Un horror musicale e metafisico in sette stanze e tre grotte
Santarcangelo 2009
Per me questanno Santarcangelo, più che il Festival Internazionale del Teatro in Piazza, è stato Sette Stanze e Tre Grotte, dove sperimentare il potere del suono e della musica, il suo dramma ora salvifico ora terribile.
Nella prima stanza non ho potuto entrare. Sono salito fino alla piazzetta delle Monache. E’ arrivata Chiara Guidi, circondata da un gruppo di bambini. Dopo una breve esitazione ha aperto una porta e sono entrati tutti dentro, lei e i bambini. La porta si è richiusa, noi siamo rimasti a guardare quella casetta, immobili.
Ma subito abbiamo cominciato a sentire i rumori che arrivavano dallinterno: una favola inquietante e feroce, innervata dalle sonorizzazioni di Scott Gibbons. La storia mi pare piena di crudeltà, e destinata a una conclusione orribile. La seconda stanza aveva il pavimento devastato, come se fosse stato deformato da un terremoto o da una frana. Le assi di legno si erano sollevate verso il centro, aprendo fessure e fenditure. Unattrice-danzatrice ha iniziato a esplorare lo spazio, saggiando la resistenza di quelle assi.
E quelle assi, muovendosi come i tasti di un gigantesco pianoforte, producevano rumore: un cigolio, una percussione, un ritmo… Ma sembravano attivare anche altri suoni (progettati da Luigi Ceccarelli), come se la profondità il sottosuolo – fosse abitata da chissà quali inquietanti presenze, come se i gesti della danzatrice li risvegliassero e li provocassero. La danza si è fatta via via più guerresca e pericolosa, tanto che Chiara Lagani ha dovuto indossare ginocchiere e gomitiere prima di lanciarsi in un corpo a corpo con quel pavimento sconnesso e con le sue fenditure, accarezzandolo, percuotendolo, premendolo, strusciandolo.
La terza stanza si trovava esattamente sotto la seconda. Ci siamo scambiati di posto con gli spettatori che avevano vissuto lì la prima parte della performance. Questa volta i suoni calavano da un soffitto nero. Progettati da Mirko Baliani, erano diversi da quelli della prima parte: una partitura di sonorità inquietanti, angosciate. Potevamo dedurre lorigine della musica che calava dallalto in quella cassa acustica nella lotta danzata che ora non potevamo più vedere. La quarta stanza è tutta buia, loscurità è assoluta. Ancora una volta, siamo tutti addossati alle pareti. Dopo un po, avvertiamo una presenza, il rumore di ruote o rotelle, forse un bicicletta, un carrello della spesa, o una di quelle valigie che ci trascinano dietro faticosamente negli aeroporti. Passano sul pavimento, il rumore si avvicina e si allontana. Quella presenza si muove nel buio, girando tutto intorno alla stanza; poi i percorsi si fanno più complessi, casuali. Quando la luce saccende e gli amplificatori sparano un rock-punk a tutto volume, scopriamo che quella cosa era una ragazza munita di pattini a rotelle e di un visore a raggi infrarossi, in grado dunque di vedere anche nell’oscurità. Il titolo della performance è Gorgone, allude ai percorsi circolari e concentrici della pattinatrice, ma anche all’antica divinità che accecava e pietrificava chiunque osasse guardarla. La quinta stanza è nelle ex-prigioni, un edificio in ristrutturazione. Come al solito, siamo addossati alle pareti. Entrano quattro ragazzi, indossano maschere nere a forma di cono, hanno in mano lunghi bastoni con sonagli, percuotono il terreno, saggiano le pareti, come se volessero scacciare o evocare presenze di cui soltanto loro sono consapevoli. E un rito ingenuo, elementare. A un certo punto indossano corazze di metallo e legno, che li incassano e li accecano: ora sembrano delle caffettiere giganti fuggite da chissà quale paese delle meraviglie o degli orrori. Con quelle corazze-elmo, altre percussioni, scontri, in una danza impacciata e violenta. Adesso sono loro che non vedono. La sesta stanza è un teatro. Lunico teatro in cui entro nei miei due giorni al festival. Ma non cè spettacolo. Cè una conferenza del compositore Heiner Goebbels, che mostra spezzoni dei suoi lavori e li commenta, spiegando la sua drammaturgia dei media.
Racconta del suo teatro anti-narrativo, basato sulla scomposizione dei diversi elementi dellevento spettacolare luce, suono, spazio, musica, parole, corpi… e sul confronto, o meglio lo scontro tra di essi. Richiama Brecht e lo straniamento. A un certo punto, spiega: In teatro, meno fai vedere, più nascondi, e più il pubblico resta affascinato. Nel testo programmatico in cui presenta l’edizione 2009 del Festival di Santarcangelo, Chiara Guidi (delegata alla direzione dalla Socìetas Raffaello Sanzio) parla di vedere un suono, dello scambio tra sentire e vedere e delle metamorfosi che causa. E’ un chiaro accenno al fenomeno della sinestesia, al centro sia della poetica della avanguardie storiche sia di alcune delle teorie sull’opera d’arte totale, in grado di coinvolgere tutti i sensi dello spettatore, attraverso l’uso combinato di diversi media e delle diverse arti. La settima stanza, curiosamente, riprende lultima immagine che ci ha fatto vedere Goebbels: ci sono diversi pianoforti, alcuni sventrati, altri animati da meccanismi automatici, come pianole.
Su uno di questi o meglio, sulle sue corde metalliche – è infisso un essere umano dallaspetto androgino, il corpo segnato da graffiti e sporcizia. E la vittima di una delle più terribili e inquietanti invenzioni di Franz Kafka: una macchina per torturare, che inscrive atrocemente il dolore sul corpo umano. Quella che si danza qui è unagonia, uno strazio.
Le luci si riaccendono su un corpo seminudo, impigliato tra le corde del pianoforte. La musica uccide… La prima grotta è piuttosto grande, una stanza rettangolare con un soffitto di tufo. Accanto a una delle pareti, quattro microfoni bene illuminati proiettano la loro ombra nitida. La piccola folla di spettatori guarda disciplinata i microfoni e la parete. Allestremo opposto cè Theo Teardo con la sua chitarra elettrica e un tavolino con il mac, il mixer e qualche altra scatolina con pulsanti e led luminosi. Io guardo lui che suona la chitarra con larchetto o con il plettro, maneggia la timeline dei suoni preregistrati sul computer, modula il rientro dei suoni catturati in loop dai microfoni, pigia deciso un tasto dall’effetto misterioso. Nella seconda grotta grotta ci accolgono due giapponesi. Siamo una decina, ci sistemiamo tutto intorno a un altoparlante rivolto verso lalto, come una grossa ciotola.
Sul fondo, una pasta bianca fatta di acqua e amido. Il primo dei due giapponesi ha un baschetto e una giacca a quadri, sta anche lui vicino a un computer che invia un segnale sonoro allaltoparlante. Limpasto inizia a vibrare, la sua superficie sincrespa con onde più piccole o più grandi, a seconda della frequenza e del volume del segnale. Laltro sta vicino allaltoparlante, ha una camicia bianca sembra un cuoco, infila un dito nellimpasto.
Si stacca qualche frammento, bianchissimo, che inizia a prendere forme affascinanti, che ricordano le sculture di Henry Moore, che sobbalzano e si consumano rapidamente, prima di annullarsi sul fondo. Questa piccola lezione sullentropia si ripete, quelle forme sembrano vivaci animaletti, forse la vita è nata così ed è destinata ad annullarsi in quella superficie così bianca. Lingresso della terza grotta è sulla cima della collina su cui è arroccata Santarcangelo. Si entra uno alla volta, si scende una lunga scala, fino al centro della collina. Una sorta di tempietto circolare, che ricorda la pinata della Chiesa di San Clemente, ma in miniatura e nel ventre della terra.
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Oliviero_Ponte_di_Pino
2009-07-14T00:00:00
Tag: GoebbelsHeiner (2), musicaeteatro (5)
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