non professionisti (ma non amatori..) misurandosi con registri e repertori diversi (dal cabaret al teatro sociale) con il tempo Gli Evasi hanno raggiunto tutti indistintamente sia pur con caratteristiche interpretative diverse, un notevole livello attoriale, con oltre venti produzioni alle spalle e numerosi premi. Come non riconoscere la verve accattivante di Matteo Ridolfi nelle sue impagabili parodie di family comedy allitaliana, quella esilarante di Notarantonio, quella infaticabile di Alessandro Vanello, serio scrutatore degli animi umani ma anche comico dellarte; e in generale, come non riconoscere il valore dellimpegno della compagnia a educare a una coscienza civile più matura che trapela non solo nella scrittura originale, dalla scelta dei testi ma anche nellorganizzazione di uneccellente Festival di teatro non professionista come Teatrika di Castelnuovo?
Gli Evasi hanno una storia interessante che si lega a due presenze fisse di rilievo, quelle dellattore Marco Balma con un background di tutto rispetto (autore/attore/regista pluripremiato) e quella di ventennale esperienza sul campo di Alberto Cariola, che viene da studi con lOdin di Barba e al terzo teatro, legato quindi a unidea di teatro come manifestazione della cultura di un popolo, materia viva che penetra nelle relazioni sociali, non separata dal contesto collettivo. Passati per spettacoli che hanno avuto un peso notevole quanto a pubblico e seguito giornalistico, con storie legate rigorosamente alla memoria locale, hanno messo in scena nel 2007 una toccante rappresentazione di un episodio di vita drammatico del territorio con cui sono stati vincitori del festival nazionale di Castelfranco e di San Miniato, ora diventato anche film.
La compagnia degli Evasi si impone così a livello nazionale con questopera drammatica Sepolti vivi, una storia vera di protesta nella Lunigiana per le condizioni infami di lavoro in miniera sfociata nel 1953 in una auto sepoltura dimostrativa nei cunicoli da parte di un manipolo di coraggiosi, ben scritta e meglio espressa teatralmente, che ha avuto un merito non indifferente, quello di essere accolto e distribuito dalle istituzioni legate al lavoro come lInail. Una storia vecchia e dimenticata ma non dai vecchi che non dimenticano. E che raccontano. Così si passa dalloralità alla scena. Dai fatti alla memoria dei fatti, tramandando ricordi sottili come la carta velina. Una coraggioso e importante prova di teatro civile in cui gli attori hanno restituito la rabbia, lo sconforto, il terrore del lavorare in miniera. Dicono di questo spettacolo:
Siamo nel 36, alle porte della seconda Guerra Mondiale. Siamo nellItalia autarchica di Mussolini dove cè bisogno di tutto quello che il territorio può dare alla nazione. Siamo nella Piana di Luni. Un luogo che dimprovviso si scopre essere molto prezioso, perchè qui è possibile estrarre la lignite, un parente povero del carbone. Cè la guerra e limperativo è produrre! E si produce allo stesso modo in cui si muore: senza ritegno, senza regole. Nei fatti, se lindustria ne trae benefici enormi, i minatori muoiono sfruttati, scavando affogati nel loro stesso sudore, quando non schiacciati dai metri di terra che li separano dal cielo. Questa è la vita nei pozzi: un giorno dopo laltro, un metro dopo laltro, chini a raschiare le viscere della terra in cunicoli troppo stretti, troppo caldi e con poca, se non nessuna, osservanza di costose norme di sicurezza, utili solo a preservare la vita dei minatori e la longevità della miniera, inutili per una società che guardava al profitto e pagava a metri davanzamento: almeno uno al giorno. Incendi, esplosioni, cedimenti e frane erano la normalità, come la morte.
Il messaggio è approdato lontano e nel loro carnet hanno messo insieme più repliche di una compagnia professionista nazionale; ovunque fossero in cartellone, lo spettacolo creava il dibattito, risvegliava le coscienze, accendeva gli animi. E ovunque cera tutto esaurito grazie non alla comunicazione dei social network ma al più efficace rituale di passa parola di chi li ha visti e vuole che altri vedano. A conoscerli cè in loro qualcosa che nel teatro professionista si è in parte, perso: la volontà coesiva, la curiosità di imparare, il mutuo sostegno, lascolto al maestro.
Alberto Cariola è diventato il loro méntore, garantendo un passaggio di saperi tecnici, gesti, intonazioni, fatto non ad Ostelbro ma a Castelnuovo Magra. Una piacevole scoperta dunque questo nuovo lavoro, Fata. Favola per adulti. La storia di un passaggio da giovinetta a donna con i fantasmi e gli incubi che abitano le litanie, le fiabe, le epopee di tutti i tempi. Démoni e angeli custodi, specchi e desideri inconsapevoli che si materializzano diventando le maschere dOriente e Occidente. Quelle nere e bianche, di gobbi, guitti e dritti. Unora e cinquanta di intensa rappresentazione con il pubblico ammaliato, messo in mezzo a un passaggio continuo di sogni materializzati, di boschi e davventure dove avventurarsi, prima fra tutte lavventura dellamore. La Grande Soglia, il rito di passaggio è suggellato da simboli evidenti (porte, liminar di boschi) e la giovinetta ingenua ma anche ammaliante, Miele, viene adescata e colta in trappola come nelle fiabe: basato su Lo cunto de li cunti ovvero il Pentamerone di Giovanbattista Basile, il testo è stato la palestra per un lavoro intenso sulla voce, sul ritmo, sullazione fisica. Con la gioia del dire, con i corpi piegati a unespressione mimica da commedia allimprovviso dei tempi che furono, con Cariola e Vanello maschere inquietanti e incombenti, gli Evasi ripropongono il tempo del sogno in cui è facile rintracciare una memoria selvaggia, arcaica.
Dice Alberto Cariola che ha scritto e diretto il lavoro:
Nellestate del 2006 ci è venuta lidea di occuparci di favole, proprio di quelle storie dove uno cammina, cammina, gli dànno oggetti magici, ammazza draghi e orchi e salva principesse. Ma ci siamo resi conto che, accanto alle fiabe a lieto fine per i bambini, esiste una vasta casistica di racconti fiabeschi, provenienti da popolazioni di tutto il globo, molto più cruda, violenta, carnale, paradossalmente più reale. Abbiamo capito che ci interessava lavorare sul versante scuro della topografia fiabesca, dove il viaggio delleroe/eroina prevede lesperienza del buio, del sangue, della paura, della menzogna, della sofferenza, oltre a quella dellamicizia, dellaiuto magico, dellamore.
La vita fiabesca è il luogo del meraviglioso, ma è possibile raccontare la vita reale con il linguaggio fiabesco dentro una struttura fiabesca? Ci abbiamo provato innanzitutto prendendo il linguaggio da Basile, facendoci guidare dai maggiori studiosi del genere, tentando di costruire un testo in cui la parola può tutto, ma, come succede quando interviene una fata, cambia di segno a ogni situazione, perché non cè mai un solo lato della realtà, ma cè anche il lato opposto, altrettanto necessario. LOrco non sempre è cattivo, il Principe non sempre è buono, a volte chi ti da consigli, ti prende in giro, chi ti prende in giro, ti vuole bene. La preparazione, per quanto riguarda testo e regia, è partita dalla lettura di oltre 3200 favole di differenti aree geografiche e dallideazione dello scenario generale. Così Fata racconta la notte del giorno in cui Miele, un omaggio a Milo Manara, scopre di essere innamorata e sogna; tutto quello che sogna si materializza nella sua camera.
Riavvicinandosi fatalmente con Fata allOdin, Cariola con gli Evasi propone un teatro irradiante simboli, miti collettivi e un repertorio di muscoli, nervi, ossa e umori. Ritmo frenetico quasi da taranta, un rito primitivo/moderno fatto nella Provincia, crogiuolo in genere di mediocri attività sceniche, con buona pace di chi somministra la cultura per il popolo. Ricordo che un critico a proposito dellarte dellOdin diceva della capacità degli attori di essere un corpo che sogna, duttile materia di forme: non so se gli Evasi, compagnia non professionista, abbiano avuto questo tipo di training, ma il risultato davvero eccellente che ne è conseguito si lascia leggere (anche) così.
Anna_Maria_Monteverdi
2009-08-05T00:00:00
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