Il naufragio di Arlecchino

La CP Valour s'incaglia nelle Azzorre con il container del Piccolo Teatro

Pubblicato il 22/04/2006 / di / ateatro n. 098

Sono diventata buona? Sono diventata poetica? Chissà… Intanto – mentre voi cercate di immaginare se si farà il nuovo governo, e se c’è una poltroncina a disposizione (Prodi ha promesso qualcosa anche a voi, quando siete andati a trovarlo?) – ho una storia bella e triste da raccontarvi!

L’isola degli schiavi, regia di Giorgio Strehler, 1984.

Una spiaggia su un’isola sperduta in mezzo all’oceano. Un tempesta invernale, onde gigantesche, una nave viene sospinta verso la riva e s’incaglia.

La CP Valour s’incaglia alle Azzorre.

Il mare si placa, i marinai cercano di alleggerire il carico, ma non c’è niente da fare. La nave non si muove, è in trappola. Pochi giorni dopo, una nuova tempesta, ancora più terribile. Onde gigantesche spazzano il ponte, s’abbattono sulle fiancate. La nave s’inclina, il carico comincia a scviolare in mare.

La CP Valour s’inclina, i container cadono in mare.

Parte del carico affonda, ma molte casse e bauli galleggiano sulle onde, alcune vengono spinte a riva dalla corrente.
Le casse sono sfondate, ma dentro alcuni bauli ci sono ancora costumi, parrucche, scenografie, maschere, fotografie e manifesti teatrali, l’occorrente per il trucco.

Uno dei container della CP Valour: costumi, maschere, manifesti, fotografie…

Gli attori di una compagnia teatrale vengono informati di quello strano carico. Arrivano sulla spiaggia battuta dal vento dell’oceano. Tra i relitti, trovano quello strampalato tesoro. Provano quei costumi, indossano quelle maschere. Hanno qualcosa di strano, di magico. Vedono un costume pezzato, coloratissimo, sono davvero tutti i colori dell’arcobaleno. Un giovane attore lo indossa. C’è un altro costume, una ampia gonna e un corpetto scollato, lo trova una ragazza. E ancora umido, ha il sapore del mare, lei lo indossa ugualmente. In fondo a una cassa, avvolto da una pezza colorata, lui ha trovato una maschera. Toglie accuratamente la sabbia e le alghe, il suo volto scompare dietro quelle fattezze vagamente demoniache. Lei lancia un urlo, come spaventata, poi ride. Lui la insegue.
Gli altri li guardano senza capire.
Su quella spiaggia quell’Arlecchino e quella Colombina corrono per un po’ avanti e indietro, ridono, si abbracciano, si guardano, si allontanano. Fanno strani gesti. Cominciano a calarsi nei personaggi. C’è qualcosa di strano, una tensione che non avevano mai provato. C’è un antico copione che ricordano dalla scuola di recitazione.

IL PAESE DELLA CUCCAGNA di Carlo Goldoni
ATTO PRIMO, SCENA PRIMA

Spiaggia di mare con veduta di legni naufragati.

PANDOLINO, poi POLLASTRINA

PAND.
Chi m’insegna, chi mi dice
L’infelice Pollastrina
Se più vive, poverina,
O se morta è in mezzo al mar?

Povero Pandolin! che gran disgrazia!
M’avessero quell’onde subissato;
M’avessero ingoiato
Un’orca, una balena,
Ch’ora non proverei sì fiera pena.
Povera Pollastrina!
Per amor mio s’è indotta
A lasciar la sua patria, e con la madre
E col fratel meco è venuta in mare;
Ma prima d’arrivare
A far in terra il nostro sposalizio,
Se n’è andata la nave in precipizio.

Chi m’insegna, chi mi dice
L’infelice Pollastrina
Se più vive, poverina,
O se morta è in mezzo al mar? (parte)

ATTO PRIMO, SCENA SECONDA

POLLASTRINA dall’altra parte.
Chi m’insegna, chi mi dice
L’infelice Pandolino
Se più vive, poverino,
O se morto è in mezzo al mar?

Povera Pollastrina!
M’avevo ritrovato un buon marito,
E appena l’ho trovato, l’ho smarrito!
Mi dispiace perduti
Aver la madre ed il fratello in mare;
Ma oimè, che più penoso
M’è il dolor d’aver perso il caro sposo!

Chi m’insegna, chi mi dice
L’infelice Pandolino
Se più vive, poverino,
O se morto è in mezzo al mar? (parte)

SCENA TERZA

PANDOLINO, poi POLLASTRINA

PAND.
Chi m’insegna Pollastrina?

POLL.
Chi m’insegna Pandolino?

PAND.
Se più vive, poverina?

POLL.
O se morto è in mezzo al mar?

(Vanno smaniando per la scena, poi si scoprono e si riconoscono)

POLL.
Pandolin!

PAND.
Pollastrina!

POLL.
Idolo mio!

PAND.
Tu sei qui? Tu sei viva?

POLL.
Tu non sei naufragato?
a due
Evviva, evviva!

PAND.
Tua madre?

POLL.
Oh sventurata!

PAND.
Tuo fratello?

POLL.
Oh meschino!
Li ho veduti andar giù,
E non li ho più veduti a tornar su.

PAND.
Come ti sei salvata?

POLL.
Io mi son attaccata
A un bravo marinaio,
Ed egli semiviva
M’ha condotta del mar in sulla riva.

PAND.
E il marinaro poi,
Così tra viva e morta,
Ti ha fatto nulla?

POLL.
Il diavol che ti porta.

Sono le prime battute del Paese della cuccagna di Carlo Goldoni, quelle che si ricordano e recitano i due giovani attori. Perché quelli che indossano – quelli in cui si trovano così bene – sono i costumi di un altro spettacolo goldoniano, L’Arlecchino servitore di due padroni, che da quasi sessant’anni gira i teatri di tutto il mondo.
Avrebbero potuto essere anche le prime battute di un altro testo portato in scena da Goorgio Strehler, L’isola degli schiavi di Marivaux. Un altro naufragio, su un’altra isola deserta, quello raccontato da Strehler e Marivaux. Questa volta Arlecchino e Colombina sono in viaggio con i loro padroni, e il quartetto di servi e signori dovrà cavarsela tra le mille difficoltà di quell’ambiente ostile e fondare un nuovo patto sociale.

Dalle note di regia di Giorgio Strehler per L’isola degli schiavi

Un teatro in penombra. un velo azzurro scuro che copre dall’alto il palco, come un sipario. di colpo una tempesta come nella Tempesta, ma minore.

La Tempesta, regia di Giorgio Strehler, 1977.

non tragica. piuttosto quasi infantile. si intravede tra i lampi l’ombra di una piccola nave a vele spiegate che ondeggia, si impenna, si piega, sparisce, riappare. la piccola nave perde le vele, gli alberi minuscoli si spezzano. poi tra fragori e spruzzi, s’inabissa.

L’isola degli schiavi, regia di Giorgio Strehler, 1984.

buio di colpo. silenzio.
luce. appare l’isola.
è un palcoscenico vuoto, bianco. sabbia lo copre. blu, quinte e fondo lontano. tutto assoluto. sul palco. in una luce d’aurora che si alza e un poco di vento che solleva qua e là, lievi onde di sabbia, quattro corpi umani distesi, addormentati in posizioni diverse di sonno profondo. nudi. due uomini e due donne. per il palcoscenico vestiti, sparsi:
gonne sottogonne, corpetti colorati e biancheria, calze, scarpine, due con ricca fibbia, due senza, brachette intime, calzoni con nastri e senza. una spada con fodero ed elsa dorata, un ventaglio dipinto, un ombrellino di seta trasparente. tutto abbandonato a caso come dopo un naufragio.
e c’è anche qualche resto di legno, qualche lembo di vela, un bauletto sfasciato semisepolto, un chitarrino con poche corde. due bottiglie coi vetri che brillano nel sole come diamanti.
lentamente i corpi, uno dopo l’altro, incominciano a muoversi: si svegliano. le due figure femminili in ombra da un lato.
le due figure maschili in luce dall’altro.
i due uomini si girano, stirano le braccia,
sbadigliano, poi si vedono l’un l’altro. si scoprono e gridano quasi di meraviglia, riconoscendosi. uno dei due uomini ha sul viso una maschera nera.
l’altro ha il trucco disfatto di un attore.

L’UNO Aaaaaaaaa… Arlecchino!
L’ALTRO Ssssssssss… Signore! Voi?
L’UNO Tu?
L’ALTRO Io.

Un abbraccio di smarrimento

MONSIEUR In un’isola. Che ne sarà di noi?

L’isola degli schiavi, regia di Giorgio Strehler, 1984.

Sembra quasi che Giorgio Strehler, come il Prospero della Tempesta, abbia voluto giocare con il destino, mandando i costumi del suo spettacolo più celebre a naufragare su un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico.

Perché quello che vi abbiamo raccontato è vero, quasi tutto vero. Un ottimo sito documenta giorno per giorno, ora per ora, la successione degli eventi (le immagini del disastro le abbiamo prese da lì).

I fatti. Nell’autunno del 2006 la compagnia del Piccolo Teatro porta il suo “spettacolo-manifesto”, L’Arlecchino servitore di due padroni, in tournée negli Stati Uniti. Dopo gli abituali trionfi, che chiudono i materiali di scena in un container e lo caricano su una nave che batte la bandiera delle Bermude, la CP Valour. A bordo ha 800-1000 container, una grande quantità di carburante e diversi fusti con varie sostanze chimiche.
Dovrebbe essere un viaggio tranquillo, dal Canada a Valencia. Del resto cosa può la furia della natura contro un colosso lungo 177 metri e alto 35? Ma il mare, si sa, è da sempre una macchima che impasta i destini di navi, uomini e cose.
Il 9 dicembre la CP Valour s’incaglia nella Praia do Norte, Baía da Ribeira das Cabras, sull’Isola do Faial, la più occidentale delle Azzorre. Malgrado i diversi tentativi di liberarla, alleggerendo il carico e sfruttando le maree, la nave resterà lì, a pochi metri dalla riva, per molti mesi, in balia delle onde, scaricando a mare idrocarburi e altre sostanze chimiche e causando una piccola catastrofe ecologica.

I tecnici esaminano la spiaggia della Baía da Ribeira das Cabras dopo che la CP Valour ha scaricato sostanze inquinanti.

Qualche settimana dopo, siamo ormai a gennaio, arriva un’altra tremenda mareggiata. In mare finiscono anche alcuni dei container che si trovavano a bordo, compreso quello che contiene il materiale del Piccolo Teatro di Milano. Sul sito informano che la CP Valour, tra i suoi molti tesori, trasportava anche “os adereços de um grupo de Teatro Italiano de nome ‘Piccoli'”.

Ecco la prova: tra i tesori che la furia dei marosi ha strappato alla CP Valour ci sono davvero “os adereços de um grupo de Teatro Italiano de nome ‘Piccoli'”.

Così ai primi di febbraio sulla Praia do Norte arriva un gruppo teatrale locale, il Teatro de Giz della città di Horta. Capiscono che quel materiale appartiene al Piccolo Teatro e si mettono in contatto via e-mail con via Rovello. Da Milano rispondono subito:


“(…) I am the tour and production manager of the US Tour of Arlecchino and all of us were so desperate about this incredible adventure.(…) Our container is a Hanjing clear blue one which was on the afterhold (waves’ side, unfortunately) and I imagined that in a short time it would fall down. We thought everything was lost and your message was a sparkling light in this nightmare…”

Un’altra coincidenza, in questa storia piena di coincidenze. Era il 1970. Davanti al porto di Genova andò a picco una nave da carico filippina. Migliaia di genovesi furono testimoni della tragedia: i marinai vennero inghiottiti dai flutti dopo che una rudimentale teleferica non era riuscita a portarli in salvo, il capitano si suicidò dopo che sua moglie si era schiantata sugli scogli. De André scrisse allora l’unica canzone recitata della sua carriera:


“I marinai foglie di coca digeriscono in coperta…
il pasticciere di via Roma sta scedendo le scale…
E la radio di bordo è una sfera di cristallo, dice che il vento si farà lupo e il mare si farà sciacallo….
E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli i marinai…”.

Quella nave si chiamava la London Valour, forse la canzone di Fabrizio è la colonna sonora perfetta per questa storia.
E se volete una lettura che dia forma al ricordo ed evochi le atmosfere adatte, va benissimo il primo Tabucchi: quello dei racconti d’esordio (ne ricordiamo un paio, bellissimi, molto teatrali, e Donna di Porto Pym, che dev’essere ambientato proprio a quelle parti).

La prima edizione dell’Arlecchino servitore di due padroni, 1947.

L’ultima edizione dell’Arlecchino servitore di due padroni, 2004.

La compagnia dell’Arlecchino, a Chicago, dopo l’ultima replica, 2005; sullo sfondo il fondale che poco dopo sarà imbarcato sulla CP Valour.

Perfida_de_Perfidis

2006-04-22T00:00:00




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