Il fotoromanzo dell’Emergenza!
Le Buone Pratiche 04 a Milano
Fra dati scoraggianti, progetti inventivi e tensioni ideali il racconto della giornata del 1° dicembre
Una Buona Pratica nelle Buone Pratiche: definirei così la giornata di “BP04 Emergenza!”, per diverse ragioni. Con ritmi serrati ma ben organizzati – il trillo della torta al cioccolato non è stato impietoso come quello del mitico peperone, anzi, è stato addirittura anticipato da alcuni relatori – figure molto diverse fra loro per competenze e percorsi hanno raccontato da punti di vista altrettanto diversi le possibilità di formarsi, di emergere e di affermarsi nel sistema teatrale italiano attuale. Anche nel quadro non incoraggiante dei dati, gli interventi non sono mai caduti nel lamento e nella polemica: pur manifestando giuste rivendicazioni ed evidenziando problemi oggettivi, sono stati animati dalla volontà di proporre soluzioni, dall’entusiasmo e dalla passione per riuscire a fare ciò in cui si crede.
Fra il pubblico, erano numerosi i giovani – attori, operatori, registi – appena usciti dalle scuole e dagli enti di formazione di cui si è voluto esaminare l’utilità, venuti da diverse parti d’Italia per informarsi e per scoprire nuove opportunità. L’attenzione della platea è rimasta desta e partecipe fino al termine
…e adesso tocca a me raccontare a chi non c’era come si è svolta questa intensa giornata, cercando di rendere onore all’interesse che i diversi interventi hanno saputo suscitare.
Erica Magris non sè persa un minuto: grazie da tutta la redazione di ateatro per questo superverbale. Le foto sono di Alice Asnaghi, allieva del corso operatori della Civica: manythanks anche a lei!
Una premessa prima di iniziare: per quanto possibile, in caso di incertezza, ho cercato di verificare, ma non posso garantire al 100% l’esattezza delle cifre citate. Se capiterà che dia i numeri, spero che i relatori reclamino una pronta rettifica!
Introduzione
Ha aperto i lavori Oliviero Ponte di Pino, con un’introduzione che ha chiarito le ragioni dell’iniziativa e ha posto le problematiche che questa edizione di BP si pone l’obiettivo di affrontare (cfr. documento). La riflessione parte dall’osservazione del cambiamento radicale che ha investito negli ultimi anni da un lato la formazione e il passaggio all’esercizio delle professioni teatrali, in particolare quelle organizzative, dall’altro i sistemi della selezione e della visibilità delle nuove leve artistiche. Una situazione in cui la moltiplicazione dei canali di (presunto) accesso al sistema teatrale sembra non significare necessariamente l’aumento effettivo delle opportunità. Da questa premessa, ci si è immediatamente immersi nei dati, grazie al quadro d’insieme disegnato da due “osservatori professionisti” dello spettacolo, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.
Il quadro d’insieme: numeri, esigenze e limiti del sistema spettacolo
GIULIO STUMPO dell’Osservatorio dello Spettacolo ha sottolineato un’emergenza che coinvolge giustamente la base stessa di ogni qualsiasi politica per lo spettacolo: i numeri. Raccogliere e conseguentemente interpretare i dati è infatti estremamente difficile, visto che metodi e parametri non omogenei danno luogo a risultati divergenti. L’Osservatorio tenta di arginare questa tendenza alla confusione, partendo proprio dall’analisi delle modalità in cui i numeri sono stati ottenuti e dall’incrocio di diverse fonti, ponendosi inoltre degli obiettivi per stabilire come raccoglierli e come interrogarli. Stumpo passa poi a illustrare i risultati ottenuti, offrendoci un’anticipazione della relazione che verrà presentata a breve in Parlamento (una primizia, quindi!).
I parametri selezionati per valutare la salute e le tendenze del sistema teatrale italiano, sono cinque :
1. Spesa pubblica
2. Spesa privata (incassi)
3. Occupazione
4. Numero dei biglietti venduti
5. Numero degli spettacoli
Per quanto riguarda la spesa pubblica, nel 2006 il taglio del FUS è stato pari al 18%: si è inizialmente passati da uno stanziamento di 464 ad uno di 377 milioni di euro (va osservato che all’editoria, ed in particolare ai quotidiani, un settore che dovrebbe reggersi sul mercato, vengono invece attribuiti 420 milioni di euro). In seguito, col decreto Bersani, il fondo è stato integrato con 50 milioni, ma la perdita è stata comunque pari all’8%, che in qualunque impresa risulterebbe problematica e che lo è quindi anche per lo spettacolo. Ai 427 milioni del FUS bisogna inoltre aggiungere i 20 milioni di euro del fondo di co-finanziamento stato/regioni, di cui però manca ancora un report. Per il momento si può affermare che si tratta del vero elemento di novità introdotto nel sistema dei finanziamenti, ma in cui si è investito molto poco. Ma oltre al FUS, rientrano nell’ambito della spesa pubblica una miriade di altre iniziative che vi ruotano attorno, e che è estremamente difficile valutare. Per esempio i fondi della Commissione Esteri, l’ARCUS, quelli provenienti dal lotto, dall’ 8 e dal 5 per mille, quelli elargiti da altri ministeri (Sviluppo Economico, Finanze), dalla Presidenza della Repubblica, senza contare le iniziative degli enti locali. La molteplicità delle unità amministrative da cui questi finanziamenti dipendono rende questi dati, pure fondamentali, difficili da riunire.
Limpeccabile logistica è stata assicurata da alcune allieve del corso operatori, disciplinate da Mimma Gallina: un ringraziamento di cuore per la loro cortesia ed efficienza, ha tutto funzionato alla perfezione.
Anche gli incassi da botteghino non sono facilmente determinabili, a causa della natura anomala della fonte principale di questi dati, la SIAE, un organismo “strano”: è privato ma riscuote per conto dello Stato. La SIAE non ha la funzione di fornire statistiche, ma di retribuire gli autori. Il dato più rilevante e sicuro pertanto è quello riguardante l’incasso in biglietteria, mentre risultano più incerti il numero degli spettacoli e degli spettatori. L’anno scorso si sono rilevati poco meno di 950 milioni di euro di incassi. La spesa al botteghino è dunque aumentata del 2%, ma non bisogna lasciarsi ingannare da questo dato positivo, che dipende dai dati riguardanti i circhi, che in precedenza non erano inclusi e che sono cresciuti del 186,7%. Anche in questo caso, bisogna andare a leggere cosa c’è dietro il dato per comprendere la realtà: questo aumento è in realtà dovuto alla tournée italiana del Cirque du Soleil, che ha fatto impennare le entrate.
Un’osservazione ulteriore: bisogna considerare che siamo quindi di fronte a numeri molto piccoli, per cui basta uno spettacolo o un film di successo a modificare completamente i risultati. In conclusione, se si escludono dai calcoli gli incassi dei circi, la spesa per i biglietti è diminuita dello 0,4%.
Per determinare l’occupazione ci si è serviti inizialmente dei dati ENPALS, che pure non sono raccolti a fini statistici, ma per il calcolo dei contributi. L’ENPALS considera quindi le giornate lavorative e le retribuzioni. Grazie a un’indagine più raffinata si evince che nello spettacolo ci sono 140.000 lavoratori; in effetti il numero in realtà corrisponde alle unità di lavoro e non rispecchia quindi la realtà delle persone effettivamente attive. Le giornate medie lavorative sono 61 all’anno, quando significativamente il parametro minimo adottato dall’ENPALS per un anno di lavoro è di 120 giornate. La retribuzione media è di circa 7120 euro all’anno. Tenendo conto che la soglia di povertà relativa per l’ISTAT corrisponde a 11000 euro, si può concludere che il 45% dei lavoratori dello spettacolo è sotto alla soglia della povertà. Se si guarda ai dati d’insieme, le retribuzioni complessive ammontano a 950 milioni di euro, cifra lievemente maggiore agli incassi al botteghino. Da un grafico che classifica le professioni per giornate lavorative e retribuzioni medie, emerge un dato preoccupante: la parte artistica rappresentata in particolare da concertisti e attori – è quella che ha una situazione più instabile e povera.
A partire dai dati così raccolti, l’Osservatorio ha elaborato un indicatore sintetico dello sviluppo dello spettacolo relativo al periodo 2001 al 2005, per il cui calcolo si è tenuto conto dell’inflazione. Nel quinquennio considerato, la crescita è stata del 4%, ma includendo anche il cinema. In realtà, senza il cinema si è verificata una diminuzione del 0,3%, perché nel cinema sono cresciuti i numeri degli spettacoli (+36%). Nello spettacolo dal vivo invece gli spettacoli sono diminuiti, se pur in maniera quasi irrilevante ( -0,21%), sono diminuite significativamente le giornate lavorative (-15%) e i finanziamenti (-19%), mentre sono aumentate la spesa privata (+8%) e il numero dei biglietti venduti (+19%).
Per concludere con una nota positiva, Stumpo ha comunicato che è stato finanziato un progetto di armonizzazione delle statistiche per gli osservatori regionali: finalmente si è presa di coscienza della necessità di capire come si raccolgono i numeri per poterli interpretare e trarne delle conclusioni, anche operative, corrette.
Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino, Giulio Stumpo e Antonio Taormina.
ANTONIO TAORMINA della Fondazione ATER ha approfondito i dati presentati da Stumpo, focalizzando l’attenzione sulle problematiche legate all’occupazione e alla formazione in ambito teatrale. Dal lavoro congiunto realizzato con Stumpo, i dati relativi al teatro di prosa presentano un aumento del personale artistico (+16%) e tecnico-amministrativo (+13%), mentre diminuiscono le giornate lavorative e le retribuzioni. Non si riscontrano quindi segnali positivi, al limite una continuità con le tendenze passate. Ma, al di là dei numeri, è fondamentale cercare di capire cosa richiede il mercato oggi e come la formazione risponde alle esigenze del mercato.
Il mercato esprime una forte esigenza di figure gestionali e organizzative altamente specializzate, le cui competenze vanno oltre il management, e possono essere piuttosto definite come cultural planning, che comprende quindi discipline come lo sviluppo urbano, l’antropologia culturale, ecc.. Le formazioni richieste dovrebbero essere quindi sempre più avanzate, e preparare professionisti in grado di agire e di reagire alle trasformazioni. Il livello che si chiede oggi è molto superiore a quello di ventanni fa e paradossalmente, le imprese hanno difficoltà a trovare le persone di cui hanno bisogno, nonostante l’offerta di formazione sia sempre più ampia.
Il problema fondamentale è che la formazione offerta è troppo generica, ed in parte ciò è dovuto alla sovrapposizione della formazione universitaria e professionale. All’inizio degli anni Ottanta, soprattutto in ambito dell’organizzazione, il fondo sociale europeo, le iniziative di alcuni istituti e di alcune regioni hanno permesso lo sviluppo di un valido sistema di formazione professionale, che è però entrato in crisi con la riforma dell’università. All’università sono infatti attribuiti oggi quei compiti che erano invece delle regioni, causando la moltiplicazione dei corsi e degli istituti. Il mondo universitario però ha paura della specializzazione, come dimostra il fatto che proprio parole fondamentali come “organizzazione” e “spettacolo” sembrano essere un tabù nei titoli dei master. La riforma universitaria non ha inciso sul mercato in realtà, ma ha messo in luce la mancanza di strumenti per valutare le esigenze del mercato.
Un’altra carenza del nostro sistema formativo siamo è l’assenza di aggiornamento e di formazione continua: si è cercato di formare nuove figure senza cercare di cambiare quelle già attive. Inoltre, non esistono programmi che permettano di stabilire un dialogo fra gli operatori di enti privati e pubblici.
Laffollata e diligente platea delle Buone Pratiche.
Nel complesso si riscontra un disordine della moltiplicazione, in cui giovani che cercano di costruirsi dei percorsi si trovano di fronte a un’offerta ampia e indiscriminata. Non esistono metodi per valutare la qualità delle formazioni, ad esempio facendo riferimento alle qualità dell’impiego trovato in seguito ad esse, e forse ci sono anche cattivi maestri.
Taormina indica delle possibili soluzioni a questo paradosso innanzitutto nello sviluppo di strumenti per analizzare l’andamento del mercato, che siano attivi ad esempio negli osservatori regionali, e quindi di forme strutturate fra università, enti di formazione, istituti di ricerca ma anche organizzazioni sindacali. Una buona iniziativa in questo senso è l’istituzione di poli formativi da parte di alcune regioni, nei quali si realizzano tutti i processi riguardanti la formazione e l’inserzione professionale, dall’analisi di mercato all’introduzione delle figure formate nel mondo del lavoro. Inoltre, il miglioramento della situazione attuale può basarsi sulla definizione di rapporti sinergici fra Governo e Regioni per creare politiche comuni che coinvolgano la cultura, la formazione, il lavoro, e infine sull’incentivazione delle imprese che vogliono investire in formazione.
Per quanto riguarda il finanziamento della formazione, negli anni Novanta si è creata una situazione anomala dovuta all’intervento del fondo sociale europeo e all’istituzione dei master (nel 1996 per esempio erano attivati 150 corsi di formazione finanziati tutti dal fondo sociale europeo). Mancano completamente i fondi strutturali del ministero dello spettacolo o del ministero dell’università.
Vi è infine la questione fondamentale delle qualifiche professionali, che sono attribuite dalle Regioni sulla base di standard stabiliti dalle Regioni stesse. Mentre il sistema spettacolo è nazionale, le qualifiche sono diverse da regione a regione, e si sovrappongono in alcuni casi a quelle rilasciate dalle università. È un grave problema di cui si è recentemente presa coscienza, anche sulla spinta delle indicative europee. Si è da poco costituito per iniziativa del Ministero del Lavoro un tavolo di discussione con Università, Regioni e Province per confrontare i dati e uniformare le qualifiche. Ma il sistema unificato (nazionale ed europeo) per lo spettacolo è ancora lontano, e i tempi per la sua messa a punto saranno ancora lunghi.
Nelle relazioni di Stumpo e Taormina le parole chiave sono quindi dispersione, mancanza di coordinamento, moltiplicazione e genericità, frammentazione. La mancanza di organizzazione, che penalizza ulteriormente l’innegabile carenza di risorse, rende quindi l’accesso e la visibilità nel mondo dello spettacolo, e nel teatro in particolare, estremamente instabile e difficoltoso sia per gli organizzatori che, soprattutto, per gli artisti. Nuove tendenze sembrano però andare nella direzione di una se pur lenta soluzione di tali disfunzioni strutturali.
Una reazione e una proposta dalle istituzioni
Fuori programma, interviene a questo proposito la SENATRICE GIOVANNA CAPELLI.
La senatrice Giovanna Capelli.
Pur ammettendo che la Commissione Istruzione e Beni Culturali, di cui fa parte, si è per il momento occupata principalmente della pubblica istruzione, afferma che essa può giocare un ruolo centrale in questa fase, in cui sono forti le esigenze di un cambiamento radicale e in cui è stata presentata una nuova proposta di legge per lo spettacolo. Purtroppo il mondo dello spettacolo dialoga principalmente con il Governo, mentre il Parlamento potrebbe e dovrebbe svolgere una funzione determinante per discutere e decidere delle politiche condivise. Come osserva una spettatrice, ciò potrebbe essere dovuto alla mancanza di una legge per il teatro, che ha reso inevitabilmente l’esecutivo il referente principale di un settore regolato da circolari ministeriali. D’altra parte Mimma Gallina evidenzia due problemi : il primo, che nel settore teatrale esiste un fondamentale problema di rappresentanza ; il secondo, che il Parlamento dovrebbe vigilare affinché l’attribuzione dei finanziamenti diventi trasparente, e si emancipi da una gestione clientelare.
L’invito avanzato dalla senatrice Cappelli di costruire una piattaforma di dialogo che agisca tramite l’organizzazione di convegni, di approfondimenti pubblici è comunque significativa e incoraggiante.
Le fondazioni bancarie: una nuova opportunità
Nell’intervento seguente si abbandona temporaneamente l’ambito delle istituzioni pubbliche per esplorare invece una Buona Pratica realizzata da soggetti privati, il cui orientamento è proprio la trasparenza: le fondazioni bancarie.
ANDREA REBAGLIO della Fondazione Cariplo offre una panoramica sulle attività svolte dalle fondazioni bancarie, un sistema recente, la cui costituzione risale al 1990 e la cui reale attività è iniziata alla fine degli anni Novanta.
Le fondazioni bancarie sono soggetti privati ma con finalità di pubblica utilità, deputate ad erogare fondi al territorio. Esistono attualmente in Italia 88 fondazioni, riunite nell’Acri (www.acri.it), un organo volto a stabilire un certo coordinamento nonostante gli inevitabili squilibri dovuti alla loro natura territoriale. I finanziamenti possono essere ottenuti non da individui ma da soggetti formalmente costituiti, siano essi enti no profit, enti pubblici o religiosi.
Spetta alle singole fondazioni determinare i propri ambiti di intervento. Tutte prevedono quello artistico-culturale, per il quale mediamente stanziano il 30% delle risorse. Anche le finalità di statuto e i documenti strategici sono stabiliti singolarmente, ma un dato che le accomuna è la messa a punto di strumenti che permettono di monitorare e valutare i risultati del loro operato. Le possibili modalità di intervento sono molto varie:
– tramite erogazioni territoriali, di solito annuali, e istituzionali, pluriennali;
– attraverso la pratica del bando, molto diffusa e ugualmente diversificata (dal bando generalista a quello estremamente specifico);
– tramite progetto, vale a dire attività in ambiti prioritari con maggiore coordinazione e intervento;
– tramite società strumentali create dalle fondazioni(fondazioni o s.p.a. per perseguire finalità specifiche).
Rebaglio entra poi nel concreto, offrendo una rassegna delle più importanti fondazioni per attività erogativi. Nel complesso, i primi dieci istituti concedono il 70% dei finanziamenti sul territorio nazionale, pari a 850 milioni di euro, di cui un terzo è destinato all’ambito artistico-culturale. Con una certa approssimazione si può affermare che al teatro siano destinati complessivamente a 100 milioni, ma senza tenere conto delle legate invece alla formazione che rientrano in altri ambiti di intervento.
– La Fondazione Monte dei Paschi (www.fondazionemps.it) interviene sul territorio nazionale, attraverso un solo bando, con due tipologie di progetto (fino a 500000 euro con almeno il 20% co-finanziato dal richiedente, per più di 500000 con almeno il 30% co-finanziato dal richiedente).
– In Piemonte sono attive la Compagnia di San Paolo (www.compagnia.torino.it) e quella della Cassa di Risparmio di Torino (www.fondazionecrt.it) , la cui azione è considerevole. San Paolo (che interviene su quattro regioni: Piemonte, Val d’Aosta, Liguria, Campania) eroga a favore di particolari enti, ma emana anche bandi specifici per rassegne e stagioni teatrali. La fondazione della CRT è più strutturata, e realizzata progetti gestiti direttamente dalla fondazione (per esempio la rassegna “Not&Sipari” per il teatro giovanile). Dei 30 milioni erogati, la metà è per lo spettacolo dal vivo.
– Meno impegnate sul fronte dello spettacolo sono le fondazioni del Nord-Est : la fondazione Cariverona (www.fondazionecariverona.org) è più volta al restauro, e quindi le attività di spettacolo finanziate sono spesso legate a luoghi restaurati, mentre nelle attività della fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (www.fondazionecariparo.it) è piuttosto presente la musica, mentre del tutto assente è il teatro. Un’eccezione in questo senso è la Fondazione Cassamarca (www.fondazionecassamarca.it), che eroga in totale 4 milioni l’anno, ha costituito una società Teatri Spa per la gestione dell’ambito teatrale. Attualmente la società gestisce 5 strutture teatrali finanziate con 3 milioni di euro. Cassamarca è quindi diventata una fondazione operativa.
– La fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (www.fondazionecarisbo.it) presenta un’attività teatrale legata al sostegno sul territorio su enti specifici, come Teatri di Vita e Teatro Aperto.
– La fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (www.fondazionecarige.it) sancisce bando generalista in cui il teatro è previsto tra le linee prioritarie.
– La fondazione Cariplo (www.fondazionecariplo.it) ha un’attività molto ricca, di cui il progetto Être è un esempio (cfr. documento).
Al tavolo, Oliviero Ponte di Pino e Andrea Rebaglio.
Secondo Rebaglio, è necessario che gli operatori teatrali si informino e intervengano in questo ambito, che sta vivendo un momento di trasformazione e sviluppo. Bisogna interagire e insistere con le fondazione, perché sono alla ricerca di idee per diversificare e rendere più efficaci le proprie attività.
Geografie a confronto: Milano e Napoli
Dalla panoramica nazionale sulle attività delle fondazioni e sulle opportunità che esse possono offrire, l’attenzione si è poi spostata sull’esame di alcune realtà territoriali specifiche che stanno vivendo situazioni apparentemente molto lontane: Milano, che da tempo vive una profonda crisi culturale, e Napoli, che invece pare entrata in una fase particolarmente felice.
ANTONIO CALBI si misura con la realtà milanese. Per Calbi, Milano non riesce a intraprendere la strada della sua ridefinizione culturale, a causa di un problema fondamentale di risorse e di regole condivise, che coinvolge più in generale la gestione della città.
Nel secondo dopoguerra, con la fondazione del Piccolo che, va ricordato, fu fondato da due ventenni con l’appoggio di un sindaco illuminato – il sistema teatrale milanese costituiva un’eccellenza del sistema teatrale italiano. Nei sessantanni successivi, si sono verificati picchi positivi e cadute negative, che hanno condotto ad un perdita di importanza e di influenza. Il modello romano, che costituisce una serra creativa ineguagliabile rispetto a Milano, secondo Calbi rischia di disperdere le proprie risorse perché, anche se ben organizzato dal punto di vista mediatico, manca di un vero e proprio sistema. In questo senso Milano offriva qualcosa di diverso, forse meno stimolante ma meglio organizzato. Dalla nascita del Piccolo, e in alcuni casi proprio in opposizione a questa istituzione così forte, sono nate infatti altre realtà, fra cui ad esempio Teatridithalia e il Teatro Franco Parenti, creando un tessuto ricco e ben programmato. Negli anni Ottanta e Novanta questo sistema ha subito però un fenomeno di degradazione inevitabile, perché il teatro è inscindibile dalla collettività di cui è lo specchio: la città ha perduto la propria identità culturale, e il teatro non ha più saputo raccontare la nuova realtà in cui si è trovato ad operare. Attualmente il sistema è ancora ricco, perché vi resistono realtà storiche che continuano ad avere fiducia nel futuro, alle quali si aggiungono realtà giovani ed “emergenti”, ma è necessario capire come riorganizzarlo.
Una strada potrebbe essere quella della razionalizzazione, anche rispetto al sistema della convenzione che pure fa parte del bagaglio della città e del suo senso civico. Anche se il modello della convenzione permette agli operatori di avere continuità e fiducia, contiene delle aberrazioni e si basa su criteri inefficaci, ad esempio le performance dei teatri sono valutate a volte in modo uniforme, senza una reale assunzione di responsabilità da parte degli organi preposti alla valutazione.
È inoltre importante approfondire il dialogo fra i diversi enti locali, ma anche con le fondazioni, per costituire una vera e propria rete. Infine la questione delle regole e della trasparenza, per cui l’amministrazione si sta dotando di nuovi criteri per gestire finanziamenti anche di piccola entità. Nel complesso, bisogna mirare a costituire un albero orizzontale di relazione con il mondo del teatro, che tenga conto dei suoi diversi rami, delle loro diverse caratteristiche ed esigenze (fondazioni, teatri storici di produzione, piccoli teatri con flessibilità di regolamenti, gruppi indipendenti, teatro amatoriale), in maniera tale che l’operatore non si senta isolato ma parte di un arcipelago articolato. Indubbiamente sono necessarie maggiori risorse, sia da parte delle istituzioni pubbliche, sia dai privati. Milano si deve rilanciare, deve recuperare la crisi che si è meritata con uno scatto di orgoglio, nonostante il rischio sia grande perché non c’è al momento una regia riguardante la vita cittadina.
ANGELO CURTI di Teatri Uniti riscontra la distanza, quasi la complementarietà che separa Milano e Napoli – una ha avuto il primo stabile italiano, l’altra l’ultimo ad esempio e che le renderebbe, se fosse possibile unirle, una grande città. A proposito del tema dell'”emerso” e dell'”emergenza”, Curti richiama l’immagine dell’iceberg, in cui una parte sommersa è invisibile, ma alimenta il movimento e dà sostegno alla parte visibile. Milano forse è un iceberg al contrario, in cui la parte strutturale e visibile manca però di un nutrimento che ne renda possibile il funzionamento, mentre a a Napoli si verifica il contrario.
Angelo Curti.
A proposito dei numeri citati riguardanti i finanziamenti pubblici e privati Curti ricorda una frase di Lucio Amelio, una grande figura per i “ragazzi degli anni Settanta” che all’epoca iniziarono a occuparsi di cultura a Napoli, che riuscì a creare un vivace tessuto artistico operando esclusivamente in ambito assolutamente privato: “Il mondo è pieno di soldi, basta saperli trovare”. Attualmente però la tendenza all’intervento economico nel settore della cultura è di spostare il centro delle risorse dall’ordinario allo straordinario, il contrario di ciò che avveniva un tempo e che permetteva di normalizzare, di integrare le realtà emergenti. Ad esempio, per Falso Movimento agli inizi il borderò richiesto dal ministero rappresentava una garanzia di stabilità.
Teatri Uniti riceve oggi 365.000 euro dal ministero, che ovviamente non sono sufficienti. Bisogna inventarsi risorse diverse, per una cifra almeno equivalente, trovando vie alternative, che esistono. Anche se Curti lascia aperto il dubbio sul fatto che sia un bene o meno, bisogna accettare questo stato di fatto, diventando flessibili e precari, presentandosi però in maniera più forte nell’industria culturale, stabilendo relazioni con altri contesti, e cercando di esprimere sempre quel valore aggiunto che il pubblico cerca. La tendenza alla precarizzazione è un atteggiamento che coinvolge i soggetti e gli operatori. Secondo Curti, bisogna rivendicare con forza l’aumento del dato assoluto di investimento sulla cultura, e, se pure con risorse minime intervenire con grande forza e visibilità. La visibilità e la selezione sono due cose che non vanno distinte, perché si è selezionati quando si è visibili.
EMANUELE PATTI dell’Arci, illustra le risposte che l’associazione, in particolare nella provincia di Milano, può fornire alle “emergenze” teatrali attuali. L’Arci, che ha cinquantanni ed è fra le più grandi associazioni culturali e ricreative d’Europa, ha svolto un ruolo importante nella storia del teatro italiano, perché all’interno del suo circuito sono iniziate carriere importanti, come quella di Dario Fo. Attualmente, in particolare a Milano, diverse nuove realtà hanno trovato nell’Arci il loro bacino ideale. La città conta 170 circoli, di cui solo una ventina fanno promozione culturale quotidiana, e può vantare 73.000 soci, a riprova di quel senso civico di cui parlava anche Antonio Calbi. A livello nazionale, gli spazi dell’Arci dedicati alla cultura, in particolare alla musica, sono circa 2000.
Gli spazi Arci vogliono essere presidi di realtà in decadenza, che rischiano la marginalità, in cui è difficile creare aggregazione. L’organizzazione è no profit, ma nonostante tutto riesce a creare dei posti di lavoro, e si basa su un funzionamento orizzontale, non verticale. La forma associativa è prescelta da un buon numero di artisti e operatori, per realizzare il loro sogno nel cassetto.
Il teatro entra in questi luoghi in vari modi : non esiste un vero proprio un settore dedicato alle arti sceniche, ma le iniziative nascono piuttosto da esigenze che vengono dal basso. Una prima ragione per cui gli artisti si rivolgono all’Arci è per avere spazi di rappresentazione e di prova. Un altro momento di contatto sono le rassegne, fra cui alcune hanno continuità e visibilità. Infine, molte compagnie hanno attraversato l’Arci, ed hanno elaborato progetti che poi sono diventati autonomi. Il comitato provinciale ha anche inventato la “Festa del teatro” il 29 ottobre, la cui organizzazione è stata poi ripresa dal comune ed ha assunto dimensioni più vaste. Si richiedeva ai teatri di abbattere il costo del biglietto e in qualche circolo venivano promossi spettacoli di emergenti.
Un’ultima iniziativa, il progetto “Via libera” realizzato con l’appoggio della Fondazione Cariplo per aiutare la circuitazione di eventi nati all’interno dei circoli. Al momento ci sono quattro produzioni teatrali che stanno girando.
Per concludere, secondo Patti, l’attività per il teatro del comitato della provincia di Milano è scarsa, insufficiente, per due motivi principali: da un lato i costi alti del teatro rispetto alla povertà delle risorse Arci, dall’altro la difficoltà dell’associazione a dialogare con singoli soggetti, una rete sarebbe certamente più consona all’organizzazione.
L’emergenza a cui l’Arci riesce a dare una risposta è la mancanza di spazi, a causa della vocazione stessa dell’associazione, che è riempita con istanze che vengono dal basso e che riempiono di contenuti i circoli.
PATRIZIA BORTOLINI, responsabile del settore cultura della Federazione PRC/Sinistra Europea di Milano, interviene fuori programma sulla situazione milanese. Bortolini mette in luce il problema dell’identità, e in particolare dell’intolleranza e della memoria, e sottolinea il fatto che il sistema culturale milanese si è ormai appiattito sul modello e sui contenuti del sistema televisivo privato. In questa crisi bisogna ricostruire il rapporto società-politica e indurre le persone a contribuire al governo.
Nello strettissimo rapporto fra società e teatro che è emerge da questi interventi, il sistema teatrale sta subendo un processo di precarizzazione globale, che investe le figure professionali, gli enti ma anche lo statuto stesso delle arti sceniche nel tessuto sociale, e che sembra incrinare il legame necessario fra visibilità e selezione. In questo contesto, agli operatori, artisti e organizzatori è richiesta una sempre maggiore inventiva e determinazione, ed una capacità di cogliere e provocare le occasioni attraverso canali non istituzionali. Si impone quindi il tema della formazione, vale a dire degli strumenti che il sistema esploso delle formazioni può offrire ai giovani per affrontare questa situazione.
La formazione: innovazione e confronto internazionale
La <B
Erica_Magris
2007-12-10T00:00:00
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