BP2010 Pubblico, privato, indipendente?

Siamo davvero sicuri che oggi possiamo attribuire loro ruoli, funzioni, identità, progetti differenziati?

Pubblicato il 28/02/2009 / di / ateatro n. #BP2010 , 125

Nella domanda che pongo c’è, se non una risposta certa, un interrogativo che merita una riflessione. Sono infatti convinto che laddove, almeno fino a 15 anni fa, all’interno del sistema teatro si potevano cogliere intenzioni e progetti abbastanza evidenti, le pratiche oggi sono assai confuse.
Il passaggio da un sistema all’altro è così frequente che è difficile stabilire quali siano le identità in campo. E’ il risultato questo di anni confusi, in cui la progressiva erosione dei fondi statali a disposizione è stato soltanto l’ultimo degli accadimenti negativi; non è il sostegno pubblico che manca al teatro, o perlomeno esso è soltanto l’aspetto terminale del problema, dove causa ed effetto si confondono. Basti pensare infatti che Comuni, Province e Regioni mettono nel sistema spettacolo quattro volte quello che dà lo Stato attraverso il FUS!
La realtà è che c’è una caduta verticale delle “vocazioni”, un confuso approccio della bassa politica a tutti i percorsi teatrali, uno scollamento tra la professione e la pratica del teatro, del buon teatro, e quella che una volta era la tensione culturale e politica. Un sostanziale ristagno del ricambio generazionale che ha essenzialmente “recintato” le aree dell’innovazione, facendole diventare un genere autoreferenziale.
Quale teatro può dirsi indipendente o autogestito, come si sarebbe detto fino alla fine degli anni ’80? Mi è difficile individuarlo, se non in zone molto sommerse, non finanziate dal danaro pubblico, a cui l’intero sistema offre una visibilità assolutamente minoritaria e residuale.
La proliferazione, non necessaria, delle stabilità pubbliche e private, che fino agli anni ’80 compiuti, venivano edificati su un progetto culturale e identitario a cui la politica dava ascolto non strumentale ma partecipato e convinto; il numero di imprese produttive il cui esercizio è molto spesso quello di raggiungere gli standard quantitativi per mantenere un contributo, sono i segnali di un sistema complessivamente malato che non offre garanzie adeguate di sviluppo e di mantenimento neppure sotto il profilo occupazionale.
Una recente indagine condotta dall’Enpals ha evidenziato che la giornata media di artisti e maestranze è di 96,99 giornate in un anno lavorativo, che si riduce a 19,6 giornate per gli attori. Sono numeri impressionanti soprattutto se messi a confronto con i circa 16 milioni di biglietti venduti per il solo teatro di prosa (cos’ almeno risulta dai dati SIAE del 2007), circa 350 i soggetti che ricevono un contributo dal FUS.
Sicuramente c’è una penetrazione selvaggia di iniziative casuali, che introducono nel mercato episodi che sfuggono alle regole della buona gestione imprenditoriale e del corretto rapporto tra impresa e lavoro. E’ una piaga del sistema a cui un certo atteggiamento sufficiente e liquidatorio della politica, al limite di un generico moralismo, offre una sponda di sostegno non indifferente.
E allora quali pratiche auspicare?
Sicuramente fine dell’assistenzialismo e delle rendite di posizione.
Introduzione di standard qualitativi che consentano alla professione, e a chi la esercita con serietà, competenza, passione e rigore di rigenerarsi e approdare a certezze maggiori.
E’ un percorso questo che ha bisogno della politica ma soprattutto di noi e di un rinnovato senso di responsabilità.
Senza di ciò, senza cioè l’intreccio tra buona politica e consapevolezza dell’impresa che siamo su un pericoloso crinale dove è facile sprofondare nel dominio selvaggio di un mercato senza contenuti e senza regole, decreti e leggi serviranno a poco.
Firenze, 10 febbraio 2010
Roberto Toni
Direttore Artistico e Organizzativo Teatro Stabile di Firenze
Impresa di produzione

Roberto_Toni

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