Ma che faccia aveva Shakespeare?
I ritratti (veri e presunti) in mostra alla National Portrait Gallery di Londra
La memoria su William Shakespeare vive da sempre un paradosso: da un lato quella che è stata definita Bardolatria, il culto del cigno di Stratford, ha ispirato una vera e propria industria culturale e sottoculturale, che sforna in continuazione spettacoli, film, saggi, riviste, romanzi, gadget di ogni genere…Daltro canto i documenti in qualche modo effettivamente riconducibili a Shakespeare sono molto pochi, malgrado secoli di ossessive ricerche i tutti gli archivi, ci restano una mezza dozzina di firme, il testamento e qualche altro atto burocratico, qualche raro accenno – magari venato dinvidia – da parte di qualche scrittore suo contemporaneo, e pochissimo altro: un unico disegno , ripreso dallo schizzo di uno studente olandese, sullinterno di un teatro dellepoca, lo Swan, un disegno con personaggi del Titus Andronicus, con i loro costumi.
Lo Swan Theatre (1596-97 circa) nel disegno di Arendt van Buchell, ripreso da uno schizzo di Johannes de Witt.
Non sorprende che questo paradosso – nutrito per di più da un periodo della vita dello scrittore, gli anni perduti, dove le tracce documentarie scompaiono completamente – abbia generato unenorme quantità di ipotesi più o meno strampalate: tra tutte, la fantasia che a scrivere i capolavori di Shakespeare non sia stato Shakespeare, ma un altro drammaturgo, magari Christopher Marlowe, un filosofo come Francis Bacon o Giordano Bruno, un nobiluomo come De Vere o Southampton, o addirittura la regina Elisabetta in persona…
Un grasso filone dellindustria shakespeariana riguarda le fattezze dello scrittore, a partire dai ritratto – veri o presunti – affiorati nel corso dei secoli, e che sono al centro di indagini storiche, estetiche, scientifiche, filologiche (e in definitiva fisiognomiche…). E questa indagini, a farsele riassumere, sono appassionanti come un thriller (perché i dettagli, come nella maggior parte delle indagini, rischiano di annoiare).
Lincisione di Martin Droeshout sullin-folio del 1623 e il busto di Gheerart Janssen
L’incisione di Martin Droeshout che compare nella prima edizione dell’in-folio del 1623.
Il busto di Garrat Johnson (Gheerart Janssen) per il monumento a Shakespeare nella Holy Trinity Church di Straford-upon-Avon (1623 circa).
Certo, abbiamo lincisione che campeggia sul celeberrimo primo in-folio e la statua sul suo monumento nella natia Stratford: ma risalgono al 1623, alcuni anni dopo la sua morte. Oltretutto sono opera di artisti non eccelsi, e danno limmagine di quello che Shakespeare era diventato alla fine della sua vita: un agiato gentiluomo di campagna, il figlio del guantaio che aveva fatto fortuna a Londra ma poi aveva abbandonato il turbolento modo del teatro per tornare nella cittadina che l’aveva visto crescere.
Insomma, questi ritratti non hanno né il lampo demoniaco né lolimpica calma che ci si aspetterebbe da un genio universale. Insomma, è un po il personaggio immaginato dal drammaturgo Edward Bond, che nel suo Bingo (scritto negli anni Settanta e portato in scena la scorsa stagione in Italia da Lorenzo Loris) porta in scena Shakespeare come un ricco possidente e maggiorente, che prende le parti della sua classe sociale contro i poveri contadini che si vedono espropriare i terreni.
Per contrastare la compiaciuta bonomia di quelle effigi, unincisione e un busto, si è scatenata nel corso dei secoli la ricerca di un ritratto shakesperiano un po meno banale, in grado di darci qualche indizio sullinteriorità di un grande creatore. Anche perché – a differenza di altri – Shakespeare non ha certo disseminato la propria opera di espliciti riferimenti autobiografici. E quelli – assai rari – che troviamo, risultano spesso ambigui, difficilmente decifrabili. Un ritratto – presumibilmente commissionato dallo stesso soggetto – può dunque fornire informazione assai preziose sullimmagine che Shakespeare aveva di sé, e su quella che voleva dare (per non parlare delleventuale valore economico di unopera del genere). Purtroppo anche per i ritratti, come per diverse altre faccende shakesperiane, siamo nel regno delle ipotesi. Si sono avvicendati nel corso dei secoli diversi candidati, ma non possiamo avere alcuna certezza, se non negative.
A fare il punto sulla situazione è una piccola ma emozionante mostra alla National Gallery di Londra, Searching for Shakespeare, a cura di Tarnya Cooper (nel catalogo saggi di Marcia Pointon, James Shapiro e Stanley Wells). Si può vedere, raccolta per loccasione, quasi tutta levidenza storica dellesistenza di William Shakespeare e sul suo teatro: i documenti cui si accennava sopra, le prime stampe dei suoi testi (spesso opera di tipografi disinvolti), alcuni oggetti depoca (costumi, anelli di matrimonio e funebri, eccetera), ma soprattutto i ritratti veri o presunti.
In mostra ce ne sono sei, che val la pena di guardare da vicino.
Il ritratto Chandos
National Portrait Gallery, Londra
A parere della curatrice della mostra e del catalogo, Tarnya Cooper, resta lunico possibile candidato. In effetti, è il numero 1 nel catalogo della National Portrait Gallery, che proprio con questa mostra celebre il suo cinquantesimo anniversario. Fu per lappunto un dono del 3° Duca di Chandos che diede inizio alle collezioni del museo londinese (ed è peraltro indicativo che, proprio mentre il Commonwealth britannico era allapice della potenza, il primo ritratto appeso alle sua pareti non sia stato quello di un sovrano o di un condottiero).
La tavola è stata presumibilmente dipinta nei primi anni del XVII secolo, e una antica tradizione la attribuisce a John Taylor, pittore e forse anche attore. Letà del soggetto corrisponde più o meno a quella di Shakespeare allepoca. La prima testimonianza che lega il ritratto a Shakespeare, dellantiquario George Vertue, che in un suo taccuino elenco i proprietari del quadro risalendo fino a Taylor, è tuttavia assai tarda: risale al 1719.
Daltro canto quel volto ha destato qualche perplessità. Per esempio nel 1864 J. Hain Farrell scriveva:
E difficile immaginare che il nostro Shakespeare, così essenzialmente inglese, sia stato un uomo dalla carnagione scura, pingue, con unespressione da straniero, una fisiognomica decisamente ebrea, capelli fini e ricci, con una bocca in qualche modo lubrica, occhi bordati di rosso, labbra licenziose, una espressione volgare e i lobi forati dallorecchino.
Ancora nel 1907 M.H. Spielmann, storico dell’arte e grande esperto di ritratti shakespeariani, rincarava la dose:
E difficile credere che questo volto bruno, tipicamente italiano, possa rappresentare un esemplare della pura stirpe inglese degli Shakespeare delle Midlands..
Pietosamente nel catalogo la curatrice annota che allepoca molti altri gentiluomini avevano capelli scuri, a giudicare dai ritratti, e che lingiallimento della tavola, oggi assai rovinata, poteva influire sul giudizio degli osservatori.
Il ritratto Grafton
The John Rylands University Library, The University of Manchester
Beh, soprattutto dopo il recente restauro i tratti sono certamente più fini, locchio – almeno quello – più chiaro. Come campeggia in alto, il ritratto è stato dipinto nel 1588 e il soggetto aveva allepoca 24 anni (ma cè una correzione, si è osservato: prima cera scritto 23), esattamente letà del Bardo in quellanno.
Anche labito è più sontuoso di quello del ritratto Grafton: anzi, un abito del genere poteva essere indossato solo dai nobili, anche se qualcuno se lo faceva prestare proprio per mettersi in posa davanti a un pittore: sembra tuttavia improbabile che un giovane attore potesse permettersi una giacca così costosa.
Insomma, non si conoscono lidentità del pittore né quella del soggetto. Fu scoperto allinizio del XX secolo, in una locanda di Winston-on-Tees: i proprietari raccontarono che era stato donato a un loro antenato da uno dei Duchi di Grafton, da cui prese il nome.
A suggerirci lidentificazione del soggetto è tuttavia solo la coincidenza delle date. Uno dei tifosi del ritratto Grafton, non a caso, fu agli inizi del Novecento il professor Spielmann.
Tuttavia questa immagine ha ancora oggi i suoi fans: dovrebbe infatti risalire ai misteriosi “anni perduti” (1585-1592), il periodo della biografia di Shakespeare per il quale non abbiamo alcun documento storico o testimonianza: e dunque, se il ritratto fosse autentico, potrebbe offrire numerosi indizi di grande interesse.
Il ritratto Sanders
Lloyd A. Sullivan, Ottawa
Non ha un aspetto particolarmente mediterraneo, luomo ritratto su questo pannello. E per di più sembra lanciare un sorriso enigmatico, sottolineato da uno sguardo acuto e ironico. Forse anche per questo al professor Spielmann non dispiaceva nemmeno il cosiddetto ritratto Sanders, dipinto presumibilmente intorno al 1603. Fu lui infatti a trascrivere unetichetta – ormai praticamente illeggibile – che si trova sul retro, che diceva trattarsi di tal Shakpere/Born April 23 = 1564/Died April 23 = 1616/Aged 52/This likeness taken 1603/Age at the time 39 ys. La carta delletichetta dovrebbe risalire alla metà del XVII secolo, ma la scritta è probabilmente posteriore, anche perché il compleanno di Shakespeare cominciò a essere festeggiato nel giorno di san Giorgio, il protettore dellInghilterra, solo un secolo più tardi. Inoltre il soggetto sembra avere qualcosa meno dei quasi quarantanni dichiarati.
Prende il nome da John Sanders, un pittore che dovrebbe aver avuto qualche rapporto con Shakespeare (anche se non ne abbiamo alcuna prova) e attraverso i suoi discendenti è arrivato fino allattuale proprietario. Esiste traccia di un John Sanders, pittore, che però aveva più o meno ventanni alla meta del XVII secolo, e dunque non può essere lautore dellopera.
Il ritratto Janssen
Folger Shakespeare Library, Washington
Anche in questo caso, come nel ritratto Grafton, uniscrizione ha indotto qualcuno a credere che potrebbe trattarsi dello sfuggente Shakespeare: AEte 46/1610. Poi la curvatura dellampia fronte, ormai priva di capelli, sembrava corrispondere a quella dellincisione che apre lin-folio. In terzo luogo, labito non solo segue i dettami della moda nel 1610 circa, ma corrisponde anche allidea del costume di un gentiluomo che si erano fatta gli studiosi dellOtto e del Novecento.
Riemerso alla fine del Settecento, prende il nome da un pittore di origine olandese, Cornelis Janssen. Quando la Folger Library (il maggiori archivio shakesperiano del mondo) decise di acquistarlo, nel 1932, fu convinta dal parere di Joseph Q. Adams, allepoca supervisore della ricerca della prestigiosa istituzione: con il ritratto Chandos… e il ritratto Flower… questo è il più celebre ritratto di Shakespeare.
Purtroppo nel 1964 David Piper si accorse di una strana coincidenza: esisteva un altro ritratto molto simile, senza date, che ritraeva un gentiluomo, probabilmente Sir Thomas Overbury. Unica differenza, il buon Overbury aveva molti più capelli. Ci si accorse a quel punto che lampia fronte erano stati dipinti sopra i capelli (e anche liscrizione era stata scritta sopra la ridipintura): a restauro ultimato, restano la bella frangetta originaria, ma anche liscrizione, a ricordare le fortune del quadro. Che in ogni caso non può essere stato dipinto dal buon Janssen, che nel 1610 aveva appena diciassette anni.
Il ritratto Soest
Shakespeare Birthplace Trust, Stratford-upon-Avon
Anche Gerard (o forse Gilbert) Soest era un pittore di origine olandese, attivo a Londra a partire dal 1640. Lopera dovrebbe risalire al 1667, cioè dopo la chiusura dei teatri imposta da Cromwell a partire dal 1642 e la loro riapertura nel 1659 (e nelloccasione fu permesso anche alle donne di salire sulle scene). Insomma, si ricominciavano a mettere in scena i testi di Shakespeare (anche se in versioni adattate al gusto dellepoca ) e si ricominciava a parlare di lui.
Molto probabilmente il buon Soest aveva di fronte il ritratto Chandos e un attore che, si diceva, somigliava a Shakespeare. Ne venne fuori un quarantenne certamente meno bohémien (per cominciare, gli tolse quellorecchino, così alla moda mezzo secolo prima) e dallaspetto meno mediterraneo, con una espressione consapevole e intensa (introverso e di buone maniere, e di indole sensibile, annota la Cooper): insomma, una personalità meglio delineata, e certo meno trasgressivamente impulsiva.
Questo è il capostipite di una ampia panoplia di ritratti che hanno cercato nel corso dei secoli di accordare laspetto di Shakespeare allidea che via via si andava sedimentando, e che via via cambiava.
Il ritratto Flower
Royal Shakespeare Company, Stratford-upon-Avon
Riemerso intorno al 1840, prende il nome da uno dei suoi proprietari, John Flower.
E stato considerato a lungo limmagine più credibile, quella da cui il diligente Droeshout aveva tratto la sua incisione. Ma neppure il fiducioso Spielmann era di questo parere: per lui in quadro era stato dipinto allinizio del Seicento, ma la legnosità della composizione gli fecero pensare che fosse stata lincisione ad ispirare il quadro e non viceversa.
Poi, nel 2005, il colpo di scena. Lesame ai raggi X ha rivelato che sotto il ritratto cera una Madonna con Bambino e Giovanni Battista, un dipinto italiano risalente alla metà del Cinquecento. Anche Spielmann si era accorto della ridipintura, ma le tecniche dellepoca non gli avevano permesso di andare oltre questa constatazione.
Langolo in alto a sinistra è stato ripulito, e si può vedere un frammento del paesaggio che faceva da sfondo: anche in questo caso, è stata preservata la scritta William Shakespeare, 1609
Il falsario era senzaltro abile: utilizzò una tavola sufficientemente antica, riprese alcune tecniche pittoriche dei primi del Seicento, corresse alcuni degli errori di Droeshout (a cominciare dallorecchio mal posizionato). Ma, come può capitare ai falsari più abili, fece anche qualche errore: utilizzò per esempio qualche pigmento un po troppo moderno, come un giallo cromo che i pittori iniziarono a utilizzare dopo il 1814, e probabilmente anche un blu ultramarino che cominciarono a fabbricare in Francia solo dopo il 1828.
Quella dei ritratti di Shakespeare è una storia divertente, tra capelli cancellati e orecchie spostate, fisiognomisti razzisti e astuti falsari. Ha ispirato articoli scientifici e libri; tra i più recenti, quello di Stephahie Nolan, Shakespeares Face, Knopf, Toronto, 2002).
E se restano sempre valide le parole dellamico Ben Johnson nei versi che aprono lin-folio (che dicono, più o meno: Beh, lincisione gli assomiglia abbastanza, ma limportante sono le parole di Shakespeare, non il suo aspetto: Reader, looke / Not on his Picture, but his Booke), non si può dimenticare che la storia dei ritratti di Shakespeare ha molto da dirci: non su Shakespeare, ovviamente, ma su di noi.
Se volete saperne di più, curiosate anche nella nostra poderosa ateatropedia, e in particolare date un’occhiata alla recensione della mostra Shakespeare nell’arte.
Oliviero_Ponte_di_Pino
2006-04-09T00:00:00
Tag: William Shakespeare (48)
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