Il naufragio di Arlecchino diventa un film

A ilha de Arlequin al Piccolo Teatro

Pubblicato il 15/05/2007 / di / ateatro n. 108

Certo ricorderete il racconto commosso della nostra Perfida de Perfidis (un piccolo poetico scoop, ripreso poi dagli altri organi di stampa) sul naufragio di Arlecchino: come in un canovaccio goldoniano, come all’inizio dell”Isola degli Schiavi” di Marivaux (l’ultimo spettacolo di Strehler). Ma era tutto vero!
Di ritorno dalla tournée negli Stati Uniti, le scene, i costumi, l’attrezzeria di Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo viaggiano chiusi in un container blu chiaro sulla CP Valor, un colosso del mare lungo 177 m e alto 35. Il 9 dicembre 2005 la nave si incaglia nella Praia do Norte, Baia di Ribeira de Cabras, isola do Faial, la più occidentale delle Azzorre. Nei giorni successivi la tempesta non si placa, la nave si inclina e il carico comincia a disperdersi in mare, creando anche gravi preoccupazioni ecologiche. Era possibile seguire tutto sul documentatissimo sito del porto, quasi in tempo reale, e tuttora potete sfogliare
note e immagini dell’insolito diario.
Alla fine anche il cointener azzurro precipita, le casse si aprono, e tutto quel mondo fantastico si sparpaglia fra le onde, in parte si inabissa, in parte è trascinato a riva. Alle Azzorre si devono conoscere tutti, e per di più qualcuno nella compagnia Teatro de Giz della città di Horta lavora come biologo marino, non ci vuole molto perché i resposabili del porto capiscano che si tratta di elementi teatrali e contattino il gruppo. Gli attori stupefatti corrono sulla spiaggia e alla discarica dove i resti del naufragio sono in parte già stati gettati. Recuperano i primi costumi, qualche oggetto, salvano Arlecchino dalle acque, un attore ne indossa l’inconfondibile maschera.. Capiscono di trovarsi di fronte a uno spettacolo di “commedia dell’arte”, risalgono al Piccolo, lo contattano. E’una favola, un dialogo stupito e surreale quello che si intreccia fra il gande teatro e la piccola compagnia.
Da questa incredibile vicenda , che “fa emergere la poetica coincidenza fra finzione e realtà” (come si sottolinea nell’invito), è nato un film, L’sola di Arlecchino (A ilha de Arlequin), prodotto dal teatro de Giz di Faial (Azzorre/Portogallo) e dalla Radio Televisione Portoghese (RTP-Azzorre),con la regia di Josè Medeiros. Il Piccolo lo ha presentato nel quadro delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario domenica 6 maggio.
Le immagini documentarie del naufragio e del ritrovamento. Le testimonianze degli attori locali, meravigliati e incerti protagonisti di una favola vera e assieme consapevoli della sua valenza metaforica. Le interviste emozionate a Giulia Lazzarini (cui la vicenda sembra un ultimo indedito copione di Strehler), a Pamela Villoresi (che era Silvia nell’Isola egli Schiavi e quasi passa il testimone ai giovani colleghi lontani) e a Sergio Escobar (appena un po’ più istituzionale). Il coinvolgimento stupito di Alessandra Vinanti – responsabile della tournée negli Stati Uniti – fino ad allora ignara o quasi della posizione geografica delle Azzorre. E l’incontro allegro dei giovani portoghesi con i giovani milanesi della compagnia di Arlecchino.Tutto questo, più che caratterizzare il film come un documentario, crea la cornice e i raccordi di uno spettacolo “necessario”.
Cosa racconta l’arrivo di Arlecchino al Teatro del Giz? Cosa dicono quella maschera e quel costume reincarnati su una spiaggia delle Azzorre? Servo e straniero, nero il volto e naufrago come gli emigranti di oggi – solo di questi un po’ più fortunato – Arlecchino non è l’allegro “servitore di due padroni”. La compagnia scopre L’Isola degli Schiavi di Marivaux-Strehler, è quella la favola in cui sono precipitati come in sogno, quello lo spettacolo che metteranno in scena. Nell’isola dell’utopia settecentesca, i servi – Arlecchino e Silvia – e i padroni – Madame e Monsieur – sono costretti a scambiarsi i ruoli in un ambiente ostile e fondare un nuovo patto sociale. Nel territorio aspro dell’isola di Faial, in un alternarsi di esterni con ventosi paesaggi mozzafiato e interni teatrali (caratterizzati dai pochi necessari elementi che disegnano i personaggi e i loro perduti ruoli sociali), l’utopia rinasce mescolando fantasia e verità, come se il naufragio “reale” le avesse ridato vita e vigore. Come se quelle immagini di vento e mare in tempesta l’avessero catapultata nel presente. Arlecchino e le sue disgrazie diventano per gli attori del Teatro del Giz (che recitano, cantano, suonano benissimo, con entusiasmo e partecipazione contagiosi, pur non essendo – per necessità -professionisti), un simbolo del sud del mondo e il teatro, uno strumento di riscatto: le Azzorre, che sono territorio portoghese e dunque Europa, sono tra l’altro una delle mete dei viaggi dei disperati che dall’Africa cercano di entrare nel “Primo Mondo”.
A Ihla de Arlequin non si limita dunque a dare un significato contemporaneo a un’incredibile metafora, è soprattutto un bel film sul teatro, sul mondo del teatro, sul senso del teatro.
Ma c’è un’altra favola nella favola: è l’incontro reale di un gruppo di artisti persi su un’isola delle Azzorre con uno dei teatri più famosi del mondo, e di come questo incontro possa contribuire a dare senso al grande vecchio che quest’anno festeggia i suo sessantesimo compleanno. E dà forse senso anche all’estenuata ripresa di uno spettacolo pure lui sessantenne. La prima italiana del film, celebrata un po’ in sordina e a inviti la sera di domenica 6 maggio, è stata uno dei momenti più originali e carichi di significato di questo anniversario.

Mimma_Gallina

2007-05-15T00:00:00




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